Gelasio Adamoli

Un profilo


Profilo pubblicato su "L'Unità" del 31 luglio 1978 all'indomani della morte di Gelasio Adamoli (a cura di Flavio Michelini)


PER GENOVA FU SEMPRE IL SINDACO DELLA RICOSTRUZIONE

La straordinaria avventura umana di Adamoli si è conclusa bruscamente e non è facile ora, attraverso le parole, restituire tutto lo spessore politico e culturale di un dirigente comunista che aveva saputo suscitare tanto affetto e una così forte stima senza confini di parte. Il suo è stato un itinerario limpido: segnato dal rigore morale, da una eccezionale umanità, dalla capacità di esprimere le energie migliori del popolo anche nei momenti più difficili.

Gelasio Adamoli era nato il 30 marzo 1907 a San Potito di Teramo (in realtà provincia di Avellino, ndc). Figlio di un esponente del Partito socialista entrato poi nel PCI alla fondazione, aveva vissuto la sua adolescenza attraverso i colloqui quotidiani con un padre che parlava di riscatto sociale, di emancipazione dei lavoratori. E' così che il ragazzo Adamoli inizia la propria lunga militanza prima tra i socialisti e poi tra i comunisti di Teramo, e le idee di giustizia respirate già nell'infanzia, si radicano trasformandosi in una consapevolezza profonda che non l'abbandonerà mai.

Nel 1925, con il fascismo ormai al potere, Adamoli si iscrive al Partito comunista e comincia a tessere il lavoro duro e difficle della clandestinità. Laureato in economia e commercio a Genova, si trova sotto le armi durante la guerra. L'8 settembre lo sorprende in Francia, dove comanda un battaglione che riesce a ricondurre in Italia. Ritorna quindi a Teramo e partecipa all'organizzazione di una delle prime formazioni partigiane, i "Volontari del Gran Sasso".

Nell'agosto del 1944 Adamoli è ancora a Genova, comandante delle Squadre di azione patriottica (SAP), e contribuisce a far assumere alla guerra di Liberazione il carattere di lotta nazionale e di popolo. Arrestato dalle SS, viene rinchiuso nel carcere di Marassi. Rischia più volte di essere prelevato e ucciso finché, alla Liberazione di Genova, il carcerato Adamoli è nominato vice questore dal CNL ligure, incarico che mantiene sino a quando le pressioni alleate comportano l'allontanamento degli uomini della Resistenza. Da questo momento Adamoli si dedica alla costruzione del partito e del suo gruppo dirigente finché, eletto in Consiglio comunale alle prime elezioni amministrative diviene assessore alle Finanze e quindi, nell'aprile del 1948, sindaco della città.

E' questa una delle stagioni più straordinarie dell'itinerario politico e umano del comunista Adamoli. La città, completamente devastata dalla guerra, deve far fronte a compiti tremendi. Ma trova un sindaco d'eccezione che trascorre più tempo nei quartieri e nelle fabbriche che non nel proprio ufficio. Affronta il problema della ricostruzione riuscendo a mobilitare, contemporaneamente, le forze della cultura e gli uomini semplici. L'entusiasmo popolare attorno alla figura del sindaco comunista è enorme. Mai come in quel momento venne realizzata una fusione tra governati e governanti, grazie soprattutto alla capacità che Adamoli aveva di stringere legami saldi con le masse popolari, di intendere i problemi, i bisogni, le aspirazioni; non già ricorrendo alle facili promesse ma, al contrario, non nascondendo mai le difficoltà anche aspre. Quella stagione - che fu dunque qualcosa di più del "buon governo" - è rimasta impressa nella memoria dei genovesi.

Nel 1951 grazie alla guerra fredda, alla rottura delle unità antifascista e a una legge maggioritaria, le sinistre perdono il Comune alla cui direzione torneranno soltanto ventiquattro anni più tardi. Adamoli assume la direzione dell'edizione ligure dell'Unità, che allora si stampava in una vecchia tipografia seminascosta sulla sommità di una viuzza in ripida salita. Le pesanti "balestre" con il piombo venivano trasportate a braccia, faticosamente, da tipografi che noi chiamavamo scherzosamente "i monatti".

Adamoli lavorava un numero interminabile di ore perché, oltre a dirigere l'Unità, era capogruppo in Consiglio comunale. Lo scontro a Palazzo Tursi a quei tempi era duro, come lo era in tutto il resto del Paese: ma nonostante questa durezza nessun avversario riuscì mai ad attaccare personalmente l'uomo che nella memoria della città operaia e popolare era rimasto il simbolo per antonomasia: la coerenza è una arma forte e Adamoli fu sempre coerente e anche severo, prima di tutto con se stesso.



COERENZA

Nel 1958 viene eletto deputato al Parlamento e nel 1963 senatore; fino al 1976 è stato presidente nazionale della Associazione Italia-URSS, contribuendo in modo originale agli scambi tra Italia e Unione Sovietica. E' membro del Comitato centrale del PCI dell'VIII al X Congresso e della Commissione centrale di controllo dal X al XII.

L'ultimo suo incarico è la sovrintendenza del Teatro comunale dell'opera. E anche in questo caso Gelasio Adamoli ha affrontato il proprio compito con l'esuberanza che riusciva, come sempre, a trasmettere in quanti lo circondavano. Aveva dedicato ogni sforzo alla riqualificazione della produzione culturale e artistica dell'ente lirico, rivolgendone l'attività anche verso i giovani, la scuola, le fasce di pubblico tradizionalmente escluse dal teatro.

Ma Adamoli aveva in mente soprattutto un'altra cosa: ricostruire finalmente il "Carlo Felice" distrutto dalle bombe nel 1944. E' una vicenda quasi emblematica. I teatri lirici sono stati ricostruiti dappertutto tranne che a Genova. Qui una inestricabile matassa di diatribe, di difficoltà, di interessi, di polemiche ha fatto si che il "Carlo Felice" sia rimasto fermo al 1944. Adamoli non aveva potuto ricostruirlo quando era sindaco (perché allora bisognava dare la precedenza alle case) e intendeva farlo ora. Attorno a questo proposito aveva saputo coinvolgere sempre più ampi strati della cittadinanza e delle forze sociali, culturali e politiche.

Qualcuno obiettava che era difficile condurre in porto, nel mezzo di una crisi economica e finanziaria, un'impresa fallita negli anni del cosiddetto "boom". Ma Adamoli rispondeva: "Le energie ci sono, basta saperle suscitare. E chi sostiene che la ricostruzione del 'Carlo Felice' è un lusso non ha capito nulla della nostra politica di austerità: la cultura non è mai un lusso". In realtà aveva già ottenuto risultati tangibili, che sarebbe delittuoso disperdere.

LA CULTURA

Naturalmente Adamoli conosceva benissimo la gravità del male che l'aveva colpito, ma nonostante del suo letto dell'ospedale S. Martino continuava a progettare il futuro. Una delle ultime volte che abbiamo parlato con lui, pochi giorni orsono, aveva detto sorridendo: "Vedi, illusioni non me ne faccio proprio. Ma voglio cercare di avere ancora un paio di anni di vita. Due anni mi bastano per portare a termine il lavoro che mi è stato affidato". Poi, invece, la malattia si è bruscamente aggravata. Ma noi lo ricorderemo sempre con quel suo sorriso ancora da ragazzo, e quella sua eccezionale capacità di esprimere la forza, la cultura, la pulizia morale del comunista e dell'uomo.



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