Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
DELFO 0 DELFI
24otare i tesori dal suo tempio. Soli sessanta di quei cittadini rimasero al loro posto, incoraggiativi dai divini portenti ; e quando i Persiani, provenienti dalla Focide per la strada di Schiste, incominciarono ad arrampicarsi pel dirupato sentiero del santuario, e stavano già per toccare il tempio di Minerva Pronea (provveditricè), detta anche Pro-naja (itpwrfe, pretemplare, che sta dinanzi al tempio), ecco di repente mugghiare il tuono ed uscire da quel tempio il grido fragoroso di guerra, e precipitare dalle montagne due enormi macigni, schiacciando parecchi di questi assalitori. I Persiani, presi incontanente da terror panico, volsero le terga fuggendo, inseguiti da due guerrieri di forma sovrumana, Filaco ed Autonoo, aventi lì dappresso iloro santuarii, giusta l'asserzione dei Delfesi. Erodoto, visitando Delfo, vide nel sacro ricinto di Minerva Pronea questi stessi macigni da cui erano stati stritolati i Persiani, ed Ulrichs notò vicino a quel sito grandi masse di pietre, rotolate giù dalla cima (Herod., vnr, 35-39; Diod., xr, 14; Ulrichs, p. 46). Nel 357 avanti Cristo i Focesi, condannati dal Consiglio anfizionico a pagare una grossa ammenda sotto il pretesto che avevano coltivato una porzione della pianura cirrea, furono indotti da filomelo a compiere il sacrilegio, di cui erano già contaminati per aver dato l'assalto al tempio stesso. L'impresa ebbe felice successo, e Delfo passò con tutti i suoi tesori in potere dei Foces:, il che fu infausta cagione della famosa guerra sacra, delle cui stragi e nequizie r boccano tutte le storie della Grecia. I Focesi si astennero in sulle prime di por mano alle ricchezze sacre ; ma incalzati dai Tebani e dai Locresi, convertirono tosto quei tesori in danaro per pagar le milizie. Terminata finalmente la guerra fratricida coli' intervento dell'astuto Filippo di Macedonia, e restituito il tempio alla custodia degli Anfizioni, nel 346 avanti Cristo, gli oggetti preziosi che un di conteneva erano scomparsi, sebbene serbasse ancora molte opere d'arte. 1 Focesi furono condannati a ripristinare con annui pagamenti i carpiti tesori, calcolati del valore di diecimila talenti, ossia della ingente somma di 62 milioni e mezzo di lire; ma essi erano poveri a segno da non poterne restituire neppure la vige-sima parte. Nel 279 avanti Cristo la fama di quelle ricchezze tentò l'avidità di un Brenno e de' suoi Galli, i quali ignoravano probabilmente le perdite cagionatevi dalla guerra sacra. Marciarono pertanto all'assalto per la stessa strada dei Persiani, ma furono egualmente respinti quasi dalla medesima forza sovrannaturale, perchè allo scoppiare dei tuoni e al fragor di un tremuoto si spaccarono le rocce, e sassi immani si rovesciarono dalle montagne sovT'essi e gli sgretolarono (Justin., xxiv, 6-8 ; Pans., x, 23). Siila, guerriero feroce, meno timido e scrupoloso de' suoi predecessori nell'assalto del tempio di Delfo, lo pose a sacco, nell'anno 86 avanti Cristo, quando depredò quei pure d'Olimpia e di Epidauro (Dion. Cass., voi. i; Diod., Exc., p. 614); e Strabone ci descrive il tempio come ridotto assai povero al principio dell'era volgare. Nuove ruberie ri furono eseguite da Nerone, che vi tolse 500 statue di bronzo, e sdegnato col nume, privò il tempio del territorio
cirreo, che ripartì fra i suoi soldati,
abolendo perfino l'oracolo (Paus., x, 7, § 1 ; Dion. Cass., Lxur, 14). Ma l'imperatore Adriano (117-138 dopo Cristo), che tanto si adoperò pel ristauro delle greche città e dei loro tempii, non trascurò Delfo, e sotto il suo governo ed il successivo degli Antonini (161-192 dopo Cristo) comparve in uno stato forse più splendido di quello fosse all'epoca della guerra sacra. In tale condizione fu visitato e descritto da Pausania, e sappiamo da Plutarco che la Pizia continuò a dare le sue risposté (De Pyth. orac., c. 25). Trovansi medaglie di Delfo fino ai tempi di Caracalla; Costantino fece asportare parecchie delle sue opere d'arte per adornarne la nuova capitale dell'impero (Sozom., H. E., ir, 15); l'oracolo fu consultato da Giuliano l'Apostata, smanioso di ristabilire il culto degli idoli, dal 361 al 363 dopo Cristo, ma fu alfine ridotto al silenzio dal magno Teodosio, imperante dal 479 al 395 dopo Cristo.
V. Topografia. — Nella descrizione di Delfo ci serve di guida l'accurato Pausania, il quale vi entrò dal lato E., giuntovi per la già rammentata strada di Schiste. Accanto alla strada, davanti alla città, era l'antico cimitero, di cui conservarsi molti avanzi, e parecchie sepolture scavate nel sasso. All'ingresso della città eranvi quattro tempii di fila: il primo in rovina; il secondo vuoto: nel terzo eranvi alquante statue d'imperatori romani : ed il quarto era quello della Pronea o Pronaja Minerva, descritto da Demostene come amplissimo ed assai bello, in cui offrivansi sacrifizii prima di consultare l'oracolo di Apollo (Pausan., x, 8, § 7; Dem., e. Aristog., i, p. 780; /Escliin., c. Ctesiph., p. 69; Aristid., Or. in Minerv., p. 26; Herod., i, 92; vi», 37; Diod., xi, 14; JEschyl., Eum., 21, florU*? npovai'a 8'tv Xofot? iifea&ikTat, Pallade Pronaja, ossia stante dinanzi al tempio, si venera con discorsi). L'area dei quattro tempii viene ora indicata da una estesa piattaforma che si appoggia a mura poligone, . su cui si veggono frammenti di colonne, triglifi ed altri rimasugli, per cui il sito si appella ora Mar-maria (cumulo d'infranti marmi). Un po' sopra al tempio della Minerva Pronea, vide Pausania il santuario di Filaco, eroe indigeno, che, unito ad ! Autonoo, porse assistenza ai Delfesi nel respingere gli assalti e dei Persiani e dei Galli, e lo attestano i macigni già mentovati, ancor ivi giacenti. Poco più in là, a sinistra della strada, era il ginnasio, il cui sito è ora occupato dal monastero di Nostra Donna Panaghia (tutta santa), circondato di olivi e di gelsi, conservandosi nella chiesa del medesimo due antiche iscrizioni, triglifi ed altre reliquie architettoniche (Bockh, Inscr., 1687, 1723); scende-vasi quinci volgendo a destra, per un sentiero lungo più di un chilometro, al Pleisto, detto oggidì Xeropotamos (fiume asciutto), perchè d'estate rimane a secco. Salendo dal ginnasio al tempio di Apollo, lasciavasi a dritta la fonte Castalia, scatu-riente da una fessura di due alte rupi colle vette acuminate, di cui femmo già cenno. Dalla orientale delle due rupi scaturisce propriamente la fontana, ed ora cotesta rupe si chiama Flembuko, mentre anticamente dicevasi Jampeja (Tòt^eia), e dalla sua cima venivan precipitati tutti coloro che si fossero resi rei di empietà contro il delfico santuariot^iOOQLe
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