I due documenti analizzano non solo questioni tecniche, ma soprattutto politiche, relative al coordinamento della “cellula redazionale de L’Unità” con il resto del Partito e quindi si concentrano sull’efficacia del lavoro dei ‘compagni giornalisti’ in funzione degli obiettivi del PCI.
Successivamente ho cercato di capire quale fosse la funzione del giornalista all’interno del Partito: quale missione gli fosse affidata e in che modo la sua figura potesse aderire alla categoria dell’Intellighenzia comunista, quegli “intellettuali organici”, a cui Togliatti aveva affidato il compito di ricostruire il partito nel nuovo contesto democratico e rinnovare la cultura nazionale per avvicinarla alla realtà sociale. Il giornalista è quindi prima di tutto intellettuale e militante, un “rivoluzionario di professione” che manovra una leva molto potente: la stampa comunista, soprattutto “L’Unità”, è strumento di organizzazione del consenso prima che mezzo di informazione. Il giornalista deve valorizzare le battaglie e le capagne promosse dal partito, ‘popolarizzarne’ la linea politica, fornire le parole d’ordine e saper dare una lettura della realtà attenta agli squilibri sociali; deve essere in grado di inquadrare ogni problema nel corretto contesto socio-politico, fornendo alla base del Partito l’interpretazione corretta dei problemi del Paese e soprattutto la loro soluzione. Il corrispondente deve quindi riconoscere le proprie responsabilità di ‘voce del partito’ e aderire strettamente al linea ufficiale, tenendo presente che non dare una notizia importante lo renderebbe reo di “un grave errore politico”.
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