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gnersi ad un tratto come Donizetti. Ivry non è V Elba ma la Sant' Elena di Donizetti: di questo Prometeo, a cui basterebbero cento giorni per rinondar F Universo di nuove melodie.
Donizetti otteneva plausi in Italia quando era già divinizzato Rossini, ne otteneva quando era i-dolatrato Bellini, immensamente amato Pacini, assai stimato Mercadante. Forte de' suoi studi, ma incerto tuttavia della potenza dell'anima sua, egli mesceva timidi canti, ma sereni e spontanei all'eco ancor ripetuta dei canti di un Paesello, di un Cimarosa, di un Mayer.
Due genii veramente sfolgorarono sulla musica italiana, uno rinovellandola di ardite forme, l'altro di tutta passione ritemprandola; quello, aquila inarrivabile, che sfida i raggi meridiani del Sole; questo, patetico usignuolo, che riempie di soavità i fiorenti campi della natura. Donizetti si assise in mezzo a loro, e Dio benedisse il nobile ardimento, e il Mondo plaudì.
Un ingegno bizzarro tra que' millanta di cui ribocca Parigi, con ispirito di parodia, ma di verità ad un tempo, delineò Donizetti in atto di scriver musica buffa con la destra e musica seria colla sinistra: s'io fossi pittore lo rappresenterei invece con l'una mano sulla mente di Rossini, con l'altra sul cuore di Bellini
Bergamo, invidiosa della fortunata Pesaro, oggi guarda da lungi con occhi pregni di lagrime il suo più prediletto cittadino e memore, ahi troppo! della sventura di Catania, teme non avesse anch'ella a