Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo

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      DEDICA E DEDICATORIA - DEDICAZIONE
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      devesi l'invenzione del cuneo, di altri stromenti meccanici e dell'uso delle vele per navigare. Fece statue che moveansi di per sè e parevano animate. Talo, figliuolo di sua sorella, dava speranza di divenire eguale a lui nella meccanica, ond'egli per invidia lo balzò da una finestra, e col figliuolo Icaro foggi da Atene e ricovrossi a Creta, ove da Minosse re del paese fa accolto cortesemente. Quivi fece il celebre labirinto, e ajutò Pasifae, la regina, a soddisfare la brutale sua passione, per la qual cosa cadde in disgrazia presso Minosse, che lo confinò nello stesso labirinto da lui costrutto. Quivi, secondo la favola, lavorò per sè e pel suo figliuolo Icaro, che gli era compagno di prigionia, ale di penne e di cera, onde tutti e due presero il volo e fuggirono da Creta. Ma il calore del sole avendo disciolto la cera delle ale d'Icaro, che poggiava troppo alto, questi cadde in quella parte di mare che da lui fu denominato Icario. Il padre, più destro di lui nel maneggiare le ale, raccolse il volo a Cuma, dove costruì un tempio ad Apollo, e quinci volse il corso verso la Sicilia, dove fu ospitalmente ricevuto da Cocalo, che regnava sopra una parte di quell'isola. Lasciati quivi più monumenti del suo ingegno, che dicevansi esistere ancora al tempo di Diodoro Siculo, fu poi messo a morte da Cocalo stesso, spaventato dalle minacce di Minosse, il quale avevagli dichiarato guerra per avergli dato asilo. Quanto alla sua fuga da Creta, la favola viene spiegata dall'essere egli stato inventore delle vele, che, vedute a qualche distanza, si potevano facilmente prendere per ale.
      Che Dedalo abbia esistito, è cosa che può ragionevolmente mettersi in dubbio, e si vuol credere ch'egli sia stato un personaggio puramente mitico, il cui nome veniva applicato a qualunque artefice ingegnoso. Le opere a lui attribuite e mentovate da Pausania devono appartenere a tempi assai meno antichi.
      DEDICA e DEDICATORIA (letler.). — È quella specie di lettera che gli autori sogliono premettere alle opere loro, indirizzandole ad un personaggio particolare; e presso i poeti così chiamansi quei versi, dopo l'invocazione, coi quali consacrano il poema al loro mecenate. Le dedicatorie furono per lo più originate dallo stato di dipendenza in cui troppo spesso si sono trovati gli autori rispetto ai loro potenti e ricchi protettori. Gli ornamenti più luminosi della letteratura latina, Lucrezio, Cicerone, Virgilio ed Orazio, sono nel numero degli antichi che dedicarono le opere loro.
      Dopo il risorgimento delle lettere, poche opere si pubblicarono senza dedicatorie, molte delle quali sono dignitose e lodate per eleganza e purità di stile, mentre la materia che contengono le rende talvolta più pregiate degli stessi trattati cui vanno innanzi; ma quest'uso si andò poi gradatamente corrompendo, e non pochi scrittori che vennero dopo convertirono le dedicatorie in invereconde piacen-terie, non mirando che a procacciarsi il favore dei grandi. Nei secoli xvi e xvn in Italia, sotto Luigi XIV in Francia, e dal 1670 sino all'avvenimento al trono di Giorgio III in Inghilterra, grandissimo fu l'abuso delle dedicatorie, nè fu umiltà di linguaggio cui gli autori non scendessero, sino a prostrarsi dinanzi alNuova Encicl. Ital. Voi.
      sovrano colle ginocchia della mente. Vitupero di esse in Italia fu l'Aretino, il quale non arrossiva di accennare i doni che da altri aveva ricevuti; di adulare bassamente coloro da cui poteva sperare ricompensa, volgendosi con dispetto contro quelli che non erano stati liberali verso di lui quanto aveva sperato. Gran dedicatore in Inghilterra fu Driden; e Johnson ne scrisse per chi lo richiedeva, in qualità di scrittore di professione. Corneille per quella del Cinna al presidente di Montauron ricevette un presente di mille doppie. Ma non tutti incontrarono la ventura del tragico francese. È celebre la risposta del cardinale Ippolito d'Este a messer Lodovico; e dell'Ariosto non fu certamente più fortunato il Tasso.
      Oggidì gli scrittori lasciarono l'uso delle dedicatorie impudenti, non sappiamo se per sentimento della propria dignità, o per effetto dei tempi; e in quella vece se ne fanno sentimentali in forma d'iscrizioni, comunemente dirette non più a mecenati, ma alla moglie, all'amico, al padre, alla sorella e va dicendo. Una storia delle dedicatorie potrebbe formare una curiosa monografia nella letteratura. Non è da tacere che anche gli editori ed i librai usarono ed us'ano di fregiare, com'essi dicono, col nome di qualche illustre personaggio le opere che vanno pubblicando.
      DEDICAZIONE (stor. eccl). — Dedicare un tempio, un monumento, una statua od anche un edifizio particolare era presso i pagani il consacrare questi oggetti ad una o più divinità; ma gli uomini stessi divisero in ogni tempo questo onore cogli Dei. La gratitudine, il timore o l'adulazione fecero inalzare altari e soprattutto statue ai re della terra, ai guerrieri morti per la patria, ai conquistatori, ai grandi scrittori, agli uomini infine che ottennero una specie qualunque di celebrità. La dedicazione dei monumenti fu in uso presso tutti i popoli, ma in ispecial modo presso gli Egizii, i cui tempii ce ne somministrano prove convincenti in mezzo alle loro rovine. A quest'uso religioso la storia va ai di nostri debitrice di conoscere il lungo ordine dei re in un paese che comunicò la sua civiltà alla Grecia, dandole le sue arti e la sua industria. I Greci e i Romani imitarono l'esempio dell'Egitto, dedicando i monumenti pubblici e privati d'ogni genere alle divinità, e riputavasi sommo onore l'essere prescelto a fare la dedicazione di un monumento importante. Al dire di Tacito, il solo onore che mancasse alla fortuna di Siila, fu di non aver potuto dedicare il Campidoglio, cosa che era riserbata a Lutazio Ca-tulo. Tito fece solenne dedicazione del Colosseo ; e questa cerimonia consisteva nell'incidere sul frontispizio dei monumenti il nome di colui che li dedicava. Egli è per ciò che leggesi ancora ai dì nostri il nome di Agrippa sul Panteone.
      Il cristianesimo non ereditò, come male asseriscono alcuni, questa pratica religiosa dal paganesimo; perchè la dedicazione dei tempii era già praticata dal popolo d'Israello. Mosè dedicò il tabernacolo da lui eretto nel deserto, e Salomone dedicò solennemente il tempio che fece edificare al Signore. 1 Maccabei, da poi che purificarono il tempio ch'era stato contaminato da Antioco Epifane, non solo celebrarono la dedicazione, ma ne feceroVIL H
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Nuova Enciclopedia Italiana - Volume VII (parte 1)
Dizionario generale di scienze lettere industrie ecc.
di Gerolamo Boccardo
Utet Torino
1879 pagine 1048

   

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