Questo è il periodo storico in cui le masse diventano protagoniste e il PCI, per primo, ne comprende il ruolo politico: informarle e organizzarle è essenziale per un partito che voglia giocare un ruolo di primo piano, perchè le masse non sono solo bacino di consensi, ma anche “forza motrice” della storia. Il singolo emerge attraverso la propria funzione all’interno delle articolazioni del partito, quale militante, propagandista, diffusore, combattente: in questo contesto, il giornalista svolge una funzione di guida, è quindi dirigente di partito. Questa riflessione ci è confermata dal documento più interessante ritrovato nel fondo, il Manuale del corrispondente dell’Unità: un opuscolo di 76 pagine redatto a cura dell’ Associazione nazionale Amici dell’Unità a Roma nel 1952 che, innovativamente, fornisce al giornalista suggerimenti tecnici per migliorare il proprio lavoro e direttive politiche per renderlo strettamente aderente agli obiettivi della propaganda comunista.
Dalle carte Adamoli emerge in tutta chiarezza il rapporto tra “L’Unità” e il suo editore, il Partito, che gestisce e orienta la stampa come una sua delicata articolazione organizzativa, attraverso la Commissione Stampa e Propaganda (costituita durante la I conferenza Nazionale di Organizzazione del Partito a Firenze, nel 1947); in questa fase è necessario analizzare il rapporto con il Partito Comunista Russo (PCUS) e le esigenze di coordinamento con gli orientamenti politici e propagandistici dell’Unione Sovietica. E’ proprio il Cominform, creato nel 1947 per rispondere a tale necessità, che nel 1950 si prenderà il “disturbo” di stilare una feroce disamina del quotidiano comunista italiano, diretto nella sua edizione nazionale da Pietro Ingrao: secondo le critiche dei dirigenti sovietici, “L’Unità” era frivolo e poco attento alle questioni dottrinarie e alla popolarizzazione delle conquiste dei Paesi comunisti. Lo scontro con il Cominform rispecchia la dialettica interna al gruppo comunista italiano, tra quei dirigenti che volevano confezionare un giornale moderno, “nazional-popolare”, rivolto alle masse e non solo ai militanti (Palmiro Togliatti, Aldo Tortorella, Pietro Ingrao) e quelli che avrebbero ritenuto più opportuno compilare un bollettino di partito, dedicato all’informazione di servizio, serio. Anche a livello locale si riproponeva tale dibattito, tra il nostro “protagonista” Gelasio Adamoli e il segretario regionale dell’epoca, Secondo Pessi, un fedele di Pietro Secchia: proprio Adamoli durante la propria direzione, in contrasto con Pessi, manifestò la volontà di una larga diffusione del quotidiano anche tra i ceti medi e una particolare attenzione al rapporto con i suoi lettori (inaugurando la famosa rubrica “Lettere al direttore”), all’estensione dello spazio dedicato alla cultura popolare e alla vita cittadina.
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