Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
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DANTE ALIGHIERIguelfa da ogni sospetto. Chiamato dal pontefice e affrettato dai Neri, Carlo di Valois, soprannominato Senea terra, più avventuriere che principe, calò in Italia e trasse verso Firenze; di che impauriti i Bianchi e la Signoria, che era di loro parte, inviarono oratore a Roma Dante con altri due cittadini, che mansuefacessero colle buone ragioni l'animo del pontefice. Mentre Dante era intrattenuto da inutili pratiche a Roma, Carlo giu-gne in Firenze (2 novembre 1301) come ospite e paciere; e poco appresso, ottenuta piena balìa per comporre a concordia gli animi dei cittadini, lascia rientrare da confino armati e minacciosi i Neri, e atterrisce per modo la città, che i Cerchi, abbandonandosi d'animo, non fecero difesa, nè si valsero delle forze loro. Convien leggere in Dino Compagni e in Giovanni Villani la narrazione delle cose che seguirono, orribili e vigliacche, per poter escusare, anzi giustificare le maledizioni e le imprecazioni fierissime che Dante, che d'essere disdegnoso e intollerante d'ogni viltà si gloriava, ha sparse in tutto il suo poema.
V. Esilio. — Vita fortunosa e randagia. — I Neri, rimasti padroni del campo coll'ajutodel Senza terra, prima travagliarono molte famiglie dei Bianchi ; poi cacciarono tutte le schiatte di quella invisa fazione (aprile 1302); e fra i cacciati, anzi tra i primi perseguitati fu Dante Alighieri, da principio condannato ad una grossa taglia e a due anni di esilio come avversario della venuta del principe francese, e reo di concussioni e baratterie (Sent. 27 gennajo 1302), ed in seguito minacciato del rogo s'ei venisse alle mani di quei che allora facevano la giustizia in Firenze (Sent. 10 marzo 1302).
Così fu Dante serrato fuori dal bello ovile, ove egli era vissuto fin oltre a mezzo il corso della naturai vita umana, nemico ai lupi che gli facevano guerra (Parad., xxv). E ben è dritto s'ei rende a se stesso questa nobile testimonianza; imperocché ' la virtù cittadina di Dante risplende chiarissima, ed ha un mirabile raffronto in quel modesto Dino Compagni, che nella sua Cronaca pare aver preparata, senza saperlo e senza quasi nominarlo mai, la più bella apologia del poeta.
Di qui innanzi la vita di Dante, più fortunosa e più agitata, non ha quella importanza storica e morale che si riscontra nella prima sua metà. Sbalestrato fuor di patria, Dante, se potè rafforzar e ingrandire il suo ingegno, e mutarsi di squisitamente sensitivo, quale ci appare nella Vita nuova, in ferrigno e tetragono ai colpi di ventura, non ebbe più parte libera nella storia, ma dovette professare amicizie ed inimicizie come portava la necessità. Esule da Fiorenza per avere predicata e comandata la concordia fra le nuove sètte in cui venivansi dividendo i Guelfi, e per avere combattuta la fazione che voleva chiamar gli stranieri, ei finì a declinare a mano a mano verso i Ghibellini, ed infine fu giudicato ghibellino superlativo, e, come sogliono chiamarlo, feroce. Ma, chi ben guardi, il suo non era se non se furore di concordia, e disperazione delle discordie infinite e rinascenti ; le quali, com'ei prevedeva troppo bene, dovevano condurre all'ultima pemicie non la sua città soltanto, ma l'Italia e tutta la cattolicità.
Nondimeno fu fatale che quest'uomo grande, implacabile contro gli scismi religiosi e civili, quest'uomo il quale per tutta la vita e in tutte le pagine ch'ei lasciò scritte par ripetere quell'unica parola ch'ei rispondeva al monaco Barione nel convento del Corvo, quest'uomo che cercò tutto il mondo triforme per trovarvi pace, avesse a parere ai posteri un partigiano arrabbiato e poco meno che un eresiarca.
Dei casi che resero a Dante più amaro e inquieto l'esilio, diremo brevissimamente. Tornato di Roma, dove Bonifacio, a quel che se ne indovina, l'aveva trattenuto ad inganno, capitò a Siena, dove fu alcun tempo con poco frutto; e dei Sanesi, guelfi accesissimi com'erano, fece poi duro giudizio. Fu poscia ad Arezzo, ove Uguecione della Faggiuola, capo di parte ghibellina, tenea, sotto nome di podestà, la signoria ; e qui Dante fu chiamato a parte di una cotal maniera di governo che i fuorusciti si erano eletta, o, come direbbero adesso, di un comitato d'emigrati; poi a Verona per supplicar gli Scaligeri di soccorso ; poi a Bologna, a Padova, a Sarzana, ora agli studii, ora nelle Corti dei Signori, ora a convegni dei fuorusciti, peregrino, quasi mendicando, e mostrando contro sua voglia la piaga della fortuna, che suole ingiustamente al piagato essere molte volte imputata (Convito, i, 3). In questi primi quattro anni (1302-1306) molti casi erano sopravvenuti, che il sostentarono col pane degli esuli, la speranza. Prima i Bianchi e i Ghibellini avevano potuto far oste grossa, e correre contro Fiorenza pel Mugello (1304) ; ma furono rotti con vergogna e cacciati dagli avversarii. Poi era morto l'infesto Bonifacio VIIT, e Benedetto XI, suo successore, aveva mosso pratiche per rimettere i fuorusciti in Fiorenza; e non gli riuscendo, il legato pontificio aveva favorito una gran mossa di Bianchi, che per la seconda volta trassero in armi contro la patria, entrarono con le spade inghirlandate d'ulivo in un quartiere della città, e vi si comportarono si mollemente, che furono ricacciati vituperosamente. Di che Dante prese si grande sdegno, ch'ei non volle più accomunarsi a parti, ma professò di voler far parte da sè. Altre speranze nondimeno gli nacquero quando, cresciuta l'insolenza dei Neri, lo stesso legato di papa Clemente, il cardinal Orsini, si pose alla testa dei proscritti ; ma dopo ignobili armeggiamenti anche questa lustra si dileguò ; e Dante dovette ritirarsi in Lunigiana presso i Malaspina..
VI. Calata di Arrigo VII in Italia. — Uguecione della Faggiuola. — Morte di Dante. — Si rinfocolarono le speranze un'altra volta quando Arrigo VII di Lussemburgo varcò le Alpi, precorso da nobilissima fama e dalla promessa ch'ei veniva per appaciare tutte le parti in Italia. Dante fu ad ossequiare Arrigo in Lombardia, e poscia corse, quasi per preparargli la strada, in Toscana, donde il 16 aprile 1311 gli scrisse, a nome anche di tutti i fuorusciti, una lettera, in cui accusa Fiorenza ribelle all'Imperio e congiuratrice con re straniero a' danni della signoria di Roma, e la mostra, magnificando anche nell'odio la patria, rocca e capo in Italia di parte guelfa, e, com'ei , ' dice, Golia de nuovi Filistei. Erano allora in fatto^.ooQle
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