Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo

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      DECEMVIRI
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      Il Decembrio fu scrittore fecondissimo, e dalla iscrizione posta sulla tomba impariamo cbe fu autore di 127 volumi, non compresi gli opuscoli di poca mole. Si contano di lui parecchie traduzioni dal greco in latino e dal latino in italiano, fra cui le Storie di Appiano, la Ciropedia di Senofonte, i primi dodici libri dell' Iliade, la Storia di Quinto Curzio, la prima deca di Tito Livio e i Commentari* di Cesare. Le sue produzioni originali sono per la maggior parte storiche. Egli compose un Compendio di storia romana e un altro dei Paralleli di Plutarco ; la Peregrina istoria, in cui si ragiona delle romane magistrature ; e la Vita di Filippo Maria Visconti, censurata dal Giovio perchè l'autore accenna le qualità che oscurarono la gloria di quel principe, come se l'imparzialità non fosse il primo dovere dLi uno storico. Alla vita di Filippo aggiunse anche quella del suo successore, e le foggiò entrambe alla maniera delle Vite dei Cesari scritte da Svetonio. Lasciò pure moltissime lettere latine, tutte saporite per lingua e per gusto, le quali spargono molta luce sulla storia de' suoi tempi.
      Angiolo, suo fratello, fu anch'esso uomo dotto e perito nel greco e nel latino. Caro ai duchi di Milano, fu da essi mandato ambasciatore a Pio II. L'Argelati ne scrisse l'elogio e ne accennò le opere, tra le quali meritano di essere ricordati i sette libri De Politia litteraria, stampati in Basilea nel 1526, nei quali, imitando le Notti attiche di A. Gellio, disputa di erudizione e di letteratura.
      DECEMVIRI (stor. ani.). — Titolo di varii magistrati o pubblici uffiziali dell'antica Roma.
      1° I decemviri legibus scribendis erano un corpo di magistrati straordinarii, o piuttosto un comitato di dieci individui investito del potere tanto di formare un nuovo codice, quanto di amministrare la repubblica. Nei tempi più antichi di Roma il potere giudiziario apparteneva ai re, e dopo la loro cacciata, ai consoli, i quali non decidevano secondo leggi scritte, ma soltanto secondo gii usi e costumi. Siccome poi questi usi e costumi davano necessariamente luogo a dubbiezze, e i consoli erano scelti dal solo ordine dei patrizii, egli è assai probabile che le contese tra patrizii e plebei venissero per
      10 più decise con parzialità a favore dei primi; e questo doveva accadere più specialmente nei casi criminali, in cui nessuna legge certa serviva di norma. Queste circostanze condussero all'istituzione dei decemviri.
      Dopo molte violente lotte, nell'anno 453 av. Cr.,
      11 Senato e i plebei convennero che si dovessero compilare certe leggi scritte, cui tutti i cittadini dovessero senza distinzione alcuna andar soggetti. Si deputò una commissione di tre membri, i quali dovessero passare ad Atene a fine di procacciarsi una copia delle leggi di Solone, e informarsi delle istituzioni degli altri Stati della Grecia. Essendo costoro ritornati in capo a due anni, i tribuni chiesero immediatamente che il nuovo codice si compilasse. A tale effetto un altro comitato composto di dieci individui fu nominato dai comizii centuriati, e gli si conferì un potere illimitato, cosi amministrativo come giudiziario, senz'appello, e accompagnato dalla sospensione d'ogni altro magistrato, compresi i consoli e i tribuni. 1 nomi dei dieci deputati sonoricordati da Tito Livio (in, 33) e da Dionisio d'A-licarnasso (Antic. Rom., xi, 56). Appio Gaudio, principale fra i dieci, fu l'anima del comitato e soprantendeva ad ogni cosa. I decemviri si comportarono con grande moderazione e giustizia, e allo spirare del loro anno d'offizio avevano formato un corpo di leggi, distribuite in dieci sezioni, che vennero approvate dal Senato e dai Comizii, e incise sopra dieci tavole di metallo.
      Siccome però le nuove leggi parevano da qualche lato imperfette, si nominò un nuovo comitato, alla cui testa fu lo stesso Appio Claudio. Ma questa volta i decemviri si portarono in modo assai diverso ; si fecero veri tiranni e formarono un'oligarchia perniciosissima. Essi compilarono tuttavia parecchie nuove leggi che vennero approvate dalle centurie, e incise su due tavole. Ma sebbene fossero compiuti l'anno del loro uffizio e il loro mandato, non rinun-ziarono con tutto ciò alla carica, anzi continuarono a conservare il potere in loro mano durante l'anno 447 av. Cr., e ad esercitarlo in modo assai prepotente. Appio Claudio con atto arbitrario dichiarò schiava Virginia, figliuola di Virginio milite romano, perchè non aveva dato retta alle sue disonorevoli proposte; e il padre di lei, a salvarla dal disonore, la uccise in pubblico, e brandendo il pugnale insanguinato, chiamò il popolo a vendicarsi degli oppressori. I cittadini e l'esercito si unirono ad atterrare la tirannica possanza dei decemviri, che dovettero abdicare, e si ristabilirono i magistrati ordinarii. Appio Claudio moriva in prigione. Le dieci tavole dei primi decemviri e le due dei secondi formano le leggi dette delle dodici tavole.
      2° I decemviri litibus judicandis, cioè i dieci deputati alla decisione delle cause, formavano una corte di giustizia dipendente dal pretore, la quale venne istituita intorno all'anno 287 av. Cristo. Allo stabilimento di questo corpo diede origine il sempre crescente numero delle liti, per cui il pretore si trovava nell'impossibilità di spacciare da sè solo le faccende del suo tribunale. Quanto al potere di questi decemviri, non abbiamo precise notizie.
      3° I decemviri sacris facinndts (decemviri per compiere le cose sacre), detti talvolta soltanto decemviri sacrorum (decemviri delle cose sacre), componevano un collegio religioso, e venivano eletti a vita. Principale loro dovere si era quello di aver cura dei libri sibillini, ch'erano i libri sacri per eccellenza, e di consultarli in ogni occasione solenne per ordine del Senato, come ce lo attestano Livio (vi i, 27 ; xxi, 62 ; xxxi, 12) e Virgilio (JEn., vi, 73), che accenna a siffatta elezione colle parole .... lec-tosque sacrabo, Alma, viros (ed a te, alma Sibilla, gli eletti uomini consacrerò) poste in bocca ad Enea nella sua apostrofe alla Sibilla cumana. Sotto i re la cura di cotesti libri era affidata a due soli uomini (duumviri) di alto grado (Dionys., iv, 62), uno dei quali, di nome Attilio o Tullio, fu punito da Tar-quinio il Superbo, settimo ed ultimo re di Roma, dal 534 al 509 av. Cristo, coll'essere cucito vivo in un sacco e gettato nel Tevere, perchè, sedotto coll'oro da Petronio Sabino, gli permise prenderne copia (Dionys., I. c.; Val. Max., ì, 1, § 13). Cacciati i re, la cura dei medesimi libri fu affidata ai più nobili fra i patrizii, esentati a tale uopo da ogni
     


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Nuova Enciclopedia Italiana - Volume VII (parte 1)
Dizionario generale di scienze lettere industrie ecc.
di Gerolamo Boccardo
Utet Torino
1879 pagine 1048

   

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