Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
DANTE ALIGHIERI
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tare della bellezza, in un poema che è pieno di assurdi storici e di verità eterne, di torbide passioni e di profezie veraci, Dante raccolse la visione e quasi a dire l'anima moribonda de' suoi tempi, e la salvò nei cieli della poesia, trasmettendola all'eternità. Perciò quanto più le radici dell'età nostra si scoprono profondate entro le macerie dei mezzi tempi, tanto più veggiamo moltiplicarsi in tutte le lingue i commentatori, i traduttori e gli espositori dell'enciclopedia dantesca.
X. Osservazioni e cor oliarti. — Gl'Italiani, accusati spesso di superstizione e d'idolatria per Dante, sono tirati da tante ragioni al culto di questo loro profeta nazionale, che anzi è da stupire se essi non fondarono tutta la loro educazione letteraria e civile sullo studio della Divina Commedia, come già gli antichi Greci sullo studio dei poemi omerici. Prima di tutto, a far ragione della natura dei popoli e delle lingue dai loro incunabuli, quali auspicii non possono trarre gl'Italiani dalla considerazione che, dove il genio francese si rivelò primamente nel sovrano sbeffatore del Gargantua, e il genio tedesco nei feroci Nibelunghi, il nuovo latino invece si è glorificato di primo slancio nell'apocalisse della scienza e dell'amore? Ma lasciando codeste, che Vico chiamerebbe teorie gentilesche, veniamo a più fermi riscontri. I problemi che Dante agitò sono quei medesimi da cui pendono tuttavia i destini d'Italia; e appena mutarono, se pur mutarono, le parvenze; ed infino ai nomi de'Guelfi e dei Ghibellini, che Dante infamava ed Arrigo VII proscriveva, a volte pajono voler ripullulare. Più seriamente vedemmo rinascere quelle, non è ben chiaro se memorie o profezie, di primato italiano ; e rinfiammarsi le disputazioni intorno ai modi di accordare e limitare l'impero laico e la potestà spirituale, la sovranità dello Stato e le franchigie delle terre e dei luoghi, la comunanza e, come dicono, la solidarietà umana e la libera signoria di ciascun popolo. E per discendere a più umili argomenti, non dura tuttavia ostinata e insoluta la quistione tra i teoristi della lingua comune d'Italia, e i difensori dei dialetti; quistione che Dante cominciava cinquecento cinquant'anni fa? (nel Convito, i, 5-11, e più specificatamente nel trattato latino lasciatoci incompiuto sotto il titolo De vufgari eloquio, si ve idi ornate, che dovette essere scritto intorno all'anno 1314). Anzi, non veggiamo noi in Dante medesimo l'inestricabile confusione delle due scuole, l'una delle quali considera la lingua come un'artificiosità di sapienti, e l'altra come una creazione spontanea dei popoli? Imperocché l'Alighieri vagando per le città d'Italia, e trovandovi usato nelle Corti e nelle scuole un gergo erudito, che aspirava ad unità, bandi arditamente la lingua aulica, il nuovo latino, nemico delle sozzure e delle mutevolezze plebee; ma nel tempo stesso, a sfogar le sue passioni e incarnare i suoi concetti, usò la favellaChe prima i padri e le madri trastulla,
e si valse di quell'idioma comico, com'egli stesso confessava, e volgare, che era stato la prima musica delle sue memorie e il primo splendore della sua grand'anima. Singolare poi è l'osservazione che,
come in questo fatto della lingua, così in quasi tutte le altre questioni, ogni setta trovi nella Divina Commedia armi ed esempi. Ond'è che altri vi cerca l'impeto demostenico dei sarcasmi e delle imprecazioni contro principi e papi, altri il ghigno aristofanesco sui villani parteggianti, e i volghi inconsulti, che gridano morte alla loro vita e vita alla loro morte. Per egual modo i disamorati delle vecchie credenze vi rileggono le agre riprensioni contro la gente chercuta e le corrotte fraterie; i credenti vi trovano le pie glorificazioni del poverello d'Assisi, poco meno che pareggiato al Salvatore, e del formidabile atleta,
Benigno a' suoi ed ai nemici crudo,
che ripigliò a difesa della fede la spada onde le tradizioni armano l'apostolo delle genti. H vero si è che ognuno sceglie secondo l'umore ; pochi badano al mirabile sincretismo di sentimento e di ragione, d'autorità e di libertà, che anche oggidì, vogliasi o no, è l'enigma messoci innanzi dalla sfinge dell'avvenire. A molti codeste parranno sottilità : ma chi sappia inviar l'occhio fino alle scaturigini profonde della vita, vi troverà la risposta di Dante, il quale lesse la propria e intima natura dell'umanità, allorché, contemplando il sommo della bellezza, affermava che
... qual soffrisse di starla a vedereDiverria nobil cosa, o si morria.
( Vita Nuova, canz.).
Perchè veramente conviene che o luogo trovi nell'universo ragione e intelligenza d'amore, o ch'ei si muoja. — E questo, crediamo, è la legge cosmica, che Dante esemplò ne' suoi versi.
XI. Fortune della Divina Commedia. — Ora veniamo a dire alcuna cosa della parte ch'ebbe Dante grandissima nella storia del pensiero italiano. Le varietà delle interpretazioni e dei giudizii, se tutte riescono, per vie diverse, a concordia d'ammirazione, generano però una confusione molesta. A guidarsi in siffatto labirinto converrebbe seguire il filo storico e cronologico delle condizioni dantesche.
Della fama che Dante ebbe in vita, già toccammo alcun che. Prima dell'esilio egli era lodato pe' suoi versi d'amore. Non sembra però ch'ei tenesse nelle brighe politiche un luogo principale, poiché i cronisti coetanei (Dino Compagni, Giovanni Villani, Coppo degli Stefani e Paolin di Piero) appena fanno di lui ricordo in passando. Ma dopoché cominciò a divulgarsi alcuna parte àz\VInferno (che fu qualche anno dopo l'esilio), il nome del poeta venne in grandissima popolarità, la quale tal fiata gli ebbe a costar caro, come una volta a Genova, dove vivea e primeggiava quel Branca D'Oria, del quale Dante aveva sbalestrato per morte anticipata l'anima in Malebolge.
La cantica, di cui il poeta soleva mandar alcun brano con epistole dedicatorie agli amici o ai signori di parte ghibellina, non venne divulgata intiera che dopo la sua morte; e subito fu studiata e cercata come un testo di sapienza teologica e di erudizione universale; prova saldissima che la Divina Commedia fu l'opera più seriosa che mai uscisse da mente umana, dopo i poemi prettamente jeratici.
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