Stai consultando: 'Giosue Carducci Biografia - Opere - Metrica', A. Franzoni

   

Pagina (19/95)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina      Pagina


Pagina (19/95)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina




Giosue Carducci
Biografia - Opere - Metrica
A. Franzoni
Società Tip. succ. Wilmant Lodi Milano, 1909, pagine 92

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

Aderisci al progetto!

   
[Home Page]




[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   — llJ —
   blicano degli elettori di Lugo, la nota ode altaica Alla Regina; la quale, pubblicata in quello stesso anno, aveva suscitato tutte le ire dei compagni democratici che lo tacciarono come di tradimento ; del che egli si difese nella scintillante polemica Eterno femminino regale. D'allora, egli s'avviò verso la monarchia, o, meglio, si riconciliò a quella monarchia che il 1859 aveva cantato nella Canzone a Vittorio Emanuele e nella Croce di Savoia. In complesso, era il garibaldino che, nel suo grande amor di patria e nella aperta schiettezza del carattere, sapeva e voleva riconoscere ed apprezzare la diversità dei tempi e delle condizioni. I Ma altri fatti sopraggiunsero ad irritare i suoi nemici. Nel 1882 , commemorando divinamente Giuseppe Garibaldi, egli aveva invocato la concordia dei partiti ; neh' '88, iti presenza del Re, per 1' ottavo centenario dello Studio di Bologna aveva reso nuovo e caldo omaggio alla Dinastia Sabauda; nel '90 pubblicava il Piemonte, iti cui era possentemente idealizzata la tigura di Carlo Alberto; e ancora nel '90 il Poeta accettava la nomina a Senatore. Non poteva esservi condotta più leale ; se non che 1' aver egli nel '91 accettato d' essere padrino della bandiera del Circolo monarchico scatenò l'ire degli studenti repubblicani e socialisti che commemoravano allora il Mazzini: e quei giovani, che portavano nella politica l'ardore della loro età, gli fecero nel marzo di queir anno una grave e dolorosa dimostrazione ostile, in cui venne ferita la mano del Poeta che aveva scritto le più divine cose dopo Dante; della quale dimostrazione il Villari ebbe a dire che gli pareva aver veduto