Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
DELORME MARION — DELTA
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muri laterali allo spazio che si vuol coprire. Per tenere poi verticali e a sito tali curve, si collegano con traveise che entrano in appositi fori, e vi si raccomandano con zeppe e caviglie. Intorno a questo utile sistema si possono consultare, oltre l'opera originale, l'Arte di edificare del Rondelet, e il Dizionario Quatremère.
Tedi Flacheron, Eloge historiquc de Philibert Delorme, architecte lyonnais (Lione, s. d.).
DELORME Marion (biogr.). — Celebre cortigiana francese, nata nel 1612 in un villaggio presso Chàlons-sur-Marne. Venuta a Parigi, la sua grande bellezza la fece regina della moda. Ebbe per c amanti » quasi tutti gli uomini più notevoli di quell'epoca nella metropoli francese. Durante la prima Fronda, Mazarino stava per arrestarla, quaudo ella morì subitamente all'età di 39 anni. Una strana leggenda dice invece che fuggi in Inghilterra, e non morì che nel 1741, e quindi a 126 anni di età. Vittor Hngo ne ha fatto l'eroina di uno de' suoi celebri drammi storici.
DELRIO o DEL RIO Martino Antonio (btogr.). — Gesuita di vaglia, chiamato da Giusto Lipsio miracolo dell'età sua, nato in Anversa il 17 maggio 1551; morto a Lovanio il 19 ottobre 1608. Era figlio di un gentiluomo spagnuolo, e studiò a Parigi nel collegio Clermont, a Douai e a Lovanio. Dopo essersi addottorato, fu nominato nel 1575 senatore nel Consiglio sovrano del Brabante, uditore generale dell'esercito nel 1577, vice-cancelliere e finalmente procuratore generale nel 1578. I torbidi dei Paesi Bassi lo indussero a rinunciare a tutte queste cariche, e entrare, il 9 maggio 1580, nella Compagnia di Gesù a Yalladolid. Nel 1589 fu chiamato ad insegnare filosofia a Douai, e più tardi teologia morale a Liegi. Quattr'anni dopo divenne professore di Scrittura Sacra a Lovanio. Nel 1600 itndò a Gratz, ove professò per quattro anni la stessa materia e tornò quindi a Salamanca, e di là a Lovanio, ove morì.
Delrio ha scritto molte opere, ora in gran parte dimenticate, ma quella per cui va sempre famoso sono Disquisitionum magicarum libri sex (Lovanio 1599, tradotti in francese da Duchesne, Parigi 1611). A proposito di quest'opera, Manzoni dice che le sue veglie costarono la vita a più uomini che non le imprese di qualche conquistatore. Il molto ingegno e l'abbondantissima erudizione adoprò in modo che il libro suo divenne il testo, soggiunge Manzoni, più autorevole e più irrefragabile, e norma ed impulso potente di legali, orribili e non interrotte carnificine. Cesare Cantù ha dato nella sua Storia Universale un bell'esame di quest'opera, che noi compendieremo. È divisa in sei libri e ciascuno in molte questioni. Dopo aver discorso dei demonii in generale, si fa a parlare della magìa, dividendola in naturale, artifiziosa e diabolica. Tratta in prima dell'immaginazione, degli amuleti, delle parole misteriose, dei numeri e sovrattutto dell'alchimia. Passando nel libro ii alla diabolica, rivela i patti col diavolo estrinseci ed intrinseci, riferendo infinite storie di tutti i popoli e tempi ; indaga quanto valgano i maghi sopra le cose esterne ; se il demonio possa servire da incubo e succubo, colle altre dubitazioni che rampollano circa questa sozzura ;
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se render compenetrabili i corpi, se trasformarli, se far parlare le bestie, restituire la gioventù, rendere estatici, risuscitare i morti. Viene sotto al libro stesso il discorso delle streghe e dei loro convegni, dei quali non esita a riconoscere la verità e provarla ed esporne le particolarità. Nel libro ni parla, del malefizio che si può fare con polveri, erbe, pagliuzze, unguenti, col fiato, con parole, minaccio, rimproveri, lodi, acquasanta e altre cose simili; procurando o la veglia, o l'amore, o l'odio, o affascinare, avvelenare, agevolare o impedire i parti, seccare il latte, fabbricare effigie da trafiggere a rovina dell'effigiato, gittare incendii, legare, produrre nel corpo mirabile quantità di cose strane.
Discorso delle vane osservanze, congerie di un'infinità di atti superstiziosi per ogni accidente della vita, Delrio passa nel libro iv all'indovinare il futuro, distinguendo il divino da ciò che é umano e diabolico, le profezie, i rivelamenti, le conghiet-ture, gli oracoli, la divinazione. Cadono in questo trattato la necromanzia, id romanzi a, lecanomanzia, catoptromanzia, cristallomanzia, dactilomanzia, chiromanzia, aeromanzia, coscinomanzia, axinomanzia, cefalomanzia, la quale tocca alla frenologia ; poi l'aru8picina, gli strologarnenti, la spiegazione dei sogni e il trar a sorte. Al che s'innestano le lotterie, ch'egli difende come lecite, purché vi si osservino certe norme d'equità, e sottopone a questa categoria le purgnzioni e i giudizii di Dio, di cui adduce le ragioni, i riti ed i limiti, con riflessioni di opportunità sfuggite a filosofi di lui più arguti.
Viene poi nel v libro all'ufficio del giudice, rivelando le sciagurate guise onde istituivansi quegli iniqui processi: e benché dalle prime egli professi voler con ciò ovviare le esuberanze di taluni, mostra anch'egli come non si trattasse già di accertare il delitto, ma di convincere gli accusati; e non solo insegna potere il giudice soi passare a tutte le norme ordinarie, ma lo spinge fino al mentire e promettere all'imputato che, se confessi, farà grazia, sottintendendo alla ripubblica; e che la confessione gli procaccierà la vita, intendendo Teterna. Nel libro vi si affacciano i doveri più sacri e delicati del confessore in tal materia, e il Delrio difende a spada tratta l'integrità del suggello sacramentale : il confessore essere ad un tempo il giudice e medico, e perciò suggerisce i rimedii a questa nuova piaga; sostiene contro i protestanti l'uso delle reliquie, degli scapolari, il snon delle campane, le benedizioni, l'acqua lustrale, gli agnusdei, i panetti, gli esorcismi, il sale benedetto.
« Togliete la fondamentale iniquità della cosa, conchiude Cantù, ed è difficile trovare un trattato che con maggiore ampiezza esaurisca l'assunto, e con pari erudizione raccolga quanto mai fu scritto intorno ai prodigii dellanatura e dell'immaginazione, molti spiegandone con ragioni allora non comuni, molti repudiandone con retta critica, tropp'altri accettando per veri sulla fede di testimoni oculari o di gran savii ».
Vedi: Niceron, Mém. (voi. xxn) — V. André, Bill. Belg. — Cesare Cantù, Storia Universale (voi. ìx, p. 411, edizione ottava, Torino 1857).
DEL SARTO Andrea (biogr.). V. VannucchI Andrea.
DELTA (geogr. e geol.). — I Greci diedero questevn. 17
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