Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
107 DANTE ALIGHIERI
certe Vindicationes Virgiliana (Roma 1621), che il Bettinelli deve aver certamente trovate nelle librerie della Società. La tradizione dunque dei critici francesi e gesuiti durò insino al termine del xviii secolo avversa a Dante ; e Voltaire v'avea ficcato anch'egli il suo chiodo lodando di coraggio il Bettinelli per essersi liberato dalla matta idolatria di un mostro. Vero è che poco innanzi aveva spacciato colla stessa critica Shakspeare il selvaggio briaco. Ma sul finire del secolo il Ginguené, tuttoché, voltereste e repubblicano, aveva cominciato a comprendere la parte rappresentativa del poema (Histoìre de la littérature itali enne, tom. n). Infine Villemain e Fauriel giungono, per virtù d'orecchio pacato e di mente arguta, e di una cotal senile riposatezza ed esperienza d'ingegno, a gustare le bellezze di Dante e a giugnere all'intelligenza d'amore (Yillemain, Cours de littérature. Moyen-àge ... Fauriel, Cours sur le Dante et les origines de la langne ita-henne, 1833). Ci convien confessare che il capitolo del Yillemain sulla Vita Nuova e tutte le lezioni del Fauriel su Dante sono forse ciò che v' ha di meglio scritto e pensato su questo tema inesauribile. Se poi si aggiungono le note dell'Ampère ( Voynge Dantesque...) e i lavori dell'Ozanam (Dante et laphilosophie catliolique au treizième siècle...) e l'eloquente introduzione del Lamennais (Sur la vie, les doctrine8 et les ceuvres de Dante, premessa al primo volume della traduzione della Divina Commedia), noi potremo dire che oggimai la Francia si è riconciliata col suo grande avveisario, il cui poema conta non meno di dodici traduzioni francesi; sul quale argomento può consultarsi con molto frutto una diligente dissertazione di Tulio Massa-rani (Gli studi* italiani in Francia, nel Crepuscolo del 1855; veggansi per Dante i capit. 4 e 5). Ben da ultimo il Lamartine ritoccò le accuse; e gl'Italiani sene commossero troppo più che non bisognasse; nè pensarono che molte cose dovevansi perdonare alla fretta e al dispetto dell'illustre poeta scaduto a condizione d'abbreviatore e di scritturale d'affitto.
XIV. Strani giudi zii del Lamartine. — Lamartine rappiccò il filo di Rapin, di Voltaire, di Bettinelli ; e veramente ci doveva pensar due volte innanzi di entrar volontario in cotesta famiglia. Ma le scuse e le difese che andò poi cercando (Cours familier de Littérature, xvu e xx Entretien, 1857) bastano a cavarci d'ogni dubbio. Il nome onorato in Italia e diletto del Lamartine dava qualche autorità alla sua sentenza ; le ragioni colle quali ei volle puntellare il suo duro giudizio lo chiarirono sì nuovo dell'argomento e si diseguale a trattarlo, che miglior confutazione non potevasi desiderare. Lamartine, dopo centanni di critica filosofica, dopo chiarita la dottrina del Vico sulla poesia reale delle età barbal e, dopo rifatta anzi creata la storia del medio evo, e della filosofia scolastica, e dell'arte cristiana, dopo la grande sperienza della poesia gei-manica, del simbolismo biblico e rabelesiano del Fausto, del mistico realismo di Mischiewitz, ricopiò o ripensò Bettinelli e Voltaire. Sono, meno le pagliuzze d'orpello, i medesimi concetti, e quasi le stesse parole ; il poema di Dante, dic'egli, è un'opera d'occasione, ispirata da ire e da passioni, da idee meschine, personali, fuggevoli, e morto col tempo e coll'uomo in cuinacquero; è un poema toscano, fiorentino, locale, una gazzetta rimata, una maniera di logogrifo, che appena poteva aver qualche importanza pe' suoi tempi: pieno di concetti confusi, d'immaginazioni triviali, di parole oscene, di figure grottesche, di mistioni sacrileghe, di reminiscenze pagane, d'allegorie scolastiche ; illuminato qua e là da lampi sublimi e da rivelazioni immortai i ; ma tenebroso, aspro, difficile a comprendersi, più difficile a leggersi intero, senza seguito e senza insieme, rotto, disforme, mistico e brutale come la baibarie. — Sì certo; ma aggiungasi grande, vigoroso nelle tenebre e nella luce, violento nell'odio e nell'amore, vero, schietto, profondo come la barbarie, come l'anima, come la natura. Per questo, più che un'opera d'arte, il divino poema è un portato storico, un'incarnazione della coscienza de'suoi tempi. E di quali tempi? « Il ne trouvait rien d'épique autour de lui dans Vhisioire d'Italie, dice il francese... des hommes obscurs par-faitement indifférents à la postérité ». Così il medio evo che si riassume in Gregorio VII ed Enrico di Lussemborgo, e quella Fiorenza, ove nascevano a un tratto tutte le potenze del mondo moderno, la lingua popolare, l'aite spirituale e la democrazia del lavoro; Fiorenza, dove allora appunto muravasi Santa Maria del Fiore e il Palazzo del popolo, dove poetava Dante e dipingeva Giotto, dove i mercatanti trovavano la cambiale e le istituzioni di credito, e gli artigiani, escludendo dalla Signoria i nobili e gli oziosi, slozzavano la prima foima di governo sociale; sono pel Lamartine une[ oca, un paese, un popolo mediocri (Cours familier de Litt.,pag. 369, i); anzi tutta la storia del medio evo è per lui una nauseosa confusione di avvenimenti che nella loro perpetua monotonia somigliano al mareggio d'una nave ondoleggiante su un mare agitato dalle tempeste equinoziali (pag. 535). Dopo ciò, perchè andremo noi cercando nella critica del Lamartine i bruscoli, che a dir vero sarebbero senza numero? In sole tre o quattro pagine troviamo : che la famiglia degli Alighieri era consolare ; che Brunetto Latini insegnava a Bologna, e in francese; che Dante vide Beatrice d'undici anni; che i Poitinari erano legati
d'intimità agli Alighieri ; che i versi della Vita Nuova sono senta naturalezza e senza nervo, imitazioni servili di poeti secondarii dell' epoca; che la battaglia di Campaldino fu combattuta contro i Guelfi d'Arezzo ; che Dante priore fu avversato dai Bianchi come dai Neri e fu dannato all'esiglio per giudizio del popolo; che esule andò ramingo per la bassa Italia, ora presso i Malaspina di Padova, ora presso gli Scaligeri di Verona, ora presso gli Scala, tiranni di un'altra parte d'Italia (pag. 341-345).
Ben possiamo ora credere che codesto paja al Lamartine un mal garbuglio, anzi un caos inestricabile, e che perciò egli sclami esser Dante un uomo più grande del suo tempo e del suo poema (p. 368). E con questo inchino accademico ei pensa d'essersi sdebitato verso Dante e verso l'Italia. Ma il vero si è che il divino poema, siccome avviene in opera ove la natura entra più che l'arte, vince di grandezza l'uomo; e chi voglia persuadersene non ha che a cercar tutti gli altri scritti di Dante, e principalmente quelli incili egli s'industria di apparire meno poeta e più uomo ; come nelle lettere politiche e nelt^iOOQLe
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