Del vitto e delle cene di Giuseppe Averani

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      94 lbjsxoana ottavaegli poeta e delle muse amico, e volendo far tempoue e stare allegramente tutta quanta la notte sbevazzando, non sia verisimile che se la volesse passare con tanta parcità si temperatamente beendo. Perciocché l'istesso Augusto, quantunque del vino astinentissimo, nelle solenni allegrie sei sestanti, cioè dodici ciati, ber solca. Tranquillo il narra : Vini quoque natura parcissimus erat, non amplius ter biberè eum solitum super ccefiam in castris apud Mutinamf Cornei tus Nepos tradit: po-8 tea quoties largissime se invitar et, sems sextantes non excessit Egli è vero che quello Stratego presso Plauto comanda che .si bea cinque volte solamente; ma osservate che beeva nel cantaro, bicchiere largo e profondo e di gran vino capace. Questo cantaro era il bicchiere proprio di Bacco, dio de' bevitori. Macrobio cel dice nel libro quinto de?Ragionamenti Carnevaleschi al capitolo ventunesimo: Scyphus Herculis poculwn est, ila ut Liberi patris cantharus: ed usollo dopo aver trionfato dell' Oriente. Plinio e Valerio Massimo il raccontano proverbiando la burbanza di Mario, che tratto dall' emulazione, in simigliante maniera a Bacco agguagliar si volle. Gaii Marti pane insolens factum ; nam post lugurthinum , Cimbricumque , et Teutonicum toriumphum, cantharo semper potavit; quod Liber pater inclytum ex Asia deducens ùriumphum hoo usus poouli genere ferebatur. Epigene, i cui versi sono rapportati da Ateneo, e nella toscana favella dal dottissimo Redi trasportati, graziosamente si lagna che non si facessero più cantari ; ma bicchieretti piccoli e galanti,
      Quei cantari oggi più non si lavorano ;
      Quei cantari gagliardi : ahi lasso l maBicchieretti galanti e piccolini :
      Quasi % bicchieri e non il vin si bea.
      Questi bicchierini servivano alle tavole di quelli che


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Del vitto e delle cene degli antichi
di Giuseppe Averani
G. Daelli e comp. Editori Milano
1863 pagine 169

   

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