Gelasio Adamoli
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Scampoli di memoria

di Dino Bernardini (2 novembre 2006)

Visto che nel capitolo precedente ho parlato di Rassegna Sovietica, voglio raccontare di come ne divenni il vicedirettore tuttofare, dove "tuttofare" significava veramente fare tutto, cioè scegliere gli articoli, commissionare le traduzioni, tenere i contatti con la tipografia (si era ancora all'epoca delle linotype), fare il lavoro di redazione dei testi e di editing, correggere le bozze nei vari passaggi fino al "visto si stampi", preparare il borderò di ogni numero per pagare i collaboratori, rispondere alle telefonate ecc. La situazione nel 1972 era la seguente.
Come ho già detto, il direttore Umberto Cerroni era ormai tutto preso dalla sua cattedra all'università e formalmente la rivista era affidata alla vicedirettrice Irina Colletti, ex moglie di Lucio Colletti, donna all'epoca bellissima, di origine russa, intelligente e gentile, ma priva di polso nei suoi rapporti con i collaboratori. La rivista aveva ormai accumulato un ritardo cronico di tre o quattro numeri, che per una rivista trimestrale come era allora Rassegna significava un anno. Questo, perché, se un professore universitario prometteva a Irina Colletti un suo saggio per il prossimo numero, quel numero non poteva uscire finché il saggio non fosse pronto, ma nel frattempo un altro professore, che aveva consegnato il suo saggio qualche mese prima, chiedeva di fare qualche aggiornamento bibliografico o di sostanza, giacché nei mesi intanto trascorsi era uscita qualche nuova pubblicazione sull'argomento. Così gli aggiornamenti si rincorrevano a vicenda e la rivista accumulava mesi di ritardo. Inoltre c'erano pressioni da parte dell'ambasciata sovietica affinché il materiale tradotto dal russo e pubblicato in Rassegna Sovietica non si limitasse, come era da qualche anno, quasi esclusivamente agli inediti delle avanguardie sovietiche degli anni Venti e Trenta del Novecento, ma rispecchiasse anche la realtà contemporanea. A dire la verità, c'era anche il fatto che il nostro editore, e cioè l'Italia-URSS, Associazione Italiana per i Rapporti culturali con l'Unione Sovietica, pubblicava anche un mensile, Realtà Sovietica, in formato rotocalco, con molte fotografie, e che questo mensile era più gradito ai sovietici, ai quali non sarebbe dispiaciuto vedere la chiusura di Rassegna Sovietica.
Il senatore Gelasio Adamoli, Segretario Generale dell'Italia-URSS, mi propose di prendere in mano la direzione operativa di Rassegna. Concordammo la linea editoriale, mi illustrò i problemi e mi mise in guardia contro i possibili rischi. Alla fine del colloquio mi apprestai ad accomiatarmi, ma lui mi fermò con un certo imbarazzo.
- Abbiamo parlato di tutto, - disse, - ma non del tuo stipendio.
Si deve sapere che a quell'epoca ero uno dei pochi italiani a conoscere il russo ed ero ricercato continuamente come interprete, ben pagato. Avevo accumulato così un discreto gruzzoletto e mi consideravo una persona quasi ricca. Quanto a Rassegna Sovietica, era stata il mio sogno fin dagli anni in cui studiavo letteratura russa alla facoltà di filologia dell'Università Lomonosov di Mosca. Naturalmente le mie speranze di studente si limitavano a una eventuale collaborazione, non certo alla carica di direttore. Ed ecco che mi si offriva di colpo la direzione.
"Caro Adamoli", - gli risposi scherzando, "Rassegna Sovietica è una rivista unica nel panorama editoriale italiano e mi piacerà moltissimo lavorarci. Quanto ai soldi, la penso così: quando uno va al cinema per vedere un film che gli piace, paga per entrare, non gli passa neanche per la testa che qualcuno possa dargli dei soldi. Ora tu mi chiedi quanto voglio per dirigerla, ma a me la cosa piace a tal punto che ti potrei chiedere quanto devo pagare io per farlo". Dopo questa mia bella battuta ci accordammo per la favolosa somma di 30 mila lire al mese.
Fu l'inizio di un'avventura per me affascinante che spero di poter raccontare in futuro, a poco a poco.

Slavia, rivista trimestrale di cultura
Dino Bernardini, "Slavia" N°3 2006
Scritto giovedì 2 novembre 2006


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