Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
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DEDITIZn — DEDUZIONEun anniversario che chiamarono Hanuchah, che i Settanta tradussero per syxotvfe, cioè rinnovazione.
Delle dedicazioni delle chiese cristiane nei primi secoli così parla il Fleury (Hist. eccl., 1. x, 1): ci cristiani vedendosi in libertà dopo tante persecuzioni, riguardavano con istupore le meraviglie della potenza divina. Dappertutto nel luogo delle chiese distrutte se ne inalzarono di nuove più ampie e più belle. Le loro dedicazioni erano feste magnifiche. I vescovi vi si adunavano in gran numero, i fedeli vi accorrevano in folla ; ogni età, ogni sesso vi prendeva parte. L'incontro dei parenti e degli amici che vedevansi dopo una lunga separazione rendeva più gradita l'unione dei membri della Chiesa, e cantavano tutti ad una voce cantici di allegrezza. I prelati applicavansi alle sante cerimonie, che compievano religiosamente, occupando il popolo col canto dei salmi e colla lettura della Bibbia; i più eloquenti fra loro pronunziavano panegirici, vale a dire discorsi di lode e di rendimenti di grazie per mantenere santamente viva la gloria dell'assemblea ». Questo storico descrive, sulle orme di Eusebio, la dedicazione della chiesa di Tiro e quella del Santo Sepolcro, nel 335, in cui il vescovo di Cesarea si segnalò per la sua eloquenza. Egli parla inoltre delle dedicazioni delle chiese di Antiochia e di Santa Sofia di Costantinopoli, celebrate sotto Costanzo, nel 341 e nel 360.
I più venerandi padri, come sant'Atanasio, credevano che in caso di necessità si potesse far uso di una chiesa anche prima che fosse dedicata ; ma essi erano ben lungi dal porre in non cale questa cerimonia, come si vede neWApologia. La formola della dedicazione di una chiesa, che trovasi nel Sacramentario di Gelasio, pubblicato dal Tornasi nel 16H0, e poscia dal Muratori, e nel Pontificale di Egberto arcivescovo di York, non differisce molto da quella usata ai dì nostri, benché fosse allora più semplice e più breve.
La chiesa da dedicarsi è senza tappezzerie ed ornamenti, gli altari non hanno tovaglie, e non si permette al popolo di entrarvi. Il celebrante, rivestito di cotta, di stola e di piviale bianco, accompagnato da alcuni ecclesiastici, va processionalmente alla porta principale, dinanzi alla quale recita una preghiera. Quindi intona l'antifona Asperges e cantasi il Miserere, mentre il clero fa il giro della chiesa, cominciando a destra. Il celebrante spruzza d'acqua santa i muri esterni, e tornato alla porta recita un'altra preghiera. Entrato il clero in chiesa al canto delle litanie, il celebrante inginocchiasi sul primo gradino dell'altare, e rialzatosi per benedire e recitare un Oremus, si rimette in ginocchio a qualche distanza dall'altare per cantare alcuni salmi, che sono seguiti dalla benedizione dei muri interni. Finiti i salmi e cantata un'antifona, il celebrante recita un Oremus, 6Ì orna l'altare e si dice la messa.
Questa cerimonia, che suolsi chiamare benedizione anziché consecrazione, differisce da quella eseguita dal vescovo, e che dicesi solenne, reale, costitutiva, non solo per la diversità del rito, ma per l'unzione del crisma e degli olii santi. Lungo sarebbe il descriverla, e noi mandiamo i lettori curiosi di più particolari notizie alle opere del Galluzzi, Il ritodi consecrare le chiese (Roma 1722) e del Cecconi, Il sacro rito di consecrare le chiese, esposto, spiegato e presentato al 8. P. Benedetto XIII (Roma 1728).
La dedicazione episcopale, vale a dire fatta dal vescovo, cui si supplisce ordinariamente colla benedizione sacerdotale or ora descritta, è assai lunga ed accompagnata da molte cerimonie. Il Pontificale Romano la descrive minutamente.
Tutte le chiese fanno memoria ogni anno della loro dedicazione. Tuttavolta, nella Chiesa occidentale, la dedicazione generale di tutte le chiese è fissata alla penultima domenica dopo la Pentecoste.
DEDITIZH (archeol.). — Erano propriamente quei nemici del popolo romano, i quali deponendo volontariamente le armi, si arrendevano e conservavano la libertà individuale (Tit. Liv., vii, 31 ; Caes., i, 27), a differenza di coloro che erano fatti prigionieri di guerra e venivano pubblicamente venduti come schiavi. Chiamavano peregrini deditizii e non erano nè schiavi, nè cittadini, nè godevano dei privilegi dei Latini, ma si trovavano nella condizione di un popolo vinto che non aveva più alcuna sorta di esistenza politica, ed era con Roma nella relazione di suddito. Così fu almeno fino ai tempi di Ulpiano.
A costoro era assomigliata l'ultima classe dei liberti. La legge Elia Senzia (anno di Roma 756, dell'èra volgare 4) stabiliva che uno schiavo il quale per punizione fosse stato messo in catene dal padrone, o fosse notato d'infamia, o messo alla tortura per qualche delitto e convinto reo, od esposto a combattere con le fiere o in un ludo di gladiatori, e che poi fosse stato manomesso, non potrebbe acquistare altro stato fuorché quello di un peregrino deditizio, e lungi dal poter mai godere dei diritti e privilegi di cittadino romano, non godrebbe nemmeno quelli di un Latino.
DED0LAZI0NE (chir.). — Azione di uno strumento chirurgico che, portato obliquamente sopra una parte, ne toglie una porzione superficiale, producendovi una piaga con poco considerevole perdita di sostanza.
DEDUZIONE (log.). — Dal latino deducere, il vocabolo deduzione è adoperato in filosofia per indicare l'operazione intellettuale che consiste nel determinare una verità particolare, tirandola da un principio generale anteriormente conosciuto; è l'opposto dell'Induzione (V.).
Allorché l'oggetto particolare che vuoisi determinare è direttamente osservabile, altro non occorre che l'osservazione; ma spesso, diviso da noi per tempo e spazio, non possiamo attingerlo col suo mezzo. Accade pure che non solo vogliamo conoscere ciò che è, ma bene ciò che dev'essere, tale che l'assoluto, il necessario; al che non basta l'osservazione, che può solo fornire nozioni del particolare e del contingente. Se dell'oggetto da determinare null'altro conosciamo che l'esistenza, niun processo deduttivo può aver luogo; ma se abbiamo notizia di alcune delle sue qualità, e ne possediamo qualche dato, egli è a vedere se per mezzo di esso possa riferirsi ad alcun principio generale, in cui la qualità cercata è evidentemente congiunta alla qualità conosciuta. In tal caso affermiamo del particolare
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