Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo

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      DEE
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      ciò «he abbiamo detto del generale, e ciò chiamasi dedurre. A mo' d'esempio : abbiasi a determinare se l'aria sia un corpo: conoscendo che l'aria è pesante, questo dato basta per classificare il soggetto della questione sotto il principio generale: tutti i corpi sono pesanti, dalla quale affermazione generale :sce spontanea l'affermazione particolare : Varia è un corpo. — La forma della deduzione è il Sillogismo (Y.), che Aristotile (Prior. analyt., 1. i, c. 1) definisce: enunciazione da cui, essendo poste certe asserzioni, per ciò solo che il sono, rampolla un'asserzione differente dalla prima.
      Dalla precedente definizione e dal detto sopra, chiaro si scorge che la deduzione muove dal generale, che può essere il prodotto di una induzione premessa, un principio cioè induttivo, a posteriori; oppure un principio universale, assoluto, a priori. Ma, ad ogni modo, sia che parta da principii razionali puri, sia da principii induttivi, od anche da verità già dedotte da altre (le quali in tal caso tengon luogo di principii), acciocché la deduzione sia legittima, vuol essere fatta secondo norme invariabili, delle quali parleremo quando del ragionamento o del sillogismo terremo discorso.
      Noteremo infine che la parola sillogismo non fu adoperata nè dai Latini nè dagli scolastici nella significazione che di presente le assegna la filosofia ; e ciò perchè l'operazione intellettuale non era distinta dalla sua forma, e addimandata con un nome che dimostrasse le sue relazioni coll'induzione ; precedentemente ella era stata studiata nella forma sillogistica.
      DEE (mitol.). — Divinità del sesso femminile adorate dal paganesimo, col quale cadde, sulla fine del secolo iv dell'era cristiana, quanto restava ancora dei loro tempii nell'Asia, nell'Africa e nell'Europa. Fra gli Asiatici occidentali, gli Ebrei, i quali adoravano il solo Jehova, non conoscevano dee; e la loro lingua manca affatto di questo vocabolo. Le nazioni vicine alla Giudea contavano pochissime dee, non avendo i Sirii che Astarte e Atergate o Derceto, e gli Egizii Iside, Satè, Anuki, ecc.
      Ma i Greci, ed a loro imitazione i Romani, crearono una moltitudine di dee, perchè le virtù, le passioni, i dolori, divinità allegoriche, sono per lo più nei loro idiomi di genere femminile. Questi popoli, nemici dello spiritualismo, le rappresentarono per la maggior parte sotto le più belle forme umane, cui associarono l'immortalità. Si riconosceva o piuttosto credevasi di riconoscere una dea alla maestà o. alla grazia del suo portamento (et vera incessu patuit dea, Virg.) e al celeste odore di ambrosia ch'ella si lasciava dietro passando. L'Italia sovra ogni altra nazione abbondava di dee: oltre alle cappelle, agli altari ed ai tempii inalzati alla Vittoria, alla Paura, alla Buona Fede, alla Fortuna, ecc., si vedeva ancora un tempio alla Cattiva Fortuna sul monte Esquilino, e un altro alla Febbre sul Palatino. Le sorgenti, le montagne, le foreste ebbero le loro najadi, le loro orcadi, le loro napee; ma queste divinità subalterne erano più comunemente appellate ninfe, benché avessero tempii ad esse dedicati. Si offerivano pur anche sacrifizii alle Tempeste. Le Eumenidi ebbero altari ad Atene, e i Romani consacrarono loro un bosco.
      Ma il titolo di dea era attribuito per eccellenza a ciascheduna delle Muse. Omero non nomina Calliope nel primo verso dell' Iliade; ma con un'enfasi altrettanto naturale quanto pomposa, a lei si rivolge dicendo: Cantami, o dira, del Pelide Achille — 1 Vira funesta.
      1 Greci ed i Romani ebbero sei dee maggiori: Giunone, Vesta, Minerva, Cerere, Diana e Venere. I Messenii soli, i quali rendevano un culto particolare a Proserpina, la mettevano nel loro numero. Vesta o Cibele, siccome rappresentante la natura, era nominata Buona Dea, nello stesso modo che Fauna, sposa di Fauno re del Lazio, divinità tutta latina, la quale dovette la sua apoteosi ad una castità senza esempio, non avendo mai guardato altro uomo che suo marito.
      Le dee eransi diviso il cielo, la terra, il mare e l'inferno. La terra, più varia e più animata che il cielo, ne aveva essa sola un numero maggiore degli altri tre regni. Quivi in boschetti solitarii o su qualche monte appartato dimenticavano la noja della loro maestà nelle braccia dei più belli fra i mortali: Venere fra quelle di Anchise, Teti fra quelle di Peleo, e la stessa casta Diana fra gli abbracciamenti notturni di Endimione. Ma i loro favori costavano assai caro, poiché credevasi che chiunque ne avesse goduto le ineffabili ma perfide delizie dovesse soggiacere ad una morte immatura.
      Gli antichi avevano diverse divinità ermafrodite ; Minerva, secondo alcuni, era di questo numero: dicevasi Luno o Luna; Mitra, il Soleo Venere presso i Persi, era dio e dea; e i mitologi erano perfino indecisi sul sesso del brutto e zoppo Vulcano. Questa confusione era senza dubbio il più delle volte cagionata dalle parole, che, passando da un linguaggio all'altro, mutavano spesso di genere.
      Quattro erano le specie di dee, le celesti, le terrestri, le marine e le infernali. Ma nelle tre ultime categorie ve n'erano di ogni grado, di ogni forma, mentre il bello ideale era riserbato al solo Olimpo. Esse erano generalmente rappresentate nude, ad eccezione di Minerva e delle Muse. Rigorosamente parlando esisteva una quinta specie di dee, che i Latini chiamarono dece matres; il loro culto era passato dalla Fenicia in Grecia e quindi in Italia. Esse presiedevano ai frutti della terra, ed erano rappresentate con corone di fiori, canestri di frutte, e talvolta con una cornucopia che spandeva i tesori dei giardini e dei campi. Gli Elleni le presero per le nutrici di Giove, o per le figlie di Cadmo, cui fu affidata l'infanzia di Bacco; e si pretese che fossero cambiate in tante stelle e formassero la costellazione della Grand'Orsa. Queste dee madri erano riguardate come le dispensatrici dei doni della natura. I Fenicii le chiamavano Astarti o Veneri generatrici. Esse avevano in Sicilia un tempio fino dalla più remota antichità, e in ogni contrada si trovano tracce del loro culto. Coli'andare del tempo, qualunque donna resa illustre dalle sue virtù o da qualche utile scoperta ricevette l'apoteosi e fu posta nell'ordine delle dee madri o matrone.
      DEE (geogr.). — Nome di due fiumi in Tscozia, l'uno dei quali sgorga dal monte Braeriach, in prossimità di Cairntoul e di Ben Macdhui, traversa ì'Aberdeenshire e parte del Xinkardineshire, et^iOOQLe


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Nuova Enciclopedia Italiana - Volume VII (parte 1)
Dizionario generale di scienze lettere industrie ecc.
di Gerolamo Boccardo
Utet Torino
1879 pagine 1048

   

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