Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
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DAMIGELLOpatimenti del popolo, effetto della guerra generale di Europa, dovevano esaltare ancora un'immaginazione depravata come quella di Damiens. Da alcuni giorni serviva un negoziante forestiero, cui rubò 240 luigi, e fuggì ad Arras (1756). Inseguito, andò nel Belgio, e tornò con falso nome a Parigi, più cupo, più esaltato che mai. Stavagli soprattutto fisso in mente il licenziamento dei membri del Parlamento. Al 3 gennajo 1757 si portò a Versailles. Essendo estremamente agitato, voleva mandare per un chirurgo per farsi salassare ; ma si rise del suo desiderio, che rimase senza effetto. Il domani aspettò tutta la giornata il passaggio di Luigi XV, e verso le sei della sera, al momento in cui il re montava in carrozza per lasciare Trianon, lo ferì con un coltello. Luigi sclamò: t Mi fu dato un colpo di gomito » ; ma avendo portato la mano sotto il giustacuore , ne la ritirò insanguinata, e disse : t Sono ferito ». Quindi volgendosi vide Damiens che era rimasto col cappello in testa, e l'indicò dicendo; « Egli è colui che mi ha ferito : si arresti, ma non gli sia fatto alcun male ». Damiens avrebbe potuto fuggire, ma si lasciò arrestare. Gli fu ricercata la persona, e gli si trovò indosso una buona somma di danaro, un libro di preghiere e il coltello che aveva adoperato. Questo aveva due lame, una larga e acuta, l'altra lunga circa 54 millimetri, e avente la forma di un temperino, ed era quella con cui aveva ferito il re. Atroci furono i mezzi che s'impiegarono per far confessare dal reo i nomi dei suoi instigatori e complici. Machault, guardasigilli, spinto da un eccesso di zelo, afferrò egli stesso Damiens, gli applicò le tenaglie roventi e volle iarlo ardere. Damiens confessò da prima di aver avuto complici, ma rifiutò di nominarli, quantunque gli si promettesse la grazia. Dopo si ritrattò, e sostenne di essere stato solo a meditare come ad eseguire il delitto. Alcune delle sue risposte indussero certi storici a credere ch'egli fosse mosso da fanatismo religioso ; ma innegabili fatti provano il contrario. Damiens scrisse al re una lettera che Voltaire inserì nel suo Précis du sièclc de Louis X V. Il reo fu trasportato alla Conciergerie con inaudite precauzioni, continuate sino al momento del supplicio, le quali costavano più di 600 lire al giorno. Ai com-missarii che l'interrogarono rispose : « Non ebbi intenzione di uccidere il re : l'avrei ucciso se avessi voluto. Volli solo far tanto che Dio gli toccasse il cuore, e lo inducesse a ridurre le cose nel loro stato e a ridonare la tranquillità al paese. L'arcivescovo di Parigi è la sola causa di tutte queste turbolenze ». Queste parole originarono nuove supposizioni nel pubblico, che accusò ora i Gesuiti, ora i Giansenisti, ora il Delfino amico dei Gesuiti, ora il Parlamento; ma niuna di queste ipotesi^era vera, e inverisimili erano soprattutto le ultime. È più probabile che la sua immaginazione fosse stata accesa dalle doglianze generali udite sulle piazze pubbliche, nella gran sala del palazzo di giustizia ed altrove. Il processo durò due mesi. Finalmente al 26 marzo egli comparì davanti al Parlamento riunito. Guardò con fermezza i suoi giudici, ne riconobbe e nominò parecchi, e parlò scherzando con. alcuni. Al 28 marzo gli si lesse la sentenza, che ascoltò in ginocchio con. attenzione, ed alzandosi
disse : e La giornata sarà dura ». Sècondo la sen-, tenza, egli doveva soffrire la tortura ordinaria e straordinaria, ed erasi solennemente discusso quali torture si sarebbero applicate. I chirurghi consultati indicarono come la più terribile e tuttavia meno pericolosa per la vita del paziente quella che chiamasi tortura degli stivaletti ybrodeqmms). Damiens la soffrì con fermezza, poco variò nelle sue risposte, e finì col dichiarare che nel suo delitto non v'erano nè congiura, nè complici ; che commettendolo erasi proposto di vendicare l'onore e la gloria del Parlamento, e che credeva di rendere un servigio allo Stato. Sul patibolo osservò tutte le parti dell'orribile apparecchio del suo supplizio. Arsagli lentamente la mano e tenagliategli tutte le parti del corpo, fu fatto per quasi un'ora tirare da quattro forti cavalli, e gli si gettarono nelle piaghe piombo liquefatto, resina, olio e cera bollenti. Era presso la notte quando spirò, nè mai gli poterono cavare precisi particolari sul motivo del suo delitto. I suoi avanzi furono immediatamente abbruciati. Una sentenza del Parlamento bandì a perpetuità, e pena la vita, il padre, la moglie e la figlia del condannato, impose ai suoi fratelli di cangiar nome, e ordinò che si atterrasse la casa in cui era nato.
La città di Amiens, per una sciocca adulazione, pregò il re che le permettesse, di cambiar nome.
Le ricompense non mancarono ai giudici : il re diede 6000 lire di pensione a ciascuno dei due relatori che avevano istruito il processo ; 2000 al primo segretario ; 1500 al secondo.
Abbiamo voluto raccontare alquanto distesamente la storia del delitto e del processo di Damiens, sl perchè si tratta di un fatto di qualche importanza, come perchè l'atrocità dei tormenti cui il reo fu sottoposto mostra in quale stato di barbarie fossero ancora le leggi penali alla metà dello scorso secolo presso una delle nazioni più incivilite del mondo. È una lezione di storia che in tutte le sue parti dipinge lo stato di una nazione spinta da mal governo a cercar rimedio in una rivoluzione.
DAMIGELLO {stor.). — Si designava con questo nome, dal latino domicellus, parvulus dominus o piccolo signore, un giovinetto nobile che non aveva ancora ricevuto l'ordine della cavalleria, e nei vecchi libri trovasi spesso confuso con paggio. Davasi a giovani che non possedevano nulla, e talvolta anche a figliuoli di principi. Così Froissart chiama giovine damigello Riccardo, destinato ad esser re ; così san Luigi è detto da alcuni poeti damigello di Fiandra. I grandi signori solevano riunire nei loro castelli i fanciulli della nobiltà povera ; e spesso anche quelli dei più ricchi baroni andavano ad apprendere presso i signori vicini dei loro padri come si doveva servire a Dio, al re e alle dame. Il giovane Bajardo fu mandato presso suo zio, vescovo di Grenoble, e gli versava a bere quando mangiava alla tavola del duca di Savoja.
I damigelli seguivano il loro signore alla caccia, nelle visite e nelle passeggiate ; portavano le ambasciate e servivano a mensa. S'insegnava loro tutto ciò che dovevasi sapere dai cavalieri, relativamente all'arte della guerra e alla condotta da tenersi in un torneo. Le dame castellane incaricavansi d'insegnar loro la religione e il buon garbo, facendo loror
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