Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
99 DANTE ALIGHIERIVili. Divina Commedia. — Nella Commedia (come Dante ch;amò la sua trilogia cosmica, per significare che l'aveva scritta con voci e modi e immagini popolari) lo «guardo del veggente è fermo, acuto, e spesso troppo curiosamente penetrativo ; e le cose, buone o male, sozze o gentili, orribili o sublimi, vi sono ritratte con un'evidenza risentita e infuocata, che alcuna volta dà in una crudezza e ferocità michelangiolesca. E di questa sua potenza plasmatrice parve accorgersi assai bene e compiacersi il poeta, come può persuadersene chi rilegga la descrizione artificiosissima delle sculture divine nel Purgatorio (c. x, xii); unico luogo forse in tutte le tre cantiche, ove par che Dante s'abbandoni a fare, quel che oggi direbbesi, l'arte per l'arte.
Ma devesi avvertire ad ogni modo, che senza codesto risalto dei colori e dei suoni, e senza codesta miracolosa palpabilità d'immagini e intimità d'intonazioni onomatopeiche, la visione dantesca non sarebbe più che il sogno indistinto e confuso, il quale incubò su tutte le anime cristiane durante il medio evo. La grandezza di Dante non è già nell'aver pensato a un tema che a' suoi tempi era nei pensieri di tutti, ma sì nell'essersi messo, per audacia di fantasia, dentro le segrete cose, d'aver osato di guardar fiso, con quella libertà d'ingegno che è ricercata dalla propria natura dell'arte, ciò che atterrava e signoreggiava la mente de' suoi contemporanei e la sua mente medesima, e d'aver potuto vedere, misurare, architettare, toccare e in nna parola attuare e recare a una tal quale realità, non cogitabile soltanto, ma corporata, tutte le parti della formidabile leggenda. E di lui ben può dirsi che
.... ad immortale Secolo andò, e fu sensibilìiiìnte.
Opera che, mentre è un atto di fede, riesce insieme un preludio di critica; imperciocché immaginare divisatamente come stia il mondo invisibile ed in che forma si commetta col mondo delle realità quotidiane è già un volersi render ragione dei luoghi, dei modi, delle possibilità. E in ciò il genio di Dante risponde ottimamente al genio del secolo ond'egli usciva; il quale per impazienza d'entusiasmo e petulanza di fede cominciò ad avviare lo spirito umano alle prime difficoltà del dubbio.
Vuoisi dunque, innanzi d'entrar nei giudizii sulla poesia dantesca, mettere in sodo questo primo punto: che ogni cosa nella Divina Commedia non Enarrata, o concettata, o descritta soltanto, ma si per iscoltura e musica di parole iuessa innanzi pretta maniata. Di che ne viene che anche dove le cose che vi s'incontrano per alcuna ragione possano spiacere (e molte certamente spiaciono), sempre appaja raaravigliosa e sovrumana la forza e la vivezza della rappresentazione. Ma questo pregio, che per singoiar compenso sembra essere maggiore là dove il poeta, seguendo l'umore dei tempi e la furia della fantasia, discende fino al grottesco od all'osceno, è perduto affatto per que' molti i quali non hanno senso del rilievo delle parole e della melodia espressiva della lingua, e non può essere avvertito da quegli altri moltissimi, che per impaziente trascorrevolezza d'ingegno ricercano nelleNuova Encicl. Ital. Voi.
opere dell'arte piuttosto quello che ora direbbesi vastità di composizione e insieme scenico dei quadri, che non la forma, l'individuazione e l'espressione delle singole realità. A questi ultimi, i quali, se osassero, non dubiterebbero di preferire i fantasiosi affollamenti e gli sfondi indefiniti del Martin alla serena muscolosità del Giudizio di Michelangelo, Dante deve parere povero e stretto con quel suo Inferno fatto a modo di sacco o d'imbuto fitto nel ventre del nostro picciol globo, col suo Purgatorio che somiglia ad uno di que' colli inciglionati di Val d'Arno, col suo Paradiso che sta tutto dentro lo spazio de' cieli misurati e circulati di Tolomeo. Altra cosa sono le infinità del Milton, e que' pelaghi immensurabili del caosse, che si trammezzano tra il mondo creato e l'inferno ; altra cosa le innominabili e terrifiche regioni dove, al di là degli spazii e dei mondi, Goethe pone le madri misteriose della vita e della morte; altra cosa i regni vaporosi di Ade, di cui lo stesso Lucifero di Byron parla a Caino con misterioso terrore. Da codesti ar-tifizii, o da codeste necessità dell'arte moderna, la quale si guarda dal troppo accostarsi alle proprie creazioni, ed ajuta il sublime coli' incerta luce del dubbio, è lontanissimo l'Alighieri ; il quale in tutto vuol vedere, toccare, sperimentare, raziocinare. Anzi per necessità del suo ingegno complessivo, e come osammo dire, cosmico, egli disdegna fermarsi se non là dove manca al pensiero lena e spazio d'andar più oltre, là dove il mondo viene a finire in braccio dell'onnipotenza creatrice. Giunto innanzi a quell'idea onde muovono e a cui tornano tutti i concetti, e dove l'essenza primigenia si nasconde nel profondo della sua propria luce, allora soltanto ei china lo sguardo insaziabile e frena il pensiero, esclamando con umiltà superba :
All'alta fantasia qui mancò possa,
che è, per sua bocca, la confessione non ismentita nè smentibile mai degli ultimi termini dell'umano ingegno. Al di sotto di questo cielo sopraintellet-tivo, Dante pone l'univeiso creato, dove ogni cosa si rivela per forme e sostanze apparenti e permanenti; ond'è che se si volesse armeggiar colle forinole filosofiche, potrebbe dii si che Dante ha costretto l'infinito in forme sensibili, e che il cristianesimo in questa grande epopea ripete, nell'ordine estetico, lo stesso miracolo che è fondamento alla teodicea evangelica, l'incarnazione.
a) Inferno. — Ma forse piacerà meglio trovar qui le linee generali del sacrato poema, che fu ispirato da tre concetti, consecrazione d'amore, conversione alla vita spirituale, riordinamento della società umana, e nacque da tre fatti iniziali, la morte di Beatrice, il giubileo del 1300, l'esilio; ond'è che le allegorie,le immagini, le allusioni molte volte si raddoppiano e si rinterzano, senza che mai si perda il significato reale del racconto, e soprattutto senza che ne scemi l'evidenza poetica, la quale sforza a credere o almeno a vedere ogni cosa. Di che abbiamo una prova nel prologo del poema, che pur altro non può essere se non se una pretta allegoria. E nondimeno quanta verità in questa aspra selva, a cui non si dà nome, nè si assegna luogo, e nella quale si entra, come appunto nell'esistenza, quasi per sonno, senza cheVII. 7
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