Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
DANTE ALIGHIERIWO
mente sull'epitafìo preparato da Dante a se 8tesso, ore dice:
Jcra Monarchia:, Superos, Pklegethonta, Lacusque Lustrando, cecini, voluerunt fata quousque.
Versi che per avventura potrebbero rafforzare invece l'opinione di coloro che nella Divina Commedia veggono nn trattato di teodicea ghibellina, e credono che il principale intento di Dante sia stato politico. Il Torricelli con infinita diligenza andò frugando per entro le opere degli scrittori mistici ed ascetici, e ne trasse preziosi riscontri di quasi tutte le frasi allegoriche e le metafore bibliche usate da Dante. Ma che il poeta adoperando questi adornamenti di poesia sacra intendesse ogni parola secondo le dottrine e gl'intendimenti dei mistici, non è facile provarlo. Certo è che torcendo a troppo sottile significazione ogni immagine del poeta e cercando ad ogni piè sospinto argutezze acrostiche e logogrifi e allusioni di molteplice senso, si può riuscire a stranezze incomportabili. Nondimeno voglionsi consultare gli studii del Torricelli, come quelli del comm. Nicola Niccolini, del padre Marco Giovanni Ponta, tra i moderni ; e tra i vecchi, <'el Giambul-lari, del Manetti per la topografia e la cronologia ideale del sacro poema. Molto curiose sono anche le indagini sul primo concetto d'un viaggio poetico ai mondi invisibili, e sul ciclo leggendario che precedette e accompagnò il poema di Dante. In questo ciclo sono da ricordarsi la Visione del monaco Alberico, la Discesa al pozzo di San Patrizio, V Inferno del Guerrino Meschino, la Visiun Saint- Poi le Ber (visione di San Paolo il Barone pubblicata dall'Oza-nam), la Vie ou le songe d'rnfer di Ravul de Hondan, la Vote du Paradis di Rutbeuf, e molti altri libercoli monacali e anche profani divulgati in Italia e in Francia sul finire del xiii e in principio del xiv secolo : tutti lontanissimi però da ogni pregio non solo di poesia, ma anche di unzione mistica e di discrezione morale nella gradualità delle pene.
Quanto all'interpretazione delle allegorie, la gran ressa dei commentatori è intorno al canto i, ove pare che abbia a trovarsi la chiave di tutto il mistero; e principalmente intorno al Veltro, che v'è in dodici versi (100-120) con molte mistiche particolarità descritto, come quello che libererà l'umile Italia dalla lupa malvagia. Ora, questo veltro è, secondo i commentatori politici, un capitano o un principe ghibellino ; secondo i commentatori guelfi, un papa ; secondo i commentatori ascetici, Gesù Cristo. E ciascuno sgruppa alcuna parto del nodo, ma nessuno riesce a risolverlo del tutto. E par che da questo punto dipenda l'interpretazione di tutte le altre allegorie; la lupa che il Veltro dee far morir di doglia e ricacciar nelV inferno, la foresta, Q colle, la fiumana ove il mar non ha vanto, la via dritta, Yaltro viaggio, e il cinquecento dieci e cinque, che i politici leggono DVX, duce, capitano, e gli ascetici risolvono nella sacra sigla di Christus Dominus. Ma codeste contenzioni dànno per avventura in nonnulla, perchè Dante stesso, come già abbiamo accennato, ondeggiò nell'allegorizzare tra varie intenzioni, e probabilmente interpolò egli stesso in queste parti arcane l'opera sua, e la venne accomodando alle successive fortune della sua parte,
lasciandovi nondimeno traccia della primitiva lezione : onde chi non volesse inciampar ne'ragnateli, avrebbe a badare soltanto al senso poetico e alla realità plastica, in cui, a dispetto d'ogni recondito intendimento, improntavasi il genio dell'autore. Ad ogni modo potrebbe farsi un libro sollazzevole più della Chioma di Berenice in tanto aguzzarsi d'ipotesi in tomo ai simboli di Flegias, di Medusa, del Gran Veglio, del Minotauro, di Gerione, del Serpe che insidia le anime del Purgatorio, e delle apocalittiche fantasie che si mostrano al poeta nel Para-drso terrestre ; per non parlare dei famosi logogrifi di Pluto e di Nembrotte. Ed è meraviglia sentir codesti infatuati di Dante argomentare da una frase, da un epiteto del poema: ella dovette star così, ella ebbe a farsi in quest'altro modo ; proprio come se Dante 'osse testimone di cose effettive, o rivelatore di leggi tìsiche, e che ne' suoi versi, come in caso di forinole giuridiche, ogni parola dovesse aver conseguenze di fatti. Ma è da ridere che il Lamartine creda cotesto ombre essere la sostanza del poema ; e confonda i capricciosi enigmi dell'arguzia dantesca colle chiare, calzanti, sfolgoranti allusioni storiche e biografiche. (ìli h confondere la scienza degli astri e la meteorologia coi ghiribizzi di chi cercasse indovinare rappresentazioni e presagi nella forma mutabile delle nubi.
Toccando delle opere minori di Dante non abbiamo ricordate uè le sue Rime sacre, ne le sue Egloghe latine, nè la sua Tesi intomo al sito e alla figura della Terra, che furono stampate la prima dall'abate Quadrio (Bologna 1753), la seconda da monsignor Dionisi (Aneddoti, Verona 1788) e la terza dal Torri (Livorno 1843), e da ultimo raccolte e diligentemente illustrate dal Fraticelli (Firenze 1856-58, 3 voi., presso Barbèra e Bianchi). Le Rime smere, chi argomentasse dalla fievolezza dei numeri e dal rassegnato languore, che ricorda le poesie ascetiche di Silvio Pellico, si avrebbe a dire opera senile ; ma negli ultimi anni suoi Dante scriveva gli eccelsi canti del novissimo Paradiso. L'Egloghe ci provano, che se Dante avesse scritto il suo poema in latino, giusta i consigli de' suoi dotti amici, niuno ora conoscerebbe il suo nome. La Tesi di filosofia naturale, ch'ei disputò in Verona nei primi giorni del 1320, è una ghiotta curiosità pei fisici e per gli eruditi ; e ci mostra come Dante fosse, rispetto ai suoi tempi, nobile cultore degli studii fisici ; anzi sagace osservatore dei fenomeni naturali, di che ci lasciò prova manifesta in molti luoghi del suo poema, e principalmente ove parla del centro di gravità della terra, degli effetti della luce sui fiori e del concorso di essa nella maturazione e colorazione dei frutti, non che delle apparenze e degli influssi stellari ; anzi, in questa medesima tesi par che accenni possibile la formazione delle montagne per interno impulso, o, come dicono, per sollevamento (§ xxi, Quaestio de aqua et terra).
Abbiamo anche a dire due parole sull'iconografia dantesca. Nessun poeta fu più di Dante prediletto dai pittori : e a provarcelo basterebbe Michelangelo. Il sacro poema fu illustrato da moltissimi : Giacomelli, Flaxman, Pinelli meritano soli menzione. Dei moderni illustratori della Divina Commedia merita però speciale menzione Giuseppe Antonio Koch,
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