Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
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Se ne faceva uso per colare a fondo o pertugiare una nave nemica, scagliandola contro la medesima di fianco (Aristoph., Equii., 759 ; Thucyd., vi», 41 ; Schol. ad loc.; Hesych., 8. v.). Egli è superfluo l'av-yertire che la massa suddetta aveva il solo nome del pesce delfino senza averne minimamente la forma, per quella stessa guisa che oggidì le spranghe di ferro che servono da zavorra nelle navi diconsi dagl'Inglesi porci (pigs) e dai marinari dell'Adriatico testudini, tartarughe (volgarmente gajandre), senza che abbiano punto la forma nè degli uni, nè delle altre. Gli è probabile che i delfini venissero issati sugli alberi delle navi soltanto quando queste entravano in azione e possiamo parimenti supporre che si adattassero non tanto alle triremi celeri quanto alle onerarie, perchè il veleggiare delle prime sarebbe stato sommamente inceppato da una massa così pesante di metallo. In ogni modo è fuor di dubbio che Tucidide parla di tali bellici strumenti annessi alle navi olcadi (óXxóSe?, onerarie, traenti, trasportanti, da Ùx», traggo, donde poi òXxiw, traggo, tiro una nave pesante, e quindi 6Xx
DELFINO (geogr.). — Questa città, chiamata anche Delvino o Deionia, è l'antica Helicranum nell'Epiro, capoluogo fortificato d'un sangiaccato di Janiua, sulla riva orientale del Pavia, che va a gittarsi nel lago Yivari; conta 12,000 abitanti che sono dediti alla cultura dell'ulivo e commercianti. Il sangiaccato si estende lungo il mare dal golfo di Antonia al sud di Parga fino a quello di Avlona. Comprende i monti Ceraunii che terminano a capo della Linguetta. Vi si trova il porto di Olimaia e l'antica fortezza di ugual nome che fu ed è ancora riparo dei Chimariotti, gente ardita e indomita, dedita alla rapina e alla pirateria.
DELFINO (mitol.). — Fra i muti abitatori delle onde il delfino è uno dei più decantati dai poeti, avendolo gli antichi considerato come amico dell'uomo. Apollo trasmutato in delfino fu guida ai Cretesi che veleggiavano verso la Focide ; un delfino salvò il musico Arione slanciatosi nelle onde ; un altro scopri a Nettuno l'abitazione d'Anfitrite e fu il mezzano dei suoi amori ; in delfini furono cangiati da Bacco alcuni marinai. Ulisse portava scolpito un delfino nel suo scudo perchè uno di questi animali aveva salvato Telemaco. Icadio figliuolo di Apollo e Tara figliuolo di Nettuno ebbero pure la vita salvata da delfini. Nelle antiche medaglie il delfino, posto allato del tripode d'Apollo, indica il sacerdozio dei decemviri. Unito ad un tridente, esprime il commercio e l'impero dei mari.
DELFINO (astr.). — Costellazione boreale situata presso l'equatore celeste tra l'Aquila e il Cavallino (Tav. CCXVI1I). È una delle quarantotto costellazioni di Tolomeo (V. Costellazione) e comprende diciotto stelle nel Catalogo britannico. Gli antichi la chiamarono delphinus, piscium rex, Hermippus, Neptunus, Apollo, vector Arionis, persuasor Am-pkitrìte8, ecc. (V. Delfino [wtVoi.]). Dicono i poeti che Tritone, figlio di Nettuno, avendo servito gli Dei nella guerra contro i Giganti, in ricompensa fu cangiato in delfino e posto in cielo.
DELFINO (Dauphin) (stor. mod.). — Titolo dei primogeniti dei re di Francia sotto la dinastia dei Yalois e dei Borboni. L'origine di questa parola è stata materia di molte disputazioni. I conti d'Albon e di Grenoble sono primamente mentovati nel secolo ix come feudatarii del reguo d'Arli, e quindi assumono il titolo di conti di Vienna e diventano indipendenti come altri grandi feudatarii. Guido Vili, conte di Vienna, fu, a quel che si dice, soprannominato le Dauphin, perchè portava un delfino come emblema sopra l'elmo o sullo scudo. Questo soprannome rimase ai suoi discendenti, che chiamaronsi DauphinSy e Dauphiné il paese che governavano (V. Delflnato). Umberto II della Tour-du-Pin, ultimo della dinastia dei Delfini, perduto l'unico suo figlio, cedette per trattato la sua sovranità a Filippo VI di Valois nel 1349, e si ritirò in un convento di Domenicani (Moreri e storici francesi). La cessione era propriamente fatta a favore del secondogenito di Filippo, ma per via di convenzioni seguite nella famiglia reale di Francia, il titolo di Delfino passò al primogenito, e fu poscia assunto dai primogeniti, fino alla decadenza del primo ramo dei Borboni, avvenuta nel 1830, anno in cui è andato in disuso. Ultimo a portarlo fu il duca d'Angoulème, figlio di Carlo X.
Oltre i conti di Vienna, portarono in Francia il titolo di Delfino anche i conti d'Alvernia, i quali emulando i primi, lo presero verso il 1167. Il delfinato d'Alvernia cadde poscia in possesso di Ludovico II di Borbone qual dote di Anna sua moglie, discendente dalla famiglia di quei conti.
DELFINO o DOLFIN {geneal. e biogr.). — Antica famiglia patrizia veneta, che vuoisi essere stata un ramo uscito dalla schiatta Gradeuigo nel secolo ix.
Dei molti uomini illustri che le appartengono, faremo cenno dei principali.
Giovanni, doge di Venezia, morto 1*11 luglio del 1361, apparteneva ad una delle famiglie primarie della Repubblica, ed inviato in qualità di provveditore al soccorso di Treviso assediato dagli Un-gheri, vennegli fatto gittarsi in questa piazza e difenderla con buon esito. In quella il doge Gradenigo mori il di 8 agosto del 1356, e Delfino fu nominato suo successore ; ma era difficile, chiuso com'era in Treviso, fargli pervenire fin anco la nuova della sua elezione. Ben fu chiesto un salvacondotto al re d'Ungheria, che lo ricusò; ma Delfino riuscì a scap-polarsela. Il suo governo non fu che una sequela di sciagure. Nel 1357 gli Ungheresi impadronironsi delle piazze pressoché tutte della Dalmazia e dell'Istria, e i Veneziani furono costretti ad impetrar pace. 11 re Luigi d'Ungheria volle che la Repubblica rinunciasse per sempre alla Dalmazia e restituisse tutte le piazze dal golfo di Quarnero, sotto Fiume, fino a Durazzo presso l'ingresso dell'Adriatico, vale a dire un littorale d'oltre a cento leghe con un gran numero d'isole e porti. Per dure che fossero queste condizioni, i Veneziani dovettero acconciarsi ad esse, ed il trattato fu sottoscritto il 18 febbrajo 1358 a Zara. Fu stipulato inoltre che il doge non assumerebbe più il titolo di duca di Dalmazia e di Croazia, e che, se avvenisse mai che il re d'Ungheria avesse a sostenere una guerra marittima, la Repubblica di Venezia dovesse somministrargli ventiquattro
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