Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo

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      98 DANTE ALIGHIERIfatta una virtù (Inf., vm), dopo aver levato a cielo lo Scaligero, e lodatolo come larghissimo e spontaneo donatore (Paracl., xvn), si partisse poi da quella prodiga Corte povero e vetusto come il buon Romeo di Provenza; nè di ciò si saprebbe assegnar cagione, se non fosse il dispetto in che gli vennero le licenziosità e le giullerie troppo tollerate, anzi troppo incoraggiate da quel motteg-gevole principe, delle quali ci rimase una viva dipintura in alcune delle novellozze del Sacchetti. Intorno a questi anni (1318) si pone anche un viaggio di Dante al monastero di Fonte Avellana e a Gubbio, ove dovette trovar Busone, amicissimo suo, ghibellino anch'esso e scrittore non ignobile; il quale poi spose in versi gli argomenti del sacro poema. Infine Dante, già celebratissimo e stracco di più combattere colla fortuna e colle speranze, venne a posare a Ravenna presso Guido Novello de' Polentani, nipote che era della Francesca sì pietosamente dannata dal poeta teologo. Atffclie questo Guido Novello tenea pei Guelfi ; ultima e irrepugnabile prova che Dante non era si oltra-cotato ghibellino da pigliar a sassate per le vie, come narra quel credenzone del Boccaccio, chi avesse osato lodargli parte guelfa. In Ravenna Dante dimorò infino all'ultimo di sua vita; onoratovi dai cittadini e dal signore, che di lui si valse alcuna volta in opera d'ambascerie ; e v'è memoria d'un'ultima legazione di Dante ai Veneziani, donde ei tornò inconcluso e smagato. Pietro e Jacopo, suoi figli, e Beatrice, dolcissimo e ricordevole nome che fu quello dell'unica sua figliuola, erano con lui quand'ei mori, il 14 settembre 1321, finiti da quattro mesi appunto i cinquantasei anni d'età. Poco innanzi la s»a morte s'era ragionato fra gli amici suoi di volerlo far coronare in Bologna colla corona dell'alloro; e dalla risposta di Dante si ritrae ch'egli non aveva ancora divulgata tutta l'ultima sua cantica
      .....quum mundi circumflua corpora cantuAstricolaque meo, velut ìnfera regna, patebunt,
      Devincire caput hedera lauroque juvabit.
      (Egloga i a Giovanni di Virgilio).
      H Polentano, leggiadro poeta anch'esso, anzi imitatore di Dante (vedi la sua canzone, lo sento il sommo bene, pubblicata dal Rannucci), celebrò solennissime esequie al suo glorioso maestro, e disegnava alzargli un sepolcro onorato; ma poco appresso ei perdè la signoria e la patria. Nondimeno i figli di Dante rimasero alcun tempo in Ravenna: e Beatrice vi si rese monaca nel monastero di Santo Stefano dell'Uliva, e vivea ancora nel 1350, anno in cui il Comune di Fiorenza le mandò per messer Giovanni Boccaccio fiorini dieci d'oro: prima ammenda pagata dai Fiorentini al loro grand'esule. L'altra famiglia s'era già tramutata in Verona, ove rimane tuttavia alcuna vena del sangue degli Alighieri.
      VII. lìifipssioni sulla vita dì lui. — Opere. —
      Ora rifacendoci a considerare il corso di questa vita senza riposo, è meraviglia pensare il numero; grandissimo e la varietà degli uomini notabili con cui Dante si trovò in dimestichezza di studii, in guerra di passioni, o ch'ei praticò comechessia;
      che a pur solo raccoglierne i nomi fanno un affollamento di figure risentite e originali, le quali bastano a spiegarci come il gentil poeta, che nella sua prima età pareva piacersi di angeliche sfumature, obbligato poi a farsi la via in mezzo a codesto silvestre rigoglio di vita individuale, sia riuscito sì gran maestro nello scolpir di colpo e trar fuori quasi con una sola percossa tipi rilevati e spiranti. E quel che degli uomini, potrebbe dirsi altresì dei luoghi ; chè ben la vita del sublime ramingo fu un rapido viaggio in mezzo a spettacoli demoniaci ed a serafiche contemplazioni. Eppure nè la rattezza del corso, nè la novità e la diversità delle cose fecero confusione e sonnolenza nel tenace ingegno; cosicché dalla pece che tra l'affaccendamento dell'arsenale veneziano ei vide e notò bollireE gonfiar tutta e risieder compl essa,
      allo strame ove forse riposò per gli angusti vicoli di Parigi; dai rigagnoli del Casentino, dei quali con poche sillabe seppe musicare il fresco gorgoglio, al sozzo Bulicame di Viterbo ; dal burrato franoso di Trento alle rovinevoli callaje di Turbia: dal vasto mormoreggiar dei venti marini nella Pineta, alla Carisenda, la quale sembra chinarsi d'incontro alle nubi che le corron sopra, ogni immagine rimase colle sue più vive e singolari particolarità nella profonda fantasia del poeta, e gli torna innanzi a tempo, spiccata in sobrii e luminosi rilievi. Codesta è virtù plastica d'ingrgno che non ha pari: la quale fu ajutata certo e recata al sommo dai lampi infuocati, dalle dure ombre, dai rotti contrasti di quell'età tempestosa e notturna.
      Ma veniamo ad una specificata menzione delle opere di Dante. La Vita Nuova, che è un commento e un'amplificazione delle sue poesie giovanili dettate tra il diciottesimo e il ventesimosesto anno di sua età, fu scritta, nelle parti prosastiche, sul finire del 1291 o nel 1292; fresca, limpida, rosata primavera d'amore e di devozione, intorbidata qua e là da sforzi prematuri, e quasi a dire da inquieti presentimenti dell'intelletto, che vorrebbe andar oltre il mistero dell'ispirazione e rendersi ragione dei suoi rapimenti; ma per quanto vi s'industrii, non trova, dopo le parole che vengono dal cuore, altro che sofisticherie d'umanista e memorie scolastiche. Codesta impotenza di Dante a comprendersi e a giudicarsi, codesta ostinata e sottile puerilità del critico davanti alla ingenua grandezza del poeta, è uno dei più singolari e dei più insegnativi contrasti che ci offra la storia dell'arte. E ancora è da notare che mai, nè prima nè poi, la poesia erotica seppe toccare un più alto grado di schietta spiritualità, di quello che nella Vita Nuova, la quale di necessità ci ricorda gli angeli del Giotto e le sante del Fiesole. Di Beatrice, delle bellezze sue, degli sguardi, delle movenze, fu altro non sai se non quello che è manifestazione di bontà e luce di , santità : tutt'al più vi si tocca del suo color di perla, del suo soave e presago pallore. Un confronto tra quest'ascetismo amoroso, semplice e riposato, e il platonismo già ribellante e torturato del Petrarca porrebbe in più bella luce questa serafica traspa-i renza della prima maniera poetica di Dante.
     


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Nuova Enciclopedia Italiana - Volume VII (parte 1)
Dizionario generale di scienze lettere industrie ecc.
di Gerolamo Boccardo
Utet Torino
1879 pagine 1048

   

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