Raffaello l'Urbinate
Prima di andare innanzi diremo che Raffaello, detto per antonomasia l'Urbinate, ebbe forme e proporzioni bellissime di corpo: svelta la persona, dilicati i lineamenti, amabilissima l'aria del volto, bruni i capelli, bruni gli occhi e pieni di grazia e di modestia; pallido il colorito, elegante il portamento e le maniere. In si bel corpo che egli ritrasse più volte ne' suoi quadri, un'anima d'angelo era scesa ad infondere la vita. Forza straordinaria d'ingegno capace di abbracciare le cognizioni di coloro che l'avevano preceduto e di aggiungervi le sue; immaginativa di sommo poeta, che scorre sovra le coste create, ne ammira le bellezze, le unisce e le ricompone in mille forme sempre belle, sempre leggiadre; facilità d'ideare, forza di esprimere i reconditi e sfuggevoli arcani del pensiero; grazia e sublimità che informano tutte le sue composizioni.
A queste doti della persona e della mente vanno congiunte non inferiori doti del cuore. Modestissimo nella sua grandezza, onorava e lodava qualunque opera commendabile, fosse anche di suoi nemici. Fu riconoscente discepolo al Perugino, sicché in parecchie tavole eseguite nell'apice della sua gloria, tenne quasi a vanto di congiungere il suo col di lui ritratto. Stimò Michelangelo, quantunque gli fosse emulo; e segno della sua stima è fra gli altri la pittura fatta eseguire da' proprii allievi nel suo casino, ora congiunto alla villa Borghese, in cui si vede l'allegorica rappresentazione dei saettatori, invenzione e composizione di Michelangelo. Con si fatte doti trasse a sé l'ammirazione e si cattivò la benevolenza degli artisti già provetti, non che dei giovani, i quali gareggiavano di fargli corona quasi ad un principe, allorquando usciva di casa al lavoro o a diporto. Il Pinturicchio, Giulio Romano ed altri assai, di maestri che già erano, amarono di farsi suoi discepoli. Il Bembo, il Castiglione, il Navagero, l'Ariosto, l'Aretino, il Fulvio, il Calcagnini si pregiavano della sua amicizia, e gli somministravano idee e fatti storici, cui egli vestiva di forme, gli additavano le norme cui doveva attenersi nel costume e nel carattere dei suoi personaggi. Ond'è che nulla si può dire che in questa parte, così trascurata dai Veneti siavi di riprovevole in Raffaello; e pressoché tutto è d'una proprietà di cui invano si cercherebbe la maggiore.
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