Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
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DELFO 0 DELFIdi già la sua importanza ancor prima della guerra sacra del 595 avanti Cristo, la quale terminò colla distruzione di Cirra per comando degli Anfìzioni, e colla consecrazione della cirrea pianura alla città. Di cotesta guerra fratricida per religioso fanatismo parlammo altrove (V. Crissa), e qui fa solo mestieri ripetere che i tesori di Cirra furono adoperati dal Consiglio anfizionico per fondare i giuochi pizii, che celebravansi poi ogni quattro anni sotto la sua sorveglianza, alla prima metà di ciascuna terza olimpiade, cominciando dal 5Q6 avanti Cristo. Le corse a cavallo e a piedi si eseguivano sulla pianura marittima vicino'a Cirra, e quindi l'ippodromo continuò ad esistere fino ai tempi più recenti (Paus., x, 37, § 4) ; ma lo stadio che trovavasi sulla stessa pianura ancora ai tempi di Pindaro (Pyth., \i, 20, 23), fu successivamente rimosso verso la città, ove sembra che avessero luogo costantemente gare musicali e letterarie. Dall'epoca della distruzione di Cirra, Delfo fu senza dubbio Stato indipendente, qualunque ne fosse da prima la condizione politica; perchè d'allora in poi comparisce come città retta da' suoi proprii magistrati. Il nome Delfo incontrasi per la prima fiata in uno dei più recenti inni omerici (xxvir, 14) ed in un frammento di Eraclito (Plut., De Pyth. orac., c. 21, p. 404), e la sua popolazione giunse da Licorea (Auxwpéia), città sur una delle eminenze del Parnaso, sopra il santuario, fondata, com'era fama, da Deucalione, e perciò i nobili Delfesi ne ripetevano volontieri in ogni caso la loro origine. Ond'è che anche Plutarco narra che i cinque sommi sacerdoti del dio, detti santi (foioi), venivano scelti a sorte da quelle famiglie che discendevano da Decaulione (Strab., ix, p. 418; Schol. ad Apoll. Rhod., li, 711 ; Paus.,x, 6, § 2; Plut., Quast. Grcec., 9, p. 380) ; gli avanzi di Licorea trovansi ora al villaggio di Liakura, somigliante eziandio al nome antico. Il Miiller è d'avviso che gli abitanti di Li-corea fosseio Dorii, che si erano sparsi dalla dorica tetrapoli (quattro città federate) sulle alture del Parnaso, adducendo in prova il dialetto dorico di Delfo, e la predilezione dell'oracolo per i Greci di schiatta dorica; differenza di stirpe che mani-festossi sempre nell'antipatia che avevano tra loro Focesi e Delfesi.
III. Governo. — Sembra sia stato da principio aristocratico o quasi oligarchico, nell'esclusiva balia di poche famiglie nobili, che disponevano per intiero dell'oracolo e da cui eleggevansi i cinque santi summentovati. Erano costoro i personaggi sedenti presso il sacro tripode, i signori e prenci delfici, come li chiama Euripide (lon., 415), formanti una corte criminale che con pizio decreto condannava ad essere precipitati giù da una rupe tutti i violatori del tempio, e detti perciò anche xotpotvol TruO'.xot (dominatori, sovrani pizii), AsX^tòv ofvaxTEc (principi, padroni di Delfo), ecc. (Miiller, DieDorien, n° 1219, 1222, voi. i, p. 240). Eleggevansi dalle medesime famiglie nobili i magistrati principali, fra cui, nei tempi primitivi, un re e poscia un pritanide ( curavi?!;) o capo supremo del Pritaneo (palazzo di città, del comune, della comunità), ossia dei maggiorenti e di tutti i cittadini (V. Pritaneo. Plut., Qucest. Grcec., 12, p. 383; Paus., x, 2, § 2). Troviamo parimente nelle iscrizioni ilricordo di arconti che davano il loro nome agli anni, di un senato (pouXii), e più tardi anche di un'agora o popolare assemblea (Bockh, Inser n» 1682-1724; Miiller, Die Dor., voi. i, p. 192). Torna qui opportuno il notare che la costituzione di Delfo e le sue condizioni sociali erano in aperto contrasto con tutto ciò ch'esisteva di analogo negli altri Stati della Grecia, perchè andando essa debitrice non solo della sua prosperità ma fino della sua stessa esistenza all'oracolo, reggevasi a teocrazia. 11 nume era possessore di estesissimi fondi, coltivati dagli schiavi del tempio, come troviamo sovente nelle iscrizioni (Miiller, voi. i, p. 283), ed in aggiunta a ciò i cittadini di Delfo ricevevano numerosi doni dai monarchi e dai potenti che consultavano l'oracolo, mentre in pari tempo i molti 8aerifizii offerti dagli stranieri bastavano al loro sostentamento (Athen., iv, p. 173). Diventarono quindi gente infingarda, ignorante e sensuale, e l'antichissima loro depravazione e malvagità è implicita nella tradizione della tragica morte di Esopo.
IV. Vicende dell'oracolo. — Fin dal secolo vm avanti Cristo la sua rinomanza era divulgata non solo per tutta l'Eliade, ma ben anche fra le nazioni finitime, che inviavano talvolta solenni ambascerie a chiedere i responsi del nume. Tanta autorità proveniva dal fatto, che quasi tutte le colonie greche si erano fondate per consiglio, e di frequente per espresso comando del pizio Apollo ; e per tal guisa i coloni portavano seco una naturale riverenza per il patrocinatore della loro impresa. Gige, fondatore dell'ultima dinastia lidica, che regnò dal 715 al 678 avanti Cristo, fece preziosi regali al nume (Herod., i, 13, 14); e Creso, l'ultimo dei sovrani della medesima, fu uno dei più grandi benefattori che mai avesse avuto il dio, ed i molti e ricchissimi suoi doni sono minutamente registrati da Erodoto (r, 50). Le colonie della Magna Grecia contribuirono anch'esse dal loro canto a diffondere fra i popoli d'Italia il rispetto pel delfico oracolo ; la città etrusca di Agilla o Cere (odierna Cervetri) aveva a Delfo un tesoro di sua appartenenza ; e l'ultimo re di Roma ne fece consultare l'oracolo. Nel 548 av. Cristo il tempio fu consunto dal fuoco. (Paus., x, 5, § 13, e molti de' doni votivi o rimasero distrutti, o furono grandemente danneggiati (Herod., i, 50), e gli Anfìzioni decretarono che venisse riedificato sopra una scala più vasta, con magnificenza corrispondente alla fama della sua santità. Decretarono inoltre che un quarto della spesa fosse a carico dei Delfesi stessi, e il resto venisse raccolto dalle altre parti del mondo ellenico. La somma necessaria alla fabbrica fu di 300 talenti argentei di Egina o Corinto (2,370,000 fr.), e quando fu finalmente raccolta, la famiglia degli Alcmenidi, esule allora da Atene, assunse l'appalto dei lavori, valendosi dell'architetto corinzio Spin-taro, e meritandosi grandi encomii per la liberalità con cui adoprò il marmo pario per la facciata del tempio, invece della pietra greggia, a tenore dei contratto (Herod., ir, 180; v, 62; Paus., 1. c.).
Nel 480 avanti Cristo, Serse mandò un buon drappello di soldati a saccheggiare il tempio, e i Pelfesi spaventati cercarono tosto rifugio sulle vette del Parnaso, ma ebbero divieto dal dio di aspor-
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