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Attraverso i documenti dell'epoca vengono ricostruiti i fatti che hanno contraddistinto gli anni più difficili della presidenza di Giovanni Adamoli all'Istituto Tecnico "Vincenzo Comi" di Teramo. Dal 1974, anno che segna una profonda trasformazione nel mondo della scuola, il Comi ripetutamente finisce alla ribalta della cronaca per il clima di tensione e di scontro che si respira nella storica scuola teramana.
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Il 7 giugno 1974 segna una delle pagine più controverse e sofferte della carriera scolastica del Prof. Giovanni Adamoli, dall'anno scolastico 1968-69 preside dell'I.T.C. “Vincenzo Comi” di Teramo: il giudice istruttore dott. Guglielmo Santella della pretura di Notaresco emette la sentenza di condanna nel procedimento che lo vede soccombere al Sindacato Nazionale Scuola e al Sindacato Provinciale Teramo della C.G.I.L.; il pretore ordina ad Adamoli “la immediata cessazione del comportamento antisindacale tenuto nei confronti della C.G.I.L. scuola di Teramo dichiarando illegittima la defissione del manifesto, affissa da questa il giorno 8 aprile 1974 nella sezione di Roseto dell'Istituto “V. Comi”, disposta dal Preside; la immediata riaffissione del manifesto de quo e del dispositivo della presente ordinanza nella stessa forma e negli stessi modi in cui era stato affisso il manifesto dell'8 aprile 1974”. E lo condanna al rimborso delle spese del giudizio.
Il 15 luglio Adamoli trasmette la sentenza del pretore (che gli è pervenuta il 30 giugno) al Provveditorato agli Studi di Teramo, pregandolo di “voler dare corso a tutte le disposizioni previste dalla legge e a tutela delle mie mansioni assolte in conformità dei miei obblighi scolastici”. Aggiunge che, avendo egli agito “con scrupolo e con buona fede solo nella funzione di Capo d'Istituto” ha dato incarico all'avvocato Lino Nisii, che lo ha difeso nel procedimento, di presentare opposizione al decreto del Pretore. Il 23 luglio comunica alla C.G.I.L. di aver dato disposizione per l'affissione della sentenza mentre per il manifesto incriminato, “non essendo questo in mio possesso, se lo riterrete necessario, Vi prego di provvedere Voi direttamente all'affissione”. Esulta il Sindacato Scuola C.G.I.L. affiggendo un manifesto in cui a caratteri cubitali viene annunciato che “In base all'art. 28 dello Statuto dei Lavoratori CONDANNATO il Preside dell'Istituto Tecnico “V. Comi” di Teramo”.
Nella metà degli anni settanta il clima che si respira al Comi è incandescente, e le frizioni tra le parti sono frequenti. Sono numerose le occasioni per rinfocolare gli animi, e le posizioni politiche contrapposte, il generalizzato odio politico tra rossi e neri, accendono maggiormente gli animi. D'altro canto dal sessantotto in poi tutta la società italiana è pervasa da un profondo clima di rinnovamento e da rivendicazioni sociali, ed anche la scuola raccoglie naturalmente le tensioni esistenti. La popolazione scolastica del Comi inoltre è enormemente cresciuta: circa 1600 alunni tra ragionieri e geometri, raccolti in una sede ormai insufficiente ad ospitare le scolaresche (ed infatti il corso per geometri si staccherà dalla storica sede di viale Bovio con il raggiungimento dell'autonomia, a partire dall'anno scolastico 1976-77). La parte più coinvolta della studentesca di sinistra identifica in quel preside fascista un simbolo da abbattere. E Adamoli, che interpreta con fermezza, talvolta con intransigenza, il suo ruolo direttivo, è anche lui profondamente coinvolto dal clima di quegli anni.
Si alimenta quindi il clima di “stato di assedio” con il ricorso anche alla forza pubblica, nascono le occupazioni, le accuse da parte delle correnti studentesche e sindacali di sinistra di autoritarismo, di visione anacronistica della realtà contemporanea, il cui nuovo volto si mostra alla scuola nello spirito innovatore dei cosiddetti Decreti Delegati, che ormai impongono di promuovere e coordinare l'attività scolastica attraverso la collaborazione delle varie componenti, senza preclusione alcuna.
Dal punto di vista legislativo i Decreti Delegati, una serie di atti normativi emanati tra il luglio 1973 ed il maggio 1974, hanno proprio recepito le istanze di una scuola nuova, caratterizzata da rapporti umani e culturali in linea con il grado di maturità civile e di sviluppo democratico raggiunto dal paese. Dal 1946 essi rappresentano il primo testo unico che riguarda l'istruzione (fatta eccezione per l'università) e si prefiggono di dare una piena attuazione dei principi della costituzione delle repubblica italiana.
Il fattaccio (1974)
Il fattaccio. Il giorno 8 aprile 1974 la sezione C.G.I.L.-Scuola aveva affisso nella propria bacheca della sede di Teramo e della sezione staccata di Roseto degli Abruzzi un manifesto in cui venivano denunciate irregolarità amministrative nell'iscrizione degli alunni e “nella destinazione delle 'percentuali' sulla vendita delle pizzette” vendute agli studenti della scuola. Il preside Adamoli, ritenendolo oltraggioso, faceva staccare il manifesto affisso a Roseto. E' il culmine di un escalation di episodi che hanno ormai fatto diventare il Comi una scuola nell'occhio del ciclone. Scioperi a catena, ripetuti attacchi al preside. Un mese prima del fattaccio il “Movimento studentesco” promuove un nuovo sciopero (nella giornata del 5 marzo) rivendicando l'ennesima provocazione del preside Adamoli, come si legge nel manifesto affisso davanti la scuola: “questo individuo forse crede di aver trovato nell'assurdo divieto di riunirci in assemblea la soluzione dei problemi che da tempo affliggono il nostro istituto: forse crede di aver trovato una soluzione impedendo agli studenti di riunirsi per discutere e richiedere la costruzione di cessi civili, altrimenti il colera che tornerà nei prossimi mesi non mancherà di farci visita. Forse crede che non permettendo i corsi di sostegno, gli studenti saranno disposti a farsi fregare più volentieri a giugno! A questo stato di cose diciamo no! Adamoli non t'illudere! La tua repressione non può fermare la nostra giusta lotta per il legittimo interesse di tutti!” Come si vede il linguaggio “arrabbiato” è quello tipico di quegli anni. Il manifesto prosegue annunciando che tutti gli studenti hanno deciso di entrare in sciopero.
Ecco quindi che quello che poi succede l'8 aprile appare una logica conseguenza di questo clima di scontro. Per cercare di comprendere i vari passi che hanno portato al fattaccio, si può leggere tra le pagine della relazione che il Procuratore della Repubblica richiede ad Adamoli, il quale è stato convocato in tribunale il 2 maggio, in seguito ad un articolo comparso su Il Tempo del 17 aprile, dal titolo “Gli scioperi – La scuola – Il non studio” firmato da “Un padre di famiglia anonimo”. Questa relazione è stata redatta posteriormente alla rimozione del manifesto, ma l'intervento del Tribunale di Teramo non attiene questo specifico episodio, bensì i contenuti riportati nell'articolo, peraltro citati nello stesso manifesto rimosso (precisamente la questione delle irregolarità amministrative e della vendita delle pizzette). Adamoli espone il “clima di sobillazione e di tensione che la C.G.I.L. Scuola ha instaurato e creato” già dal precedente anno scolastico e “ripreso con ostinazione ed accanimento” nell'anno in corso. La stessa sezione del sindacato muoverebbe le fila del “Movimento studentesco” che snocciola regolarmente una serie di volantini sia con argomenti di carattere generale, allineati alle posizioni di “Lotta continua” e “Potere operaio”, sia di questioni attinenti alla gestione scolastica del Comi (ordini del giorno dei professori respinti, delibere del Consiglio di Presidenza non accettate) per i quali il suo ufficio viene “bersagliato … con almeno sette telegrammi di Collettivi Studenteschi provenienti dalle varie parti della Provincia (Teramo-Giulianova-Nereto)”
C'è un episodio che precede di alcuni giorni il fattaccio e ne costituisce la premessa. Giovedì 4 aprile il preside riceve una telefonata dalla sezione staccata di Roseto: la professoressa L.F., insegnante di ragioneria, fa presente che la classe III A, interamente femminile, “ha disertato completamente le lezioni con la precisa motivazione di rifiutarsi di svolgere lo scritto di Ragioneria regolarmente preannunciato dalla Professoressa nei giorni precedenti ed avente per oggetto argomenti noti alla scolaresca in quanto la Professoressa si sarebbe riferita alla parte dei programmi svolti ed ampiamente assimilati”. Il giorno dopo Adamoli va a Roseto per rendersi conto personalmente della situazione, ed accompagnata dalla L.F. si reca nella classe femminile “per dissuaderla da future astensioni e per esortarla ad uno studio più intenso”, richiamando “la necessità di rispettare il singolo ruolo che ognuno di noi esercita nella scuola”. La predica provoca la reazione del professor C.M., insegnante di Tecnica Commerciale, che stava svolgendo la lezione, e che cerca di intervenire...
Il manifesto rimosso riferisce proprio quell'episodio, quindi leggiamo ciò che espone la sezione sindacale di Roseto della C.G.I.L., per il quale il preside “prendendo a pretesto il disaccordo (manifestato il giorno precedente) della III A commercio di Roseto a svolgere un compito in classe […] travalicando i limiti di un suo doveroso e sereno intervento sulla questione si lasciava andare ad un attacco astioso e grossolano contro il movimento studentesco e gli organismi democratici della scuola. […] La 'lezione' non terminava qui. Il Prof. C.M., che in quell'ora teneva lezione in 3. A, per aver tentato di intervenire al fine di sdrammatizzare il clima creatosi in aula (per nulla adatto alla prosecuzione della lezione così bruscamente interrotta dal preside) e ancor prima che proferisse parola, veniva apostrofato dal capo d'istituto: 'Tu stai zitto, pensa ad insegnare computisteria, fino a prova contraria sei ancora un insegnante”. La sezione sindacale CGIL rifiuta simili atteggiamenti provocatori e prevaricatori che cercano di tramutare in rissa la crescita democratica, a livello di insegnanti e di studenti, che il nostro istituto ha registrato nel corso dell'anno scolastico e... invita il preside a dimettere gli atteggiamenti caporaleschi nella scuola, atteggiamenti del tutto anacronistici rispetto alla realtà didattica e al livello di coscienza presenti nel nostro istituto”.
L'espressione 'tu stai zitto' – peraltro evidentemente sarebbe stata pronunciata davanti a tutta la classe - viene smentita da Adamoli: nella relazione al procuratore riferisce invece che l'intervento fatto alla presenza del prof. C.M. “provocò la sua immediata reazione pretendendo di interrompere la mia conversazione e chiedendo di prendere la parola. Lo pregai di attendere in quanto desideravo di completare le mie raccomandazioni”. Riferisce quindi che il manifesto è stato “promosso senza possibilità di errore, solo dal Prof. C.M. in collaborazione con i dirigenti della C.G.I.L.”. Secondo il preside non solo egli non aveva riferito quelle parole, ma anzi ne mise “in evidenza l'utilità della sua opera, quale insegnante di Computisteria, se riferita alla sua materia e alla azione educativa strettamente connessa ad ogni insegnamento”.
Alla pubblicazione del manifesto segue (sempre nel giorno 8) un ordine del giorno firmato da più di 60 professori nel quale, come riferisce il preside al procuratore, “nell'esprimermi la loro solidarietà mi richiedevano quanto disposto da precise norme a tutela delle dignità della Scuola, del Capo d'Istituto e dei Professori”. Il giorno 10 intervengono invece i vari sindacati che in un comunicato stampa “esprimevano valutazioni sui fatti accaduti nella Scuola teramana rivolgendo un appello a tutte le Autorità”. Nello stesso giorno Adamoli convoca per il giorno 16 tutti i sindacati: in quella riunione, sempre secondo quanto riferito dal preside nella relazione, “nel pieno accordo dei sindacati richiedenti, assegnai nella Sala dei Professori dell'Istituto, appositi spazi per affissione comunicazioni di carattere esclusivamente sindacale ed altre disposizioni vigenti. Poiché la C.G.I.L. scuola pretendeva una certa soddisfazione per il suo consenso alle trattative globali intercorse, volle da me una dichiarazione che motivasse lo spostamento della sua bacheca dai corridoi della Scuola all'interno della Sala dei Professori”. A tale riunione intervenne, per la CGIL, il professor R.B. e A.D.M.. Il giorno 20 Adamoli curò personalmente lo spostamento della bacheca nella sala dei professori restituendo il manifesto dell'8 aprile che, come riferisce sempre al procuratore, “ledendo la mia dignità quale Capo d'Istituto, era rimasto affisso per ben sedici giorni” nella bacheca di Teramo.
Nonostante le decisioni condivise da tutti i sindacati nella riunione del 16, che ben inteso si applicano non solamente al Comi bensì a tutte le scuole della provincia, nella mattina del 22 aprile Adamoli riceve le proteste dei professori G.A., C.M. e F.B.. Il prof. G.A., riferisce Adamoli, disse energicamente di non toccare la bacheca: “in tono abbastanza autoritario se non proprio minaccioso ed aggressivo ebbe a dirmi: 'Non toccate la bacheca'. Io, nel confermare gli accordi presi con l'intervento del Provveditore agli Studi, dei loro rappresentanti C.G.I.L. Scuola, A.D.M. e R.B. da loro delegati, mi allontanai per non raccogliere la precisa provocazione che pure mi era stata rivolta”.
Il manifesto dell'8 aprile, come detto, va oltre l'episodio della defissione perché solleva delle questioni importanti: pone dei dubbi “sulle percentuali introitate dalla scuola (fra l'altro senza la possibilità di controllo da parte della cassa scolastica) sulla vendita delle pizzette agli alunni; sulle somme facoltative, riscosse come obbligatorie, all'atto dell'iscrizione degli alunni”. Riguardo questi due aspetti nella relazione Adamoli precisa che “le pizzette agli alunni sono somministrate da Olivieri Romolo pretendendo da questi solo prezzi equi e rispetto delle norme igieniche e sanitarie”. Tuttavia proprio alla data dell'8 aprile – esattamente il giorno dell'affissione del manifesto - Olivieri ha versato “spontaneamente quale contributo volontario la somma di Lire 109.500 direttamente sul c/c postale della Cassa Scolastica dell'Istituto”. Per la questione delle somme facoltative riscosse come obbligatorie indica semplicemente che il modulo d'iscrizione riporta l'avvertenza “Non si accettano domande che non siano all'atto della presentazione corredate da tutti i documenti e tasse richiesti”.
Per concludere la esposizione dei fatti succedutisi dal giorno dell'affissione del manifesto, nella mattina del 16 maggio si presenta a Roseto un maresciallo dei Carabinieri “per assolvere adempimenti a cui era stato incaricato”.
In conseguenza di tutto ciò la C.G.I.L. Scuola cita in giudizio il preside Adamoli davanti al Pretore di Notaresco. Questi imposta la propria linea di difesa sostenendo che il manifesto non era di carattere sindacale ed era oltraggioso, che avrebbe dovuto essere citato in giudizio il Commissario Governativo dell'Istituto, e che lo Statuto dei Lavoratori non era valido per la scuola. Questa linea di difesa però viene completamente confutata dal pretore che nel condannarlo espone le proprie ragioni: “anche ammettendo che il manifesto de quo non avesse carattere sindacale, non sembra a questo pretore che tale giudizio possa essere espresso dal preside; ammettendo che egli abbia la facoltà di giudicare sulla sindacalità delle comunicazioni delle varie associazioni in pratica si potrebbe giungere alla abolizione del diritto di affissione: ogni volta che una comunicazione non è gradita al preside questi, affermando che non ha carattere sindacale, potrebbe vietarne l'affissione. Se effettivamente il manifesto aveva contenuto oltraggioso e diffamatorio l'Adamoli senza abusare della sua funzione, avrebbe potuto difendere la propria onorabilità rivolgendosi alla giustizia”; riguardo al punto che non avrebbe dovuto essere citato lui in giudizio il pretore ritiene che “tale linea di difesa va del tutto disattesa e non è ammissibile né giusto scaricare le responsabilità delle proprie azioni sulle spalle di terzi estranei ad esse”; riguardo infine all'ultimo punto “l'uso restrittivo della locuzione 'enti pubblici' poteva essere in passato giustificato da una ben precisa impostazione ideologica che poneva lo stato in 'posizione di assoluta preminenza in tutto il campo del diritto', non può però ritenersi che il legislatore degli anni '70 condivida tale atteggiamento ideologico”.
All'indomani della sentenza i quotidiani del 25 giugno non mancano di commentare l'esito del processo: da una parte Il Tempo, quotidiano “indipendente” notoriamente allineato al centro, si limita a commentare che il preside Adamoli, “ha perduto nel 'braccio di ferro' con gli studenti della sezione staccata di Roseto. […] di interesse particolare è l'affermazione del principio, da parte del magistrato relativo all'uso restrittivo del significato del termine 'enti pubblici'; per il pretore in questa categoria va compreso anche lo stato”. Va detto per inciso che Il Tempo è il quotidiano che, secondo le parole della C.G.I.L., lo “ha sostenuto in ogni suo atto antidemocratico”. Viceversa Il Messaggero, allineato a sinistra, titola l'articolo con un'espressione sibillina: “Vertenza e condanna esemplare” e traccia la figura del preside Adamoli con tinte alquanto fosche: “Il preside come monarca e duce, questo era il concetto che il prof. Adamoli s'era fatto del suo ruolo e dei suoi poteri nella scuola, La Costituzione della Repubblica, il controllo democratico, lo Statuto dei Lavoratori erano per lui irritanti fole. Cosicché egli poteva a piacimento di fronte alle scolaresche uscire in arcaici attacchi contro i sindacati e contro le assemblee studentesche, senza tollerare e senza permettere un contraddittorio da parte di chicchessia”.
Il 15 luglio il preside Adamoli, nel trasmettere al Provveditore agli Studi la sentenza del pretore di Notaresco, preannuncia opposizione al decreto. La comparsa conclusionale presentata dall'avv. Nisii nel successivo mese di gennaio, oltre alla disquisizione degli aspetti più squisitamente giuridici, evidenzia come le modalità in cui sono stati presentati i fatti hanno intaccato l'onorabilità di Adamoli: “Ci si deve dire se agli studenti un Preside deve essere qualificato come astioso, grossolano, dedito ad atteggiamenti caporaleschi, espressione quest'ultima che rivela un senso di disprezzo e di iattanza. […] Il Prof. Adamoli, che è un galantuomo ha ribadito pubblicamente che l'episodio di Roseto non è stato dettato da alcuna intenzione ostile nei confronti della C.G.I.L., alla quale il giorno prima aveva reso attestazione di stima e riconoscimento delle sue funzioni. Egli ha mantenuto un comportamento obiettivamente e soggettivamente al di fuori dello schema di una condotta antisindacale. […] In sostanza quello che, nella migliore delle ipotesi, avrebbe potuto essere considerato dalle Associazioni Sindacali un equivoco, è assurto al rango di un episodio clamoroso al quale si è voluto dare pubblicità anche sulla stampa e un significato emblematico”.
Se la vicenda del manifesto termina così, perché non produrrà alcun effetto l'opposizione presentata presso il Tribunale di Teramo, non si conclude il periodo di fuoco attraversato dal Preside Adamoli. Il Comi è destinato a tornare nell'occhio del ciclone.
L'occupazione (1976)
L'anno scolastico 1976-77 riporta prepotentemente il Comi, anzi più propriamente il suo preside, alla ribalta delle cronache. Il 18 febbraio 1976 alcuni studenti dell'istituto chiedono di potersi riunire in assemblea. Mancando i requisiti richiesti dalla legge per l'assemblea, cioè la raccolta delle firme e la domanda da presentare almeno tre giorni prima, il permesso non viene loro concesso. Ne consegue che gli studenti procedono ad occupare arbitrariamente l'Aula Magna del Comi. I responsabili della scuola, dopo avere inutilmente cercato di convince gli alunni a sgombrare l'aula stessa, chiamano la Questura: la Polizia, pur giunta sul posto, non interviene direttamente perché il commissario Michele Capomacchia riesce a convincere gli alunni a sciogliere l'assemblea (vedi Il Tempo del 20 febbraio). I sindacati stigmatizzano l'intervento della polizia, e gli studenti preparano un'azione di protesta.
In questo caso si registra una decisa presa di posizione dei docenti dell'Istituto, in una dichiarazione sottoscritta da più di cento di essi, che stigmatizzano le iniziative intraprese da una minoranza di studenti appartenenti ad un ”collettivo o movimento politico unitario” che “si astiene dal partecipare alle lezioni, organizzando scioperi con conseguente massiccia pressione nei confronti dei colleghi; […] l'atteggiamento assunto da detta minoranza è assolutamente pretestuoso e turba il normale andamento delle lezioni, degenerando in assemblee e riunioni non autorizzate”. I docenti esprimono al preside Adamoli la “più profonda stima e solidarietà per l'inqualificabile attacco mosso alla sua persona, evidenziando la sua chiarissima figura di uomo di cultura che si è sempre distinto per l'alto senso del dovere”. I docenti firmatari “condannano l'atteggiamento presuntuoso e denigratorio assunto da una minoranza di studenti e da chi, con solerzia degna di miglior causa, li strumentalizza, che: offende il prestigio e il decoro di questo istituto e della nostra cittadinanza; turba il normale andamento dell'anno scolastico con innegabile pregiudizio per gli studenti tutti; crea un clima di continua tensione; suscita la legittima e vibrante protesta di quei genitori sensibili e preoccupati per l'avvenire dei figli; indigna il corpo docente, turbato da simili spiacevoli episodi, offeso dall'attacco proditoriamente portato al suo Preside e alla Scuola tutta”.
La stampa teramana descrive nelle settimane successive gli sviluppi che questo nuovo episodio ha provocato: naturalmente si assiste al consueto gioco delle parti, con Il Tempo che spalleggia l'Istituto ed il suo Preside, ed Il Messaggero che solidarizza con il movimento studentesco ed il sindacato di sinistra. Il Messaggero del 24 febbraio riporta innanzitutto la reazione suscitata dalla presa di posizione dei docenti che solidarizzano con il preside, che induce gli studenti alla richiesta di un'assemblea al termine della quale essi “hanno approvato un ordine del giorno di condanna del capo dell'istituto”. Nell'ordine approvato dagli studenti si espone “il clima che il preside ha instaurato con tutte le componenti scolastiche (alunni e professori), il ripetersi di interventi della polizia dentro e fuori la scuola (chiamata dal preside) per impedire alle delegazioni di studenti non solo di parlare con il preside stesso, ma anche di entrare dentro la scuola e di molti altri atti inaccettabili”. L'ordine del giorno, oltre a richiedere una tempestiva soluzione dei problemi della sede centrale e della succursale, arriva addirittura ad una richiesta molto grave, cioè “l'esonero del preside dal suo incarico, dato che il suo atteggiamento limita il colloquio e la democrazia nella scuola”.
A Il Messaggero fa eco Il Tempo del giorno 25 che titola il suo articolo con un eloquente “COMI: una scuola nell'occhio del ciclone” mentre come sottotitolo recita così: “La 'piattaforma rivendicativa' di una minoranza che riesce a paralizzare l'attività di tutto un istituto – 'Ormai non basta essere più un galantuomo ed avere le carte in regola' – Scioperi a catena” “Adesso gli studenti pretendono di espellere il preside”. L'articolo riporta le opinioni di alcuni docenti che se la prendono con questa minoranza di studenti che “vorrebbero istituire nell'Istituto una specie di 'tribunale del popolo'. Cacciare il preside: questa dovrebbe essere la sentenza senz'appello”. Sulla questione interviene anche il vice-sindaco Gennaro Valeri, docente di diritto ed economia, che si esprime così: “La situazione sta precipitando di giorno in giorno. Dovremo assumere posizioni ben precise, richiamando l'attenzione di sindacati e partiti su quanto accade in questo istituto. E' urgente tornare al senso di responsabilità ed al rispetto della scuola, emarginando quanti vogliono fare di questo istituto una palestra permanente di caos ed anarchia”.
Il giorno successivo sempre Il Tempo pubblica integralmente il documento sottoscritto dai docenti. L'articolo stesso sottolinea come “Negli ultimi tempi gli attacchi che da alcuni anni avevano come bersaglio il professor Adamoli si sono letteralmente concentrati” e che “la sparuta minoranza di docenti e studenti aveva proposto di 'rimuovere' (il preside), come se un capo d'istituto fosse una specie di soprammobile o peggio ancora un oggetto inutile di cui sbarazzarsi al più presto”.
Il dossier della CGIL-Scuola
Il botta e risposta sui quotidiani è incalzante, perché sempre il giorno 26 fa registrare su Il Messaggero la presa di posizione della CGIL-Scuola che chiede anch'essa la rimozione del preside. Il sindacato, che denuncia una conduzione da caserma in stato d'assedio e un'assurda spirale di tensione, ha infatti stilato un documento di denuncia di otto pagine, una sorta di piccolo “Libro bianco” sule malefatte del preside Adamoli: “I cittadini di Teramo si domandano ormai da tempo cosa ci sia di particolare in quella scuola, che non di rado presenta l'aspetto di una caserma in 'stato d'assedio': pattuglie della 'volante' che stazionano in permanenza nei pressi dell'istituto scolastico, agenti in borghese, capannelli di studenti che discutono animatamente. All'interno dell'Istituto la tensione non è meno acuta: continue sospensioni di alunni per i più disparati motivi, conflittualità permanente e rigetto degli organi collegiali, insoddisfazione e disagio del personale della scuola per le condizioni in cui è costretto a operare, proteste e legittima apprensione dei genitori”.
Per il sindacato la ragione di tutto questo stato di cose, l'elemento anomalo, come recita il documento di denuncia, va ricercata “a livello di conduzione e di quotidiana direzione dell'Istituto”. Ed inizia a trattare la figura del preside in maniera molto poco lusinghiera, elencando le sue malefatte: “Il prof. Adamoli esordisce come preside del 'Comi' con una serie di 4 in condotta che provoca reazioni a catena della cittadinanza e l'occupazione della scuola da parte degli studenti. Come i teramani ricorderanno, la vicenda si concluse traumaticamente con l'intervento della polizia. (Strana concezione della forza pubblica mostra di avere l'Adamoli; i cittadini pagano perché egli la utilizzi a suo uso e consumo, quasi si trattasse di guardia giurata). Nei confronti degli insegnanti egli assume ben presto un atteggiamento fazioso e discriminatorio, e schierandosi ostentatamente a fianco di alcuni insegnanti contro altri, e aggregandone alcuni attorno a sé in funzione di scontro. L'atteggiamento antisindacale del preside Adamoli è famigerato. La protesta dei Sindacati della Scuola si sono accumulati a tal punto da poter oggi costituire un vero e proprio dossier”.
Il documento non manca naturalmente di ricordare i precedenti di Adamoli, in primis riportando con ampi stralci la vicenda della condanna del 1974 per comportamento antisindacale. Viene sottolineato che “la parabola antisindacale di Giovanni Adamoli non si è tuttavia interrotta. Ne è prova, tra le altre, la relazione del preside sull'anno di prova di una insegnante: 'La Professoressa, di carattere vivace e particolarmente aggressiva, svolge attività sindacale a favore della C.G.I.L., di cui è una esponente. Questa circostanza, confermata da una serie di episodi spiacenti, fa si che l'attività della docente, non raggiunge quella pienezza di collaborazione che è tanto utile alla vita della scuola'. Tale passo della relazione – grammatica a parte – oltre che a una visione anacronistica della realtà contemporanea, rivela e il disprezzo delle leggi dello Stato e, quantomeno, l'ignoranza delle stesse”.
Il documento continua a mettere il dito nella piaga, e si sofferma su un altro episodio che rappresenterebbe “uno dei tanti esempi di gestione non distaccata, né equilibrata”, cioè una lettera che il Preside, con la sua personale carta intestata, avrebbe indirizzato ai genitori degli alunni dell'Istituto, (perlomeno a quelli che sono maggiormente vicini alla Democrazia Cristiana) nella quale egli segnala un professore candidato D.C. alle elezioni del consiglio regionale.
Ultimo in ordine di tempo, “buon ultimo”, è l'episodio che chiama in causa il professore ed ex preside Di Poppa, il quale nel 1968 aveva consegnato ad Adamoli il testimone nella conduzione del Comi. Cosa è successo? Il documento di denuncia lo dice chiaramente: “In data 16.2.1976 tutte le scolaresche e tutti i lavoratori del Comi sono stati costretti a subire, attraverso gli altoparlanti installati in ogni aula, un farneticante comizio di E. Di Poppa, che tutti ricordano come il più in vista degli esponenti provinciale del M.S.I. Dopo una serie diretta e indiretta di attacchi alla Nazione e alle istituzioni della Repubblica, veicolate da erudizione dantesca, sono risuonate frasi come: l'Italia è un bordello, le corna loro, ecc. A coronamento dell'edificante concione, il preside Adamoli prendeva il microfono per...... ringraziare ed elogiare il Di Poppa”.
Il quale Di Poppa, vistosi chiamato in causa, non può fare a meno di intervenire direttamente, esprimendo il suo punto di vista in una lettera inviata a Il Tempo e pubblicata il successivo 3 marzo, nella quale l'illustre letterato e dantista fa presente che al Comi “Mi vi ero recato dietro invito del preside Adamoli per illustrare a quegli alunni l'opera di assistenza morale e culturale che la 'D. Alighieri' svolge per il nostri lavoratori all'estero; ed è comprensibile che galantuomini impegnati a seminare il disordine, il cinismo e la scioperatezza a tutto beneficio del futuro dei giovani abbiano gridato allo scandalo contro uno scriteriato che ha speso quarantasei anni della sua vita a insegnare solo educazione ed operosità e a suscitare entusiasmi. Quanto alla 'Dante', siccome da tempo so della democratica avversione che questi campioni della cultura, per ordini ricevuti, nutrono contro di essa, li ho sfidati a sostenere pubblicamente le loro ragioni contro quella società nazionale, promettendo di ridurli in briciole. Siccome è gente che non si abbassa a raccogliere sfide ma preferisce lavorare nell'ombra, non ho troppa fiducia che accettino questa mia sfida”. Questo ha da dire Di Poppa sul “pasticciaccio del Comi”, come lo definisce il quotidiano.
Il documento stilato dalla C.G.I.L. Scuola conclude “il sommario excursus della Presidenza Adamoli all'I.T.C, presidenza che in verità meriterebbe ben più organico ed esauriente discorso: quasi un libro bianco” e fa la richiesta più grave: Adamoli deve lasciare la conduzione del Comi! “Equilibrio, misura, capacità di comporre democraticamente i contrasti anziché acuirli. I cittadini hanno il diritto di esigere tali requisiti in chi si trova alla direzione di un Istituto che conta più di 150 insegnanti e circa 1600 studenti. Viceversa al Comi le cose seguono un andamento diametralmente opposto. Sono prevedibili i rischi immanenti a questa situazione di endemica conflittualità?? Al punto in cui sono giunte le cose, qualsiasi sviluppo è ipotizzabile, anche il caso limite di un genitore che manda il figlio a scuola e lo ritrova in guardina. Riteniamo necessario che questa assurda spirale di tensioni venga perciò subito interrotta. IL PROF. ADAMOLI DEVE LASCIARE LA PRESIDENZA”.
Dopo gli alunni ed il sindacato di sinistra prendono posizione anche alcuni genitori degli alunni, che indirizzano una lunga lettera a Il Tempo che la pubblica il 28 febbraio. Il gruppo di genitori condanna “senza mezzi termini i fomentatori del disordine e del caos permanente”. I motivi che sono alla base delle rivendicazioni, o per meglio dire della “piattaforma rivendicativa”, “non sembrano tali da giustificare lo stato di anarchia che regna da molto tempo. […] Abbiamo letto i volantini distribuiti per le strade. A parte le sgrammaticature, c'è davvero da farsi venire la nausea. La 'piattaforma rivendicativa' pretende persino la 'destituzione' ed il licenziamento del preside. […] Qui si è passato davvero il segno e si ha la prova decisiva delle manovre di certe forze politiche che, strumentalizzando senza scrupoli una minoranza di giovani studenti, mirano a colpire un uomo libero e di diversa formazione ideologica. Al 'Comi' insomma vorrebbero istituire una specie di 'tribunale dell'epurazione'”. I genitori, nel richiamarsi al criticatissimo intervento del prof. Di Poppa, commentano: “Vanno bene invece personaggi come il vecchio senatore Adamoli, ex sindaco comunista di Genova, che qualche mese fa ha tenuto un comizio sui vantaggi del comunismo a docenti ed allievi del Liceo artistico di Teramo. Ecco perché il preside di questo istituto va elogiato e piace alla CGIL-Scuola: per il semplice motivo che fa tutto ciò che gli agit-prop interni comandano”.
Per fare una piccola digressione sulla vicenda di Adamoli, in provincia nasce un caso simile, precisamente a Martinsicuro, nella scuola media “Colombo” di Martinsicuro, dove il preside Antonio Tumminello subisce l'insurrezione di alcuni professori che sarebbero “in odore di estremismo politico e sindacale”, come recita l'articolo de Il Tempo del 4 marzo. Anche in quella scuola contestazioni, minacce di occupazione, richiesta di rimozione. L'intera vicenda però poggerebbe su accuse inconsistenti, “a una storia di antipatie e ripicche personali mascherata e ingigantita da pretesti politici e sindacali”. Per farla breve, la storia sarebbe iniziata qualche anno prima, quando durante un periodo di ferie il Tumminello mandò delle cartoline di saluti personali ad una decina di insegnanti (sui quaranta circa dell'istituto). Questo fatto evidentemente risultò sgradito a qualcuno di essi, che iniziò a parlare ironicamente del “club delle cartoline”. Ma la pietra dello scandalo è stata una sorta di domanda-trabocchetto che è stata posta al preside, vale a dire se egli credesse o meno nella costituzionalità degli organi collegiali. Il Tumminello, secondo quanto affermato da un anonimo informatore che ha fatto presente tutta la vicenda, avrebbe risposto “che io ci creda o meno non conta. So soltanto che la Corte Costituzionale sta esaminando alcuni articoli per controllare i loro fini e i loro contenuti . E' la suprema corte che deve dirci se gli organi collegiali sono costituzionali. E' bastato questo per scatenare il finimondo”. A seguito di questa affermazione il Provveditorato è stato subissato di telegrammi, lettere, di propositi di occupare la scuola, con lo scopo di ottenere il trasferimento d'ufficio del preside. Sulla vicenda il Tumminello mantenne il più stretto riserbo, così come la maggioranza dei professori, pur essendo con la parola solidali con il preside, preferirono rimanere nell'ombra
Il contro-dossier
Torniamo ad Adamoli. In una sorta di botta e risposta, alla durissima presa di posizione della C.G.I.L. fa eco un contro-dossier intitolato “In difesa dei giovani, della, scuola, della verità!!” nel quale si pone in evidenza una lettera, firmata da un gruppo di professori autonomi, inviata a Il Messaggero che però non viene pubblicata. Verosimilmente è proprio la lettera non pubblicata che induce alla preparazione di questo contro-dossier. Per la censura operata, il quotidiano viene stizzosamente apostrofato come “organo a senso unico della CGIL-Scuola”. Nella lettera rifiutata dal quotidiano i docenti si rifanno agli articoli già comparsi su quelle pagine “dal titolo sempre allarmistico e dal contenuto pesante e fazioso” e manifestano l'esigenza di esporre il proprio giudizio e con una propria versione. Lamentano innanzi tutto che il quotidiano romano “invece di contribuire con opportuni interventi a ristabilire un clima disteso e fattivo tra gli studenti, gli insegnanti e il Preside, nell'interesse superiore della Scuola, quale Istituzione primaria dello Stato, si prodiga, assumendo una chiara posizione di parte, ad incrementare le contestazioni sorte ed continuo sviluppo nei confronti della persona del Preside”.
I docenti nella lettera si soffermano anche sulla questione delle carenze delle varie attrezzature nelle aule della scuola, uno dei cavalli di battaglia del movimento studentesco, per il quale viene sempre chiamato in causa il preside. Riguardo a questo aspetto viene fatto presente che la manutenzione dei locali e l'acquisto delle attrezzature è compito dell'amministrazione provinciale e non del preside, il quale già ha avuto modo di richiedere e sollecitare tutto ciò di cui si ha bisogno nella scuola. Non manca poi il richiamo alla questione dell'occupazione dell'aula magna in occasione dell'assemblea non autorizzata da parte della classe 5. A Commercio: “Qualificare la condizione del Comi come quella di una 'caserma in stato d'assedio' costituisce una posizione tendenziosa di ogni fondamento. Si tiene a precisare che l'intervento a Scuola della Polizia, a seguito dell'occupazione arbitraria dell'Aula Magna […] fu un atto dovuto a seguito della irremovibilità degli alunni ad abbandonare l'Aula Magna e a ritornare nella propria aula, e ciò dopo una paziente opera di convinzione. In casi simili il Preside, che risponde dell'ordine all'interno della Scuola, è tenuto ad avvisare le forze dell'ordine, anche perché, in difetto, incorrerebbe nel reato di omissione di atti di ufficio. La vigilanza quotidiana delle forze dell'ordine all'esterno dell'Istituto non è cosa che riguardi il Preside, ma rientra nelle funzioni normali delle forze dell'ordine pubblico, per assicurare che la protesta si svolga nelle forme legali e democratiche, senza degenerare in atti di intimidazione o in fatti costituenti reati. Caso mai, di questo stato di cose, dovrebbero dolersi coloro che in continuazione fomentano i giovani a disertare le lezioni, con scioperi pretestuosi e a discapito della loro crescita individuale e della loro preparazione professionale”.
Il contro-dossier, nella sua evidente impostazione di voler fare da contraltare alle affermazioni contenute nel dossier della CGIL, intende metterne in luce, insieme alla disinformazione (come per l'acquisto delle attrezzature scolastiche) anche le “menzogne”. Quindi in riferimento ai 4 in condotta inflitti ad alcuni alunni c'è la risposta sibillina che “in quell'anno non ci fu alcuna bocciatura col voto di condotta”. Quanto agli atteggiamenti faziosi e discriminatori, “il Preside non si è mai comportato in modo autoritario verso i professori, anzi mediante la continua discussione e la indicazione di suggerimenti e norme didattiche ed organizzative ha cercato di rendere più funzionali le strutture scolastiche. Inoltre va ricordato che non esiste nessuna limitazione all'accesso dei professori all'ufficio del Preside”. Viene poi menzionato un episodio recentissimo (avvenuto nel mese di febbraio) che deve aver avuto il suo peso nell'alimentare il clima di tensione creatosi al Comi: esso riguarda il ricorso presentato da tre studenti che erano stati sospesi dal Consiglio di Disciplina per aver offeso le istituzioni e la dignità di un docente, per la quale sospensione gli alunni avevano presentato ricorso per “eccesso di potere”: il Provveditore agli Studi nel febbraio respinse il ricorso e riconfermò il provvedimento di sospensione.
Il contro-dossier parla di “Carnevale della Sopraffazione” citando un altro recente episodio avvenuto al Comi, nel quale “un professore si è visto invadere l'aula da una ciurma di scalmanati al grido alla moda di 'reazionario' e 'fascista'. Chi non rispetta gli organi collegiali? Sicuramente li calpesta chi non tiene conto delle norme più elementari del vivere civile, senza le quali la scuola diventa scuola di niente. Ora è la volta del preside Adamoli! Questa storia di presidi, insegnanti o studenti da cacciare, ora qui ora là, dalla scuola, è un'offesa alla libertà che tutti abbiamo il dovere di difendere e di conservare. E' un modo di agire all'insegna dell'antifascismo, ma si tratta di fascismo che ha cambiato solo colore!!! I metodi restano gli stessi. Nel 1938 furono cacciati da scuola e cancellati perfino dal registro di classe tanti compagni di studi di razza ebraica e per la stessa ragione furono cacciati dalla cattedra (come dovrebbe avvenire oggi per il preside Adamoli!) e i loro libri esclusi dall'adozione nelle scuole e dalla lettura nelle biblioteche pubbliche. I giovani non dimentichino: le idee si combattono con le idee, soprattutto si combattono con l'esempio, non con il bando o la cacciata degli 'eretici'. La nobiltà della scuola è nell'insegnare a pensare e a scegliere, nient'altro. Fuori di questi binari c'è soltanto sopraffazione, intolleranza, odio, anarchia”.
Nel contro-dossier non manca una citazione per il pretore di “Magistratura Democratica”, definito il giudice “con colbacco e idee di sinistra”, che ha condannato Adamoli per comportamento antisindacale. Egli stesso è incappato in un procedimento a suo carico nelle funzioni di magistrato. L'articolo di giornale riportato nel dossier titola così: “Si pronunciò contro la repressione: contravvenzionato”.
Gli studenti del movimento studentesco del Comi “per creare situazioni di disagio sempre più marcato in quella che è diventata un'autentica guerra al preside” organizza uno sciopero, come riporta Il Tempo del 6 marzo. “L'azione martellante ha cercato di coinvolgere gli studenti di tutte le scuole teramane” però lo sciopero, previsto per il 5 marzo, questa volta fallisce, come riporta l'articolo del giorno seguente (“Fallita la provocazione”). Tutte le scuole hanno svolto regolarmente le lezioni mentre al Comi hanno aderito allo sciopero indetto dagli “extraparlamentari” solamente un 20% degli studenti. L'articolista fornisce una precisa fotografia del momento che sta vivendo il Comi, in particolare il preside Adamoli, il quale da settimane è oggetto di “attacchi spropositati” sottoponendolo ad un “vero e proprio linciaggio morale, cui purtroppo non sono estranei alcuni docenti dell'Istituto tecnico Comi”. Il tutto opera di “una piccola minoranza studentesca” che “in pratica tiene banco al Comi, sospinta da un altrettanto piccola minoranza di insegnanti”.
Considerato lo stato di cose, per riportare ordine e tranquillità, sono gli stessi docenti dell'istituto a sollecitare una ispezione ministeriale, come viene annunciato su Il Tempo del 7 marzo. Tuttavia mentre era in corso la raccolta delle firme l'ispettore del Ministero della Pubblica Istruzione si presenta al Comi spontaneamente, tenendo una serie di incontri con docenti, genitori, studenti e dirigenti sindacali (vedi Il Messaggero del 16 marzo). Fatto sta che Adamoli rimane al suo posto. A voler leggere tra le righe di una comunicazione del 25 maggio inviata al preside dal Provveditore Alfonso Mingrone, la relazione ispettiva, che fu compiuta per il ministero dall'Ispettore Centrale prof. Giosaffatte Mondelli, “riguardante gli accertamenti sul funzionamento di codesto Istituto”, venne inviata, per copia, allo stesso provveditore, al quale viene richiamata l'attenzione sulla parte finale della relazione, nella quale l'ispettore propone che il preside Adamoli venga invitato ad “adeguare la propria azione direttiva ad una maggiore e sincera osservanza dello spirito innovatore dei decreti delegati, promuovendo e coordinando le attività scolastiche attraverso la collaborazione delle varie componenti, senza preclusione alcuna”. Il provveditore prega il preside Adamoli di fornirgli un “cenno di assicurazione”, che egli prontamente invia due giorni dopo in una raccomanda a mano. Precisa Adamoli: “Uguale assicurazione prego comunicare al Superiore Ministro, a conferma di quello spirito di devozione e di collaborazione che ha sempre ispirato la mia attività scolastica. Lo spirito innovatore dei decreti delegati richiede tanta attenzione da parte delle varie componenti chiamate ad agire in segno agli organi collegiali ed io come preside, senza preclusione alcuna, farò in modo che la mia azione direttiva sia sempre adeguata alla complessità della situazione”.
Nella comunicazione del provveditore si fa presente anche la disponibilità del ministero riguardo l'autonomia del corso geometri, che arriva puntualmente, dopo un lavoro di preparazione durato diversi anni, grazie al parere favorevole del Ministero della Pubblica Istruzione, a partire dal 1 ottobre 1976. L’Amministrazione Provinciale, in conseguenza di questa importante separazione, avrebbe voluto destinare all’Istituto “Comi” i locali dell’ex Ospedale Civile Mazzini in viale Crucioli, decisione che il preside Adamoli avversò energicamente, riaffermando categoricamente che la storica sede di Viale Bovio era da destinare unicamente all’Istituto Tecnico Commerciale, che avrebbe anzi riassorbito in quella sede anche le classi distaccate presso il Convitto Nazionale “Delfico”. La delicata fase organizzativa per l’attuazione operativa del nuovo Istituto fu portata avanti dal preside Adamoli di concerto con il prof. Giuseppe Gebbia, e richiese una sollecita esecuzione in tempi strettissimi, pena la revoca della concessione dell’autonomia. Commissario per l’amministrazione straordinaria fu il prof. Carino Gambacorta, mentre primo preside del nuovo Istituto fu nominato il Prof. Remo Santori.
Adamoli quindi conserva la presidenza dell'Istituto, la destituzione pretesa dal movimento studentesco e dalla CGIL non trova corso. La relazione ministeriale non mette in definitiva in discussione la validità del suo operato, non ci sono censure di sorta. A voler porre una conclusione emblematica su questa vicenda particolare, per ironia della sorte proprio nelle settimane successive alla conclusione di essa giunge al preside un ambito riconoscimento: la commenda alla Repubblica. Il 2 luglio, con telegramma dell'on, Malfatti, arriva il conferimento da parte del Presidente della Repubblica dell’onorificenza di Commendatore dell’ordine “Al Merito della Repubblica Italiana”.
La polemica sui corsi di sostegno (1978)
La conflittualità esistente al Comi non è destinata tuttavia ad affievolirsi, tutt'altro. Si può dire che questa sarà una costante, tra alti e bassi, ed accompagnerà Adamoli sino al pensionamento, avvenuto nel settembre 1980. Un altro momento di tensione si registra nel marzo del 1978, anche se questa volta la polemica è portata avanti con toni più moderati, e non prende di mira direttamente il preside. Oggetto del contendere in questo caso è la proposta di istituzione dei corsi di sostegno, in considerazione dell'alta percentuale di insufficienze che si sono registrate nel primo quadrimestre al Comi. Viene eseguita una indagine statistica tra gli studenti, chiamati ad esprimere la propria opinione riguardo alla opportunità di tali corsi: su un campione di 350 studenti poco più della metà si dichiaravano favorevoli a questa prospettiva, gli altri ne riconoscevano i limiti, sia per carenze operative, sia per una scarsa disponibilità dei docenti, ma pure per una scarsa partecipazione degli alunni stessi. Nella data del 15 marzo il Consiglio del Comi ne aveva già discusso, deliberando a maggioranza di non procedere alla istituzione dei corsi di sostegno. Il Messaggero del 25 marzo parla della questione, e questa volta se la prende con la maggioranza: “L'atteggiamento antisindacale e la volontà di non rinnovamento della scuola da parte della 'maggioranza', ci fanno dedurre che la bozza di programma approvata dal Consiglio sia solamente un fatto strumentale volto a spegnere le vere istanze di apertura provenienti dai lavoratori e dagli studenti”. In occasione di questa polemica la CGIL-Scuola, insieme al “Comitato di lotta degli studenti del V. Comi” prepara un volantino in cui si sofferma sugli aspetti della questione, lamentando la mancanza di un vero dibattito, soprattutto dopo l'esito del sondaggio operato tra gli studenti. Nel volantino si parla di “orientamento antidemocratico a difesa dei privilegi e del corporativismo, rifiutando un incontro con la sezione sindacale CGIL-Scuola”. L'intento del sindacato era comunque quello di “discutere gli aspetti di un problema che, comunque, investe il mondo della scuola, poiché, per quanto grossi siano i limiti organizzativi e didattici dei corsi di sostegno, in mancanza di proposte alternative da parte del collegio dei docenti, pur rappresentano uno strumento per ridurre il fenomeno della selezione che scaturisce dai sistemi tradizionali di insegnamento […] Ma evidentemente interessi particolari ed esigenze politiche, a tutela del privilegio, del corporativismo, della piaga delle lezioni private e della volontà conservatrice suggeriscono alla maggioranza del Consiglio di rifiutare il momento di discussione e di riflessione sui dati raccolti”. Vengono criticati anche gli esponenti del sindacalismo confederale che “forse, per non aver nitide la funzione del sindacato e la linea unitaria, hanno finito con l'avallare l'atteggiamento antidemocratico del Consiglio d'Istituto”
Gli ultimi contrasti (1979-1980)
Un nuovo manifesto
Nell'anno scolastico successivo, il 1979-80, l'ultimo della carriera scolastica del preside Adamoli, questi torna nuovamente nella bufera a causa di un manifesto contro il suo operato. La storia inizia a causa di alcuni alunni che, durante l'assemblea, fumavano in classe. Nonostante la professoressa li avesse richiamati a non farlo gli alunni fumano, di conseguenza la professoressa mette una nota sul registro di classe. La nota si riferisce al comportamento di più alcuni, senza specificarne però i nomi. Recatasi nell'ufficio del preside, questi le richiede di fornire i nominativi degli alunni che non avevano rispettato il divieto di fumare, ma la professoressa non precisa chi fossero. Per non aver saputo, o voluto, fornire i nominativi richiestigli dal preside, questi le infliggeva un “avvertimento”, tramite raccomandata, per non aver adeguatamente vigilato sulla classe. La circostanza scatena nuovamente la reazione della CGIL-Scuola, che pubblica un manifesto in cui si stigmatizza il comportamento del preside nei confronti della professoressa, iscritta alla CGIL, e pubblicando nell'aula magna un manifesto nel quale viene riferito che la stessa sarebbe stata “cacciata dagli uffici della presidenza con parole degne del solo Adamoli”. Il sindacato tiene a precisare che “la nota non è e non può essere considerata come una richiesta di sanzione disciplinare, ma deve servire a focalizzare il problema e a trovare soluzioni più idonee”.
Il preside nella raccomandata se la prende anche con la professoressa, quale rappresentante sindacale, per il contenuto del manifesto, e la invita a rimuoverlo minacciando “un intervento diretto degli organi competenti”. Il sindacato contesta sia la forma dell'intervento del preside, in quanto alla professoressa doveva essere attribuito un margine di tempo per presentare le eventuali controdeduzioni, sia il linguaggio intimidatorio utilizzato. E richiede un incontro per confrontarsi sui contenuti del manifesto, incontro che però Adamoli rifiuta.
L'articolo pubblicato su Il Messaggero del 9 novembre 1979 che riporta i fatti è accompagnato da un editoriale di Franco D'Ignazio, che commenta così: “gli episodi che vanno in questi giorni interessando il Commerciale Vincenzo Comi sono la più chiara riprova di come un'istituzione per affermarsi a qualsiasi costo debba 'penalizzare' prima ancora di provare a praticare il metodo del confronto. […] al capo d'Istituto, professor Giovanni Adamoli, è rimasto il vizio, anzi il pallino, di quel presumere che se da una parte sta proprio a costargli delle autentiche magre, dall'altra darebbe ad intendere come il tempo trascorra inutilmente. Sì, perché, nonostante tutto, non è cambiato il professor Adamoli, ma non si può pretendere che, nel frattempo, non siano maturati sempre più nitidi i convincimenti secondo cui certi presidi, certi metodi, una certa scuola così come ancora la si vorrebbe, sono quelli che più malamente si conciliano con le esigenze di oggi. […] Come può pretendere un preside che gli altri abbiano a comprendere e convincersi di lezioni, quando lui stesso rifiuta a capire, nel fondo, i significati di esperienze anche delle più scottanti?”
Questa volta la polemica non ha modo di rinfocolarsi ulteriormente, perché interviene tempestivamente il Provveditore agli Studi di Teramo, al quale il Preside aveva trasmesso sia la lettera di ammonimento sia il manifesto della CGIL-Scuola. Giuseppe Maraglino dà torto ad Adamoli, facendo presente che, come previsto dalla legge, “la sanzione deve essere inflitta a conclusione di regolare procedimento disciplinare da iniziare all'atto di contestazione degli addebiti assicurando così il diritto di difesa. La necessità della precisa formulazione preventiva della contestazione degli addebiti e la possibilità assicurata ai destinatari di controdedurre in merito entro 20 giorni discende dal generale principio del contraddittorio che regola tutti i procedimenti contenziosi in ossequio alla Costituzione per cui la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento” (vedi Il Messaggero del 10 novembre 1979).
L'ultima accusa
Siamo quindi nel 1980. La carriera scolastica di Giovani Adamoli è ormai agli sgoccioli, una carriera iniziata, come supplente di matematica, nel 1945 proprio nell'istituto Comi, dove egli è pure stato studente. La sua intera esperienza è legata indissolubilmente alla storica scuola teramana: più di venti anni di insegnamento, quindi la nomina quale capo d'istituto a partire dal 1967. Tredici anni di presidenza segnati da intenso lavoro, da soddisfazioni, ma carichi di tensione, soprattutto negli ultimi anni, quando la scuola va rinnovandosi profondamente. Negli anni della presidenza trova pure il modo di studiare, e nel 1972 consegue una seconda laurea in scienze politiche, dopo quella in economia e commercio.
Eppure anche gli ultimi mesi di scuola non sono tranquilli per Adamoli, perché si registra una nuova puntata, l'ultima, dello scontro che ormai va avanti da anni tra il preside ed il sindacato scuola CGIL. In occasione di un incontro avuto tra questo sindacato ed il Provveditorato agli Studi in data 18 aprile 1980, nel quale vengono trattati ben 22 punti di discussione, si menziona al punto 8 la trattazione della “situazione all'Istituto Tecnico commerciale di Nereto e 'V. Comi' di Teramo” sul quale si è convenuto che “per verificare quanto esposto dal Sindacato C.G.I.L. e da insegnanti delle due scuole sul conto dei due presidi, il Provveditore invierà una ispezione”.
Questa volta non è dato sapere di cosa si tratta, non vengono segnalate le motivazioni, non ci sono manifesti, né articoli di giornali che espongono qualche nuovo “pasticciaccio”. La questione sarebbe destinata a rimane nell'ombra, se non fosse che dal rinvenimento di una comunicazione “riservata personale” del Provveditorato agli Studi di Teramo del 27 giugno, indirizzata al preside del Comi, ed avente per oggetto un esposto della C.G.I.L.-Scuola, il provveditore Giuseppe Di Cesare trasmette ad Adamoli una copia della lettera che il detto sindacato aveva inviato e al provveditorato e al Ministero della Pubblica Istruzione, e gli scrive che “Non è superfluo far presente che lo scrivente non ha né promesso né garantito ispezioni nei confronti della S.V.. Si prega di voler riferire in via riservata e con ogni urgenza su quanto forma oggetto dell'unita lettera”.
La lettera in questione, oltre ad antiche rivendicazioni, questa volta riporta anche dei gravi sospetti a carico del preside del Comi (come pure del preside dell'Istituto di Nereto). Nella lettera del 31 maggio il segretario provinciale della CGIL, che firma la lettera, fa presente che, come era stato garantito nell'incontro dell'aprile scorso, egli non ha ancora provveduto ad inviare le ispezioni nei confronti dei due presidi, rappresentando “l'urgenza che riveste questo Suo adempimento poiché dovrebbe accertare i comportamenti dei due presidi nei confronti di alunni, insegnanti e personale non docente e a verificare se risponde al vero che i due presidi hanno percepito il compenso per lo straordinario senza aver effettivamente prestato il servizio relativo. Certamente l'invio di ispezioni non ha e non può avere un valore punitivo nei confronti dei due presidi ma è necessario per dissipare dubbi, accertare i fatti e salvaguardare così anche l'onorabilità di questi due dirigenti scolastici”. La lettera si chiude con un invito ad “evitare ritardi che danneggerebbero di fatto i risultati delle ispezioni suddette”. Null'altro.
Di quest'ultimo capitolo non ci sono ulteriori elementi o fatti da riportare. La questione si è svolta lontano dal clamore mediatico, sono evidentemente esistiti dei sospetti, forse dei veleni, ma nessun passo ufficiale evidentemente è stato poi compiuto. Le ultime settimane della vita scolastica di Adamoli si chiudono con questo penoso episodio. Qualche giorno prima della comunicazione del provveditore Di Cesare che intendeva rassicurarlo, il preside il 13 giugno viene colpito da un infarto e viene ricoverato all'ospedale Mazzini per due settimane, ricevendo la visita di numerosi colleghi. L'Araldo Abruzzese del 22 giugno annuncia poi che il preside Adamoli “ha chiesto il meritato riposo” e lascia la scuola: “Il tempo passa per tutti: anche per i presidi”. L'articolo traccia un breve excursus della sua vita: “Ma noi non pensiamo alla fine di un’attività. La sua vita, resa difficile dalla guerra e dalla prigionia (egli ricorda sempre il tempo passato, come prigioniero, a Tarnopol in Polonia e l’incontro indimenticabile con un singolare cappellano che ha fatto carriera: Mons. Francesco Amadio, già Vescovo di Sulmona e ora di Rieti) ebbe fortuna nell’insegnamento. Cominciò la carriera giovanissimo, insegnando provvisoriamente matematica, per divenire poi professore di ragioneria e quindi preside. Come preside iniziò a Nereto (l’Istituto Tecnico Commerciale e per Geometri), continuò a Roseto ed è finito al “V. Comi” di Teramo. Ma mentre si occupava di scuola, ricopriva anche diverse cariche nella vita pubblica: nell’Amministrazione ospedaliera (Vice presidente), nella Direzione del Liceo musicale “Braga” (Presidente) e, come assessore, nell’Amministrazione comunale. Queste tappe sono state rievocate con commozione dal dott. Franco Partenza che è stato alunno di Adamoli e dal Sindaco, il prof. Gennaro Valeri, il giorno 26 maggio, dinanzi a molti professori del “Comi” stesso, in occasione della consegna di una medaglia d’oro e di una pergamena-ricordo. Al preside Adamoli, tanti auguri per una vita nuova: diversa per impegni specifici, ma fondamentalmente uguale, in quanto che, ad uno uomo della scuola, non si possono chiedere che impegni culturali ed educativi”.
Giovanni Adamoli viene collocato in pensione a partire dal 10 settembre 1980. Dieci giorni prima partecipa alla sua ultima riunione del Collegio dei Docenti. Dal verbale si legge: (Il Preside) “spera di non commuoversi in questa circostanza, ma sa che si commuoverà quando ripenserà a tutto questo, quando tornerà col pensiero alla scuola. Non desidera perciò dilungarsi oltre”. "...nel dolore che provo distaccandomi dalla Scuola che resta, per tutta la mia vita il mio mondo di sogni, di fede, di ideali e di amore”. Muore il 16 aprile 1983 a causa di un arresto cardiaco.
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