Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
DEMETRIO IL CINICO — DEMI EMILIO
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riusci di camparne colla fuga, e poco appresso fu Dominato da Cassandro governatore di Atene. Vi stette in autorità per ben dieci anni, e, secondo Stratone, Atene non fu mai tanto felice quanto sotto il di lui governo. Colla sua amministrazione si cattivò siffattamente l'affezione del popolo, che gli si eressero trecentosessanta statue : ma quando Demetrio Poliorcete venne ad Atene (307 av. Cristo) e proclamò l'antica democrazia, egli dovette fuggire per la seconda volta, e per poco non avrebbe potuto salvarsi, se il suo nemico stesso non avesse protetto la sua fuga a Tebe. Dopo la morte di Cassandro (296 avanti Cristo) si ritirò alla Corte di Tolomeo Sotero re d'Egitto, dove fu accolto con dimostrazioni d'onore e dove scrisse probabilmente la maggior parte delle molte opere che gli sono attribuite da Diogene Laerzio (v, 5-80). Ma per sua sventura egli tentò inutilmente di dissuadere il suo protettore dall'alterare la successione alla corona in favore dei figliuoli avuti da Berenice. Quando Tolomeo Filadelfo salì sul trono, nell'anno 283 avanti Cristo, non avea dimenticato il consiglio che, ascoltato, lo avrebbe privato della preferenza datagli dal padre, e ne confinò l'autore a Busiride, dove morì poco appresso del morso di un aspide. Ci rimane di lui un trattato intorno alla elocuzione, che fu tradotto in italiano da Pietro Segni (Firenze 1603, in-4°) e da Marcello Adriani il giovine (Firenze 1738 e Bologna 1821, in-8°). Tutte e due queste versioni sono assai pregiate. Ne esiste pure un volgarizzamento inedito fatto da Giacomini Tebalducci Malespini, del quale si fa senno neWAntol. di Fir. (tom. xx, c. 71). Questo trattato però viene da alcuni attribuito a Dionigi d'Alicarnasso.
DEMETRIO IL CINICO (biogr.). — Nacque nell'Attica, e fu discepolo di Apollonio Tianeo. Recatosi a Boma sotto l'impero di Nerone, ebbe il coraggio, in un discorso pubblico^ di censurare le spese dell'imperatore per la costruzione di uno splendido ginnasio. Fortunatamente quel giorno Nerone aveva cantato meglio del solito, e Demetrio potè sottrarsi alla sua collera con la Juga. Arriano racconta che, volendo Nerone farlo morire, Demetrio gli rispose : « Tu minacci a me la morte, ma a te la minaccia la natura». Nel suo soggiorno in Roma, Demetrio strinse amicizia con Trasea, il quale, proscritto da Nerone, s'intrattenne con Demetrio intorno alla natura dell'anima, e, fattesi aprire le vene, morì fra le sue braccia. Demetrio riparò in Atene ; ma tornato a Roma sotto Vespasiano, ebbe comune la sorte cogli altri filosofi, i quali, eccitando tumulti popolari coi loro discorsi, furono cacciati dall'Italia. Egli non cessò di stuzzicare Vespasiano con ogni sorta di frizzi ; ma questi gli disse : « Tu fai di tutto perchè io ti faccia morire ; sappi però che non è mio costume di uccidere i cani che abbajano ». Si crede che Demetrio tornasse a Roma dal suo esilio ; ma non si sa quando morisse. Seneca ne fa i più grandi elogi, ed osserva c che la natura lo aveva prodotto per mostrare al genere umano siccome un'anima nobile può vivere sicura dalla corruzione in mezzo ai vizii del mondo che la circondano ».
D1MI. V. Demo (archeol.).
DEMI Emilio (biogr.). — Nato da un povero lavo-
ratore di botti in Livorno l'anno 1797; ivi mori nel marzo del 1863. Cercò istruirsi dapprima come meglio potè fra le doghe e i fondi delle botti paterne, finché col padre non dovette esulare a Milano. Tornato poi in Livorno, fu assistito da Carlo Michon e sovvenuto di mezzi, finché non fu mandato a Roma a perfezionarsi nell'arte. Ebbe grande attitudine alla scoltura fino da bambino, e giovinetto tuttora scolpi Amore che doma la forza. Nel 1824, conversando con paesani e forestieri, uno di questi si levò a dire che il premio di scoltura in detto anno sarebbe stato d'un forestiero , perchè ormai non si era presentato alcun nazionale, ed il tempo mancava. « Oh venti giorni di tempo, proruppe il Demi, bastano agl'Italiani a vincere voi altri » ; e, tutto infiammato, via subito correre a Roma, comporre il bassorilievo Agar che conforta Ismaele, strappare il premio per sè, tornare a Livorno e raccontare il conseguito trionfo, e tutto ciò a soli ventisette anni. Tre anni appresso condusse il gruppo d'Imeneo addormentato nelle braccia dell'Armonia, che gli meritò il diploma di professore all'Accademia Fiorentina. Poscia, fatto già chiaro scultore, scolpì quattro statue per la sala del Parlamento al Brasile, che rappresentano la Verità, il Segreto, la Fedeltà e la Fermezza. Quindi, a solo effetto d'emulazione, immaginò e scolpì il gruppo di Galileo, condotto per azioni private, come oggi si fa, e che si vede nell'aula magna dell'Università pisana, ove giace sacrificato, regalatole dal Municipio pisano nel 1839, per la solenne inaugurazione del primo Congresso scientifico celebrato in quella città. Se la critica vi si attaccò su come edera per esagerarne qualche difetto, doveva però constatarne e rilevarne anche le sovrane bellezze, che mostrano chiaro a che punto avrebbe potuto salire il Demi se avesse continuato a farsi sempre migliore nell'arte sua e non si fosse insozzato negli anni posteriori fra i piaceri e gli eccessi del bicchiere. Inferiore per merito ma pregevole molto per la composizione e pel gusto fu il bel gruppo della Madre Educatrice, non al tutto finito, che oggi si vede in Livorno nell'asilo Grabau. Per le Logge degli Uflìzii a Firenze scolpi una Statua di Dante, che non crebbe nulla alla fama sua di artista. La bella statua di Leopoldo II, mutilata poi e mezzo bruciata nei tumulti livornesi del 1849, meriterebbe di essere tolta dall'Arsenale ove giace, siccome la più bella scoltura di Demi. La Maddalena nella chiesa degli Armeni, l'Innocenza in casa del conte De Larderei, due bassorilievi nella farmacia Contessini, i quattro Angioli nella calotta della chiesa di San Benedetto, un Esculapio e Minerva nella farmacia Orlandini ed altri lavori minori, ma tutti di merito non comune, esistono in Livorno.
Dopo il 1849, il Demi abbandonò la città natale, e con la speranza di lucri maggiori s'incamminò a Parigi, a Londra, in Egitto ; ma in nessun luogo seppe profittare delle occasioni propizie, e rimase sempre povero e desolato, pel dileguarsi della speranza di levarsi a più comodo stato. Stette lontano fino al 1862, e quando rientrò in Livorno, gli amici dell'artista non rividero che un uomo affranto e reso anticipatamente cadavere per le malattie e la miseria, conseguenza funesta della vita sregolata in^.ooQle
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