Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo

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      105 DANTE ALIGHIERI
     
      la prima degli incunabuli, tra' quali sono famose l'edizione Yindeliniana (Dante col commento di Benvenuto da Imola, impresso in Venezia per Vindelino di Spira, 1477), e la Nidobeatina (Danti» Comcedia cum commentarii8, Mediolani 1477-78, in-fol. gr., edente M. P. Nidobeato Novariensi). La seconda età comincia colla pubblicazione delle collazioni del Landino (Commento di Cristoforo Landino Fiorentino sopra la Commedia di Dante Alighieri, poeta fiorentino, in-fol. gr., impresso in Firenze da Niccolò della Magna, 1481), e va fino all'edizione di Aldo (Le ter te rime di Dante, Venezia, in ned. Aid., 1502, in-8°), che apre il terzo periodo, illustrato dall'edizione dei Giunta (Firenze 1506), del Giolito (Venezia 1555) e del Sessa (ivi 1564). H quarto periodo s'apre coll'edizione della Crusca, nota sotto il nome di Volgata (La Divina Commedia di Dante Alighieri, nobile fiorentino, ridotta a miglior letione dagli accademici della Crusca. Firenze, per Domenico Manzani, 1595, in-8°), che fu ripetuta nel 1717 in Napoli (presso Francesco Vaino, in-12°), e nel 1727, con aggiunta d'indici copiosissimi, in Padova (presso Giuseppe Cornino, 3 voi. in-8°) per opera del Yolpi. La quinta età delle edizioni di Dante fu inaugurata dal Lombardi, che valendosi, per la collazione delle varianti, del testo della Nidobeatina e dei codici più celebri sparsi nelle diverse regioni d'Italia, contrappose il suo testo, vagliato con nuova critica, al testo della Volgata, nel quale i Cruscanti avevano seguito col solito studio d'esclusività i codici, scritti in Toscana (La Divina Commedia di Dante Alighieri nuovamente corretta, spiegata e difesa da I. B. L. M. C. Roma, presso Antonio Fulgoni, 3 voi. in-4°; è la prima edizione romana di Dante; nel 1728 l'Inquisizione non aveva permesso in Roma la pubblicazione della bella traduzione del sacro poema in esametri latini del D'Acquino, tuttoché mutilata).
      ò) Commenti. — Quauto ai commenti, tengono naturalmente il primo luogo e si considerano come testimoni storici quelli che ci^pervennero del xiv secolo: tra i quali quello che per nitore di lingua e abbondanza di chiose meritò di esser chiamato ottimo, è opera d'un anonimo; altri ve n'ha attribuiti ai due figliuoli di Dante, Pietro e Jacopo, o ad amici e famigliari suoi ; di che giustamente dubita il Balbo ( Vita di Dante, lib. il, 17), trovandoli scarsi e incerti nella parte storica e biografica. I commenti del Buti e di Benvenuto Imolese, lettori pubblici della Divina Commedia, hanno maggior pregio ; ma di rado escono anch'essi dalle scolasti-cherie. E neppure abbondano le particolarità storiche nei due secoli successivi, intenti, più ch'altro, alla parte dottrinale e filologica. Per le collazioni del testo e le dichiarazioni storiche hanno autorità molto maggiore i moderni, che veggono l'importanza di queste parti ; e tra' quali voglionsi ricordare il Volpi (1727), il Venturi (1732), il Lombardi (1791) eilDionisi (che illustrò la celebrata edizione bodoniana del 1795). Le migliori chiose ed anche le controversie dei commentatori sono riepilogate nella ricca edizione padovana della Minerva (5 voi. in-8° gr., 1882; il commento del Lombardini vi è per disteso), tanto aspreggiata dal Foscolo nel suo Discorso sul testo della Divina Commedia (Londra
      1825; Lugano 1827, e da ultimo Torino 1852). Questa dissertazione del Foscolo è, quanto a forme, un modello di critica nervosa ed eloquente ; ma nella sostanza riesce ad uno sgraziato paradosso; mirando, come già fu accennato, a dimostrare che l'Alighieri colle sue cantiche si celebrava mandato da Dio per riformare la Chiesa. A rincalzar questo assunto, Ugo, che pur soffriva impazientemente ogni chiosa teologica, si sforzò di mostrare che Dante non volle, nè potè divulgare la terza sua cantica, ove è rivelato il sacramento della sua consecrazione apostolica in Paradiso; che anzi niuna parte del poema fu pubblicata intiera, e quale ci pervenne, prima della morte di Dante ; che il Convito fu cominciato dopo la morte d'Arrigo VII, e per placare allo scrittore i Guelfi e impetrare il ritorno. Le quali affermazioni ci pajono dure a provare, e ingrate a credersi; anzi le giudichiamo confutate abbastanza dal Monti, nelle poche pagine premesse all'edizione Trivulziana del Convito (che fu poi riprodotta dalla tipografia della Minerva, Padova 1827). Il Rossetti esagerò e peggiorò la tesi del Foscolo, togliendo a dimostrare che i poeti del xiii e xiv secolo, e Dante con loro, verseggiavano in un gergo furbesco, sotto specie d'amore e di spiritualità, le dottrine di una setta congiurata contro la Chiesa romana e devota alla imperiale dignità, donna e madonna vera di tutta quell'arcadia ghibellina. Cosi le nuove passioni, ond'è turbata l'Italia, crescono le difficoltà innumerevoli che il genio allegorico di Dante e dei modelli biblici proposti alla sua imitazione, avevano moltiplicate. La bella dissertazione del Troya sul Veltro, la Vita di Dante scritta da Cesare Balbo, i commentarii del Tommaseo, e le nuove chiose, collazioni ed illustrazioni pubblicate dal Torri e dal Fraticelli ancora non bastano al bisogno. Vorrebbesi innanzi tutto una storia diplomatica e bibliografica dei codici e delle edizioni della Divina Commi dia, e delle principali varianti proposte e discusse: e basterebbe a sgomberare l'infesta confusione delle erudizioni grammaticali. Poi sarebbe a desiderarsi una storia dei tempi di Dante, la quale fu tentata immaturamente dall'Arrivabene [Storia del secolo dell'Alighieri), e che ora è possibile e necessaria più che mai dopo i nuovi studii dei Tedeschi intorno al medio evo italico, alla casa Sveva, ai Comuni, e il nuovo indirizzo della critica nelle questioni della Chiesa, del papato e della filosofia scolastica e del misticismo cristiano. Il testo potrebbe essere pubblicato colle sole note dichiarative; ma dovrebbe seguirlo un copioso commento estetico. Imperocché fu assai bene ossei vato che nello studio delle opere di Dante dee aver luogo una graduale iniziazione; bastando l'intelligenza letterale per ammirare la schietta maestà e rapidità delle cose; ma richiedendosi una lunga dimestichezza per farsi a mano a mano il senso della musica interiore ; principalmente nella, terza cantica, che, a giudizio degl'intendenti, vince le altre due per novità ed evidenza, ma dove il continuo e crescente splendore spunta e abbaglia l'attenzione. Il commento estetico adunque piglie-rebbe due vie. Nella prima condurrebbe a considerare il mirabile parallelismo della Divina Commedia colle maggiori creazioni poetiche delle altret^iOOQLe


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Nuova Enciclopedia Italiana - Volume VII (parte 1)
Dizionario generale di scienze lettere industrie ecc.
di Gerolamo Boccardo
Utet Torino
1879 pagine 1048

   

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