Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
DAMASO n POPPONE
— DAME BIANCHE
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Le opere esistenti di Damaso sono: Sette epistole scritte fra gli anni 372-384, indirizzato ai vescovi d'Illiria, a Paolino, ad Acolio e altri vescovi di Macedonia, non che a san Girolamo. Queste epistole riferisconsi la più parte alle controversie religiose di quei tempi e non sono senza importanza come materiali per la storia ecclesiastica (V. Epistola Pontificum Romanorum per Constant, Parigi 1721). Meglio di quaranta poemetti di vario metro e subbietto, religiosi, descrittivi, lirici e panegirici, in un con alcuni epitafii. Non ostante la testimonianza favorevole di san Girolamo (De Viris illustr., c. 103), nessuno di questi poemetti è notevole per pensieri od espressioni, e le regole della classica prosodia sono apertamente violate. Queste poesie furono pubblicate separatamente in alcune delle primitive edizioni di poeti cristiani da A. M. Merenda (Roma 1754), ed una raccolta, comprendente
1 Sanctorum Elogia, contiensi nelle Opera veterum Poetarum latinorum per Maittaire (Londra 1713,
2 voi. in-fol.).
Fra le opere perdute di Damaso voglionsi annoverare alcune epistole, un trattato De Virginitate, misto di prosa e poesia, e sommarii in versi esametri di certi libri del Vecchio e Nuovo Testamento (Hieron., Epist. ad Eustoch. de custod. virgin.). Alcuni Decreta, un libro intitolato Liber de Vitis Pontificum romanorum e molte epistole sono credute spurie.
La più antica edizione delle opere compiute di Damaso è quella fatta da Sarrazanio e pubblicata da Ubaldini sotto la protezione del cardinal Francesco Barberini (Roma 1638). Esse contengonsi altresì nella Bibl. Max. Patrum (voi. ìv, p. 543, ecc.), e più correttamente nella BiUiotheca Patrum di Ualland (voi. vr, p. 321).
Intorno la vita e il carattere di Damaso vedi le testimonianze e biografie raccolte nell'edizione di Sarrazanio — San Girol., De Viris illustr. (c. 103); Chronic. (p. 186, ad Nepot.) — Ambros., Adv. Sym-mach. (11) — Agost., Serm. (49 ecc.) — Bayerus, Damasus et Laur. Hispanis asserti et vindicati (Koma 1756).
DAMASO II POPPONE (biogr.). — Vescovo di Bressanone, nativo delia Baviera, nato di umili parenti, ma di mente elevata, sostenuto dalla protezione di Arrigo III, il 17 luglio 1048 fu benedetto in Roma e venerato per papa in luogo di Benedetto IX, stato deposto dal Concilio di Sutri. Morì a Palestrina ventitre giorni dopo la sua elezione, e gli succedette Leone IX.
DAMASONIO (bot.). — Genere di piante della famiglia delle alismacee, che contiene piante acquatiche, vivaci o annue, con foglie cordiformi, fiori bianchi a verticilli, sulla superficie delle acque stagnanti.
DAMASTE (biogr.). — Di Sigeo, storico greco, contemporaneo d'Erocloto e d'Ellanico di Lesbo, coli'ultimo dei quali è spesso confuso. Suida lo chiama anzi discepolo d'Ellanico, mentre Porfirio (ap. Eus. Prap. Evang., ix, pag. 468) riferisce che Ellanico tolse da Damaste e da Erodoto molte notizie ris-guardantii costumi delle nazioni straniere. Quest'ultima asserzione ha indotto alcuni critici a credere che Porfirio alluda ad un Ellanico posteriore di Mileto ; ma non havvi alcun motivo di fare unasimile supposizione, e la soluzione più semplice si è che l'opera di Damaste fu pubblicata prima di quella di Ellanico, o, il che è più probabile, che Porfirio ha preso un granchio. Secondo Suida, Damaste compose : Una Storia della Grecia; Sugli antenati di coloro che presero parte alla guerra contro Troja; un Catalogo delle nazioni e città, identico probabilmente all'opera citata da Stefano di Bisanzio sotto il semplice titolo di rapì I0vwv, Tutte queste opere sono perdute, ad eccezione di pochi insignificanti frammenti. Eratostene fece grand'uso di esse, di che è censurato da Strabone (i, p. 47), che poco apprezza le opinioni di Damaste e gli dà nota d'ignoranza e credulità. Dionisio di Alicarnasso (A. JR., i, 72) ne informa che Damaste parlò della fondazione di Roma.
Vedi: Sturz, Fragm. Hell. (p. 14 ecc.) — Ukert, Untersuchung. Uber die Geographie des Hecatceus und Damastes (Weimar 1814).
DAMAUN (geogr.). — Distretto dell'Afghanistan, una volta soggetto al re del Cabul, ed ora diviso fra molte piccole tribù non incivilite che sono spesso in guerra tra loro. Questa contrada si stende lungo la sponda occidentale dell'Indo fra il 31° e il 33° di lat. N., e comprende il tratto di paese che è tra la catena di montagne detta di Salt, quella di Solimano, l'Indo e Sungur nella Sindia superiore. Consiste quasi tutta in pianure, e gran parte del suolo è sabbioso ed infecondo, senza che si pensi a rimediare alla sterilità naturale, per la condizione mal sicura degli abitanti. Tuttavia nella vicinanza immediata dei villaggi la terra è coltivata e resa produttiva. I soli alberi che vi si trovino sono alcuni palmizii quivi trapiantati. Il paese è assai poco popolato. N'è capitale Dera-Ishmael-Khan, che giace sulla sponda occidentale dell'Indo, nei 31° 50' di lat. N., e 08° 13' di long. E., ed è cinta da un muro di mattoni cotti al sole, di oltre un chilometro e mezzo. I più tra gli abitanti sono Beluci, gli altri Indù, Afgani e Giuti. Le sponde del fiume sono coperte in molti luoghi da densi canneti che dànno ricetto a buon numero di animali selvaggi. Il clima è soggetto a grandi cambiamenti. Di verno il gelo è comunissimo nella notte e nel mattino, e il termometro scende talvolta ad alcuni gradi al di sotto del ghiaccio. Insopportabile vi è il caldo estivo cosi di notte come di giorno, e si dice che gli abitanti sono costretti ad inumidire i loro abiti, e così produrre un fresco artifiziale affine di poter dormire.
DAMAURITE (miner.). — Corpo del gruppo delle cloriti, nella tribù dei silicati.
DAMBONITE (chim.). — Sostanza cristallizzabile, di sapore zuccherino, scoperta da Girard in una specie di gomma elastica originaria del Gabon, che scola copiosamente da certe grandi liane chiamate dagl'indigeni atchimé\ iboa e ridambo.
DAMBDL (geogr. ed archit.). — Vasto tempio scavato nella roccia dai Buddisti di Ceylan, contenente maravigliosi lavori di scoltura (V. Ceylon, di sir G. Emerson Tennent, Londra 1859, voi. ir, p. 577).
DAME BIANCHE (sciene. occ.). — Specie di fate, d'enti soprannaturali e di spettri annessi al destino di qualche illustre famiglia, secondo un'antica credenza dei popoli settentrionali. Lewis nel suo celebre romanzo The Monkt Walter Scott nel Monasteer,
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