Storia fiorentina (volume 9) di Benedetto Varchi
[1529]LIBRO DECIMO.
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bugie delle parole, nè alle finte dimostrazioni, ma alla verità de'fatti prestando fede, e non simulatamente, come gl'ipocriti fanno, ma sinceramente procedendo, più, dopo l'onor di Dio, la salvezza della città e patria loro, che ogn' altra cosa, e sia qualsivoglia, ameranno e terranno cara.
Queste parole furon dette cosi agramente dal Cambi, non tanto per cagion della legge, la quale era stata vinta allora, quanto per una di troppo maggiore importanza, la quale avevano in animo che vincere poco di poi si dovesse sopra i beni de'preti solamente, come si vedrà.
X. Quanto più s' avvicinava l'esercito verso i confini, tanto il sospetto e la paura divenivano in Firenze ogni giorno maggiori; perchè i cittadini principali veggendo la mala contentezza del popolo ed il pericolo della città, ragunata di nuovo con gran fretta la Pratica, deliberarono dopo qualche contrasto, che si dovessero mandare ambasciadori a papa Clemente, si per mostrare d'umiliarsi, e si per intendere la cagione, la quale eglino pur troppo sapevano, perchè Sua Santità movesse loro guerra. Furono eletti Luigi di Giovanfrancesco de'Pazzi, il quale, allegando che per esser crepato non poteva cavalcare, rifiutò, e Pierfrancesco Portinari alli sedici, e alli diciassette per ordine della Signoria fu creato Andreuolo Niccolini, e a' ventuno Francesco Vettori, il quale s' era rifuggito a Pistoia, e Iacopo Guicciardini; e mentrechò si mettevano in ordine per partire, spedirono in poste Francesco Nasi, che facesse intendere a Sua Beatitudine, come le mandavano quattro oratori, e la pregasse umilmente che fosse contenta di fare che l'esercito, infin a tanto ch'ella gli udisse, fermare dovessesi ; la qual cosa Clemente non volle fare.
XI. Erano in questo mentre il viceré e tutte le genti nimiche entrate ostilmente in sul fiorentino; e arrivate il giorno di santa Croce sotto Cortona, fu mandato un trombetta a chiedere per parte dell' illustrissimo monsignore Filiberto di Scialon viceré di Napoli e capitano generale del felicissimo esercito cesareo, in nome, passo e vettovaglia, in fatto, la possessione della città. Ma Carlo Bagnesi, il quale v'era in quel tempo capitano, non volle che se gli rispondesse nè bene nò male; onde il marchese del Guasto, preso l'assunto diV ARCUI.— 2. 10
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