Nel mese di aprile il controllo dei prezzi, affidato per sei mesi alla direzione del Partito nel periodo più delicato per pericolosi e disordinati aumenti, passa agli organismi corporativi ed ai Consigli provinciali dell'Economia, passa cioè dal terreno politico a quello economico. Tale passaggio è stato disposto per rendere possibile agli organi tecnici di esaminare in forma particolareggiata il mercato e per imporre ribassi od ammettere rialzi in misura corrispondente ai costi di produzione.
Inoltre il controllo contemporaneo dei salari e dei prezzi permetterà a questi organismi un costante e sicuro giudizio a soluzioni corrispondenti a quella "giustizia sociale" che costituisce il programma immutabile del Regime.
In conseguenza dell'esame contemporaneo dei salari e dei prezzi il Comitato Corporativo Centrale, su proposta del Duce, il 30 aprile decise l'aumento dal 10 al 12 per cento su tutte le paghe e il 10 per cento sugli stipendi sino a 1500 lire. Nella determinazione dell'aumento hanno certamente contribuito i seguenti dati di fatto:
1) Scoppiata la crisi mondiale i salari degli operai italiani furono falcidiati. Gli operai contribuirono quindi alla salvezza delle industrie.
2) Iniziatasi, verso la fine del 1934 e i primi del 1935 la ripresa dell'economia mondiale gli operai non chiesero modifiche al loro statuto salariale. E' solo nel 1936, in estate, quando la ripresa economica era già avviata, che i salari furono aumentati del 10%.
3) Questo aumento fu presto assorbito da due fattori concomitanti: la diminuzione delle ore di lavoro, in seguito alla legge delle quaranta ore, e l'aumentato costo della vita.
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