Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
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DELFO 0 DELFIcon cinqne pietre dai celebri Trofonio ed Aga-mede, che sono indicati quali architetti primitivi del tempio nell'omerico inno ad Apollo; ed è quindi naturale il conchiudere che l'adito e la substruzione poligona del tempio rimasero illesi dall'incendio che distrusse l'edilìzio nel 538 avanti Cristo. Nella parte più intima dell'adito stava un tripode sopra una profonda voragine, donde usciva un vapore miasmatico, i cui fumi salendo alla testa della pitonessa, la rendevano fatidica, per quanto credevasi (Strab., I. e.). Gli antichi servonsi di varii nomi per indicare siffatta voragine, per esempio, (abisso. Diod., xiv, 26); -pj; Stobeo, Ecl., i, 42) ; riu6ixòv (rr^iov (orifizio pizio. Luciano, Ner., 10; Dion. Cass., lxiii, 14); hiatus (spalancamelo, apertura. Lucano, v, 82) ; ferra foramcn (foro, forame della terra, Id., xxiv, 6). Plutarco è d'avviso che tale esalazione emanasse da una fontana, che diccsi da Pausania la Cassotide, la quale scompariva sotto il fondo dell'adito, e lo stesso Pausania aggiunge che l'oracolo fu scoperto da alcuni pastori, i quali, spingendo ivi le greggi, divennero ad un tratto, la mercè di quel vapore, fatidici (Plut., De def. Or50; de Pyth. Or17; Paus., x, 24, § 7; x, 5, § 7). La Pizia, emettendo gli apollinei oracoli, stava seduta sul tripode per non sprofondarsi nella voragine, e tra i piedi del tripode pendeva un vaso circolare, una specie di caldaja o pajuolo che dai Greci lebete (Xs^c, caldaia, bacino, conca) e dai Latini cortina (caldaja parimenti e pajuolo, ed assai più tardi tenda, velario) giustamente si addimandava, perchè era di fatti un pajuolo, in cui le ossa e i denti del pizio serpente si conservavano (Dionys.Per., 441 ; Eustath., ad loc. ; Ser-vius, ad Virg. JEti., ni, 360; vi, 317) (V. Tripode).
Vili. Altri oggetti. —Usciamo ora dal tempio colla guida dell'accurato Pausania per vedere a sinistra ilperibolo o recinto racchiudente la tomba del figlio di Achille, Neottolemo, a cui offrivano i Delfesi annui sacrifizii (Paus., x, 24, § 6 ; Strab., ix, p. 421). Dicevasi ucciso nel tempio accanto al sacro focolare, ma di qual maniera non sapeasi di certo, ed Ulriclis notò sopra le rovine del tempio ed un po' all'È, gli avanzi di un antico muro, ch'egli crede parte del peribolo della tomba suddetta. Ancor più in su, sopra di questa, vedevasi il sasso inghiottito da Cromo o Saturno invece del figlio Giove, com'era fama, e poscia rigurgitato, e più verso il tempio la fontana Cassotide (KaPaus., x, 24, § 7). Cotesto nome di Cassotide incontrasi soltanto in Pausania, ma la fontana da lui così chiamata si trova anche in altri scrittori antichi, e fu ravvisata daU'Ulrichs nell'odierna di San Niccolò, davanti a cui veggonsi ancora parecchi rimasugli di un antico muro poligono subito sopra le rovine del tempio. Viene ricordata nell'inno omerico (in Apoll., 300) come quella che bellamente scorre, e presso a cui Apollo uccise il serpente, ed Euripide l'accenna come bagnante il sacro bosco che ricingeva il tempio, ed era tutto di lauri e mirti, ma uno dei lauri in ispecie dicevasi per eccellenza il pizio alloro, e se ne faceva uso entro il tempio per motivi religiosi. Sopra la Cassotide era la Lesche (Afo^r), propriamente chiacchera, ciarla, cicaleccio, e quindi, per ,
metonimia, il luogo in cui si chiaccheia, si ciarla, si conversa) dei Delfesi, del cui pavimento (Paus., x» 25, § 1) di pietra fu scoperta una porzione da Ulrich8 nelle adjacenze di una casa sopra la fontana di San Niccolò. La Lesche era pertanto un pubblico edilìzio, in cui potevano le persone raccogliersi a loro bell'agio e conversare, perchè le case private erano in generale troppo piccole all'uopo. La delfica Lesche, o sala pubblica di conversazione, era adoma di due grandi dipinti di Polignoto, offerti dai Gnidii, rappresentanti l'uno, a destra, la presa di Troja e la dipartita dei Greci, e l'altro, a sinistra, la discesa di Ulisse all'inferno (Paus., x, 25-31; Plut., De def. Or., 6, 97; Plin., xxxv, 9, s. 35 ; Luciano, Imag.y 7). Il sito del teatro è segnato da un alto muro un po' all'O. della Cassotide, il quale, coperto da parecchie iscrizioni, era il muro meridionale del teatro, e questo, giusta il solito stile dei Greci, era circolarmente costrutto sul pendìo del monte. La parte interna del teatro è quasi tutta coperta, e vi è visibile soltanto una piccola porzione dei sedili superiori, ed apparisce da un'iscrizione che il teatro stesso sorgeva entro il pizio santuario, attiguo al muro di cinta, giusta l'asserzione di Pausania (x, 32, § 1 ; Bòckb, lnscr., n° 1710). Le rovine del teatro determinano per conseguenza l'estensione della città al N. 0., ed in esso si eseguivano le gare musicali dei giuochi pizii, dai primitivi agli ultimi tempi (Plut., De def. Or.y 8).
Ascendendo dal peribolo, Pausania si soffermò ad una statua di Bacco, e poscia allo Stadio, situato nella parte più eminente della città, fabbricato con pietre del Parnaso, ma adorno poi di marmo pen-telico dall'opulentissimo Erode Attico (Paus., x, 32, § 1 ; Philostr., Vii. Sophist., n, p. 550). Sonvi ancora considerevoli avanzi del medesimo, noti ora col nome di Lakkotna, e si può precisarne tuttala lunghezza: restano tuttodì parecchi sedili di macigno indigeno, ma il marmo pentelico, elargito da Erode Attico, non vi si trova più. Vicino allo Stadio vedesi ora la grande fontana Kerna, che non era la Castalia, ma bensì la Delfusa (Delphusa, AeXipouaa), come fu già notato dal bizantino Stefano (s. v. AeX^ot). La Castalia non poteva rifornire d'acqua, per la sua posizione, che la sola parte inferiore ed orientale della città, ed infatti Plutarco attesta che il sobborgo di Pilea, nella parte occidentale della città, era bene provvisto d'acqua; non è poi improbabile che la voce moderna KepvS sia soltanto una storpiatura dell'antica xpr^r, (fonte, fontana). Pilea ( Pyloea, riuXa(a) era, come accennammo, il sobborgo o suburbio di Delfo, sulla strada di Crissa, traente il suo nome dal radunarsi ivi del Consiglio degli An-fizioni,che comunemente si appellava pilea, perchè raccoglievasi principalmente alle Pile o Termopile, porte gelosamente custodite dai Greci per impedire le irruzioni degli stranieri, come lo sa ciascuno dalla storia dell'eroico Leonida (V. Termopili). Ai tempi di Plutarco, Pilea era adorna di templi, sinedrii e fontane; sembra però che i sinedrii venissero edificati più tardi ad uso degli Anfizioni, e le due antiche muraglie che sorreggono la piattaforma artificiale, su cui sorge la cappella di sant'Elia, sono forse gli avanzi di uno di cotali edifizii ; ed un po'sopra la medesima cappella, verso lo Stadio, vi sono
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