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IL PURGATORIO
tito. era stalo accolto nel grembo della grazia divina. E, se l'arcivescovo di Cosenza fosse stato più immensa indulgenza di Dio, certo non avrebbe fatto disperdere le sue ossa lungo il Verde. La maledizione e la scomunica degli ecclesiastici non bastano a far perdere l'eterno amore in modo che non possa tornare, fino a tanto che dura la vita. Però i contumaci della Chiesa non restano in ogni modo impuniti; essi anzi indugiano l'entrata nel Purgatorio un tempo trenta volte maggiore di quello trascorso nella scomunica, purché questo periodo non sia abbreviato da preghiere e suffragi di persona che viva nella grazia divina.
Manfredi termina il suo dire rinnovando la raccomandazione di ricordarlo alla sua figliuola Costanza poiché, per un anima che espia, molto può fare la preghiera dei superstiti.
CANTO IV.
Dante, nell'ascoltar Manfredi e nel meravigliarsi, non si è accorto che il sole è salito di ben cinquanta gradi; ma gli spiriti dei contumaci annunziano che ormai sono arrivati- al punto dove dall'isoletta si sale al primo balzo. I due poeti s'arrampicano con estrema fatica per una ripidissima viottola scavata nel sasso. Giunti ali orlo supremo dell alta ripa. Dante chiede al maestro se debba rivolgersi a destra o a sinistra, e Virgilio gli ingiunge di continuare a salire fino a che appaia qualche savia scorta. Dante cerca d'impietosire il suo duce sulla sua stanchezza e d'indurlo a soffermarsi: ma Virgilio lo sprona con successo a camminare fino ad un balzo che cinge il poggio visibile dalla parte in cui si trovano.
Saliti su questo balzo, i due pellegrini siedono con la faccia rivolta a levante. Dante prima guarda