Storia fiorentina (volume 9) di Benedetto Varchi
196 ' storia fiorentina. [1529]molte gozzaie e di cattivissimi umori, essendo di tanti pareri e in tante parti divisi, eglino nondimeno s'astenevano, non che da manomettersi l'un l'altro co' fatti, d'ingiuriarsi colle parole, dicendo : Questo non è tempo da far pazzie, levianci costoro da dosso, e poi chiariremo questa partita tra noi. Avevano scritto in su tutti i canti principali a lettere grandi, o con gesso o con carbone ; POVERI, E LIBERI. Fra Benedetto e Fra Zaccheria seguitavano le lor prediche con infinito concorso di popolo dell' un sesso e dell' altro; e perchè essi per inanimire più il popolo, promettevano da parte di Dio la vittoria certissima, come faceva già Fra Girolamo, ed erano creduti da molti, erano cagione che molte cose, ancora delle necessarie, o si tralasciassino o si trascurassono : e brevemente, come si facevano molte opere lodevoli e a proposito di quel tempo, cosi molte se ne facevano biasimevoli e fuora di proposito.
LXXVI. E trair altre leggerezze, per non dir empietà, che si fecero non solo da giovani, ma da giovani di poco o di cattivo cervello, le quali non potevano giovare a cosa nessuna, ma bene nuocere a molte, fu riprensibile questa molto, che io narrerò, della quale, come di tutte l'altre, si servi il papa al tempo mirabilmente. Alloggiava nella Via Larga nella casa del signor Giovanni, il gonfalone Lion d'oro, del quale era Vettorio di Buonaccorso Ghiberti, il qual Vettorio era in qualche credito e riputazione, non per le sue virtù, ma per quelle de' suoi passati, essendo egli disceso da quel Lorenzo di Bartoluccio, il quale lavorò le porte di bronzo di San Giovanni, opera certamente miracolosa e forse unica al mondo. Costui, o per istigazione del Bogia che v'era capitano, o d'altri, o per qualunche altra cagione se lo movesse, dipinse nella facciata della principal camera della casa papa Clemente in abito pontificale e col regno in testa, in sulla scala delle forche, al quale Fra Niccolò della Magna a guisa di giustiziere dava la pinta, Iacopo Salviati a uso di battuto gli teneva la tavoluccia innanzi agli occhi, e l'imperadore a sedere con una spada ignuda in mano, che in sulla punta aveva scritto queste parole : Amice, ad quid venisti ? l'accennava. Dispiacevano queste tali troppo licenziose e malvage
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