Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
12 DACTYLOPTERUS — DADI (GIUOCO DEI)
DACTYLOPTERUS. V. Dattilottero.
DACUS (zool.). — Genere d'insetti dàtteri, di cui è specie tipica il D. oleoe, che in istato di lan a pregiudica tanto gli olivi.
DADDI Beraardo (biogr.). — Pittore della scuola fiorentina, nato in Arezzo, morto nel 1380, fu allievo di Spinello Aretino, cui superò dipoi, come attestano i suoi dipinti pervenuti sino a noi, i quali sono del resto i soli positivamente mentovati dal Vasari, che non parla di lui se non per incidenza nella Vita di Jacopo del Casentino. Lanzi ne fa menzione viepiù succinta, e non pertanto ei meritava un posto più importante nell'istoria della pittura. Daddi ebbe incarico di dipingere la cappella di San Lorenzo e Santo Stefano in Santa Croce, cappella appartenente ai Pulci ed ai Berardi, e oggigiorno alla famiglia Baldi. Nel lato sinistro la scena è doppia, e rappresenta Santo Stefano davanti il suo giudice, e la sua lapidazione ; sulla parete destra scorgesi il Martirio di san Lorenzo. Questi freschi furono ritoccati, ma vi resta ancor molto dell'antico. Delle pitture fatte sopra le porte della città di Firenze dalla parte di dentro rimangono tuttodì quelle sulle porte a Pinti, a San Niccolò e a San Giorgio, ed in quest'ultima a mala pena leggesi il millesimo, che sembra mcccxxx. Bernardo Daddi morì carico d'anni, e se i suoi dipinti non sono numerosi, vuoisi a crivere, senza dubbio, a ciò che il suo merito, secondo riferisce il Vasari, gli procacciò molte magistrature, che lo astrinsero spesso a deporre il pennello.
Vedi Vasari, Vite dei pittori (Firenze, per Le Monnier, edizione pregevolissima per note e giunte, 1846-1857).
DADDI Cosimo (biogrX — Pittore della scuola fiorentina, visse al principio del secolo xvn, fu allievo di Naldini, ed ammogliatosi e posta stanza a Volterra, divenne maestro di Baldassarre Franceschi™, si noto sotto il nome di Volterrano (V.1, ciò che ha contribuito, più che i suoi dipinti, alla sua nominanza. Le sole opere che di lui si citano sono due dipinti conservati a Volterra. Nel palazzo del Museo e nella sala degli Archivii della medesima città ve-desi una Madonna fra due santi, dipinta a fresco da questo maestro, ma talmente sfigurata dai restauri che mal se ne può prezzare il merito.
DADI (giuoco dei) (cost. aut. e mod.). — Antichissimo è questo giuoco, e inutile sarebbe il ricercarne l'origine. Sia che l'inventasse Palamede all'assedio di Troia, come vuole Padania, sia che ne fossero trovatori i Lidii, come narra Erodoto, è certo che i Greci molto se ne dilettarono, e che, giuocando con tre dadi, usarono di dare ad ogni combinazione di numeri un nome tolto da una divinità, da un eroe, da qualche personaggio illustre, e perfino dalle più famose cortigiane. Dai Greci il giuoco passò ai Romani, presso i quali fu di due maniere. Per l'una facevasi uso di tali, che corrispondono ai nostri aliossi; per l'altra adoperavansi le tessara, che sono appunto i nostri dadi. Il talus dei Romani in origine non fu, dice il Forcellini, che un osso naturale, di forma quasi cubica, il quale si trova nell'articolazione del piede di varii animali d'unghia fessa (daxpaYaXo; dei Greci1, avente sei facce, quattro piane e due cun e. La tessera poi differiva dal talusper essere un cubo perfetto, e fu così detta, dal jonico TcWpoi per r-Wapa (quattro), dall'avere tutte le sci facce quadrate. In conseguenza di questa diversità di forma il talus era soltanto segnato di quattro numeri (1. 3. 4. 6) sulle facce piane, mentre la tessera portava i numeri dall'I al 6 distribuiti sulle sei facce. Giuocavaci ordinariamente con tre tessere e quattro tali ad un tempo, e il giuoco chia-mossi propriamente alea, quantunque in appresso questo nome fosse dato a tutte le specie di giuochi d'azzardo. Le leggi romane proibivano tutti i giuochi aleatorii, tranne nel mese di dicembre ; ma queste leggi non erano gran fatto osservate ; quindi è che tanto da molti passi d'autori, quanto da bassirilievi e da pitture si vede come il giuocare ai dadi fosse cosa frequentissima e popolare. Ogni combinazione di numeri, siccome si è detto, aveva il suo nome particolare, e presso i Romani la migliore dicevasi jactus venerius o basilicus, e la peggiore (tutti ass«) era denominata canis o canicula, jactus vulturius, jactus chius. Perciò troviamo in Properzio Eleg. 8, 45) :
Me quoque per talos Venerem queerente secundos, Semper damnosi subsiluere canes.
Ai tempi d'Augusto il tratto di Venere, consistente nei numeri 1. 3. 4 e 6 (cioè nel linguaggio d'allora canis, ternarius, quaternarius e senio) era più favorevole di ogni altro e dello stesso numero massimo composto di tutti seniones, siccome ricavasi da Sve-tonio (Vita d'Aug., c. 71), dove si riferisce un'epistola di questo imperatore a Tiberio. « Lusimus, mi Txberx, Yepovttxwi; (al modo de' vecchi) et heri et hodie. Talis enim jactatis, ut quisque canem aut senionem miserai, in singulos talos singulos dena-rios in medium conferebat, quos tollebat universos qui Venerem jecerat ». Plauto (Curculir, 3, 77) fa una viva descrizione del giuoco dei dadi, la quale prova come questa passione prevalesse nel popolo, e come vi si avventurasse ogni cosa quando era venuto meno il danaro :
Provocat me in aleam, ut egoludam. Pono pallium ; Ille suttm unulum opposivit; invocat Planesium, .... Jacit vulturius quatuor. Talos arri pio, invoco ahnam meam nutriculam Htr-Jacto basilicum. (culeni,
L'esempio di alcuni imperatori, e particolarmente di Nerone, diede a questo pericoloso giuoco una popolarità funesta, la quale degenerò in vero furore, cosicché non fu raro il vedere persone ricchissime arrischiare tutte le loro sostanze ad un solo trarre di dadi.
Nei bassi tempi questo giuoco si disse ludus de-ciorum o da forum, espres sione che si riferisce ad un tempo all'italiano dadi e all'inglese dice; ma quando e come il nuovo termine fosse introdotto non è cosa che possa chiarire, e niuna delle etimologie che ne sono state proposte ha del probabile, tranne quella che lo deriva da daddon, nome dello stesso giuoco presso gli Arabi, dai quali forse ci pervenne o per la via del traffico del Levante o per mezzo degli Spagnuoli, ch'esci medesimi l'adottarono.
Non ci tratterremo a parlare di questo giuoco presso i moderni, tra i quali sembra che fosse altret^iOOQLe
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