Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
DEMOSTENE
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egli dettata a memoria. Codesti aneddoti varrebbero a provare l'ardente amore ch'egli aveva per lo studio degli autori più insigni, e si può senza esitanza supporre che negli ultimi anni della sua minorennità ei siasi privatamente preparato alla carriera oratoria, spintovi dalle particolari sue circostanze non meno che dall'ammirazione per gli oratori del suo tempo, e che subito nei primi anni di sua virilità si sia prevalso degl'insegnamenti d'Iseo.
III. Emancipazione e lite. — Appena dichiarato maggiorenne, nel 366 avanti Cristo, Demostene citò i suoi autori a render conto dell'amministrazione delle sue sostanze ; ma a forza d'intrighi e di proroghe la causa fu protratta per due anni ; il che non gli riusciva forse dispiacevole, pel bisogno che aveva di addestrarsi nella trattazione delle materie legali e negli artifizii oratorii. Ciò non ostante in questi due anni di cavilli e tergiversazioni l'affare fu esaminato due volte dai diete ti (5tairr,Tai) o giudici arbitri, e sempre con risultato favorevole all'attore della lite (Dem., c. Aphob., i, p. 828; ni, p. 861). Finalmente nel terzo anno della sua virilità, essendo arconte Timocrate, nel 364 avanti Cristo (Dem., c. Onet., p. 868), citò Afobo al costui tribunale, riservandosi il diritto di farvi poi citare anche gli altri due, Demofonte e Terippide, il che pare però non sia più successo (c. Aphob., i, p. 817; Plut., Vit. X Orat., p. 844; Zosim., Vit. Dem., p. 147). Afobo fu condannato all'ammenda di 10 talenti (55,609 lire nostre), da consegnarsi a Demostene, il quale rientrò al possesso di una porzione dei suoi beni, ad onta di nuovi raggiri del condannato per impedire l'esecuzione della sentenza [e. Aphob., p. 862). I tre discorsi ancor esistenti contro Afobo e i due contro Onetore si riferiscono alle mene riprovevoli dei suoi avversarii, di cui trionfò appieno, non ostante la debole sua costituzione fisica e la difettosa pronuncia della sua loquela, per cui ebbe il soprannome di póTaXo?, che significa tanto infermiccio e mingherlino, quanto anche tartagliatole e balbuziente. In quei primi suoi tentativi nella difficile arte del dire si notano di già i tratti caratteristici della sua eloquenza, e sono sobrietà di stile, argomentazione vigorosa, gravità religiosa, ed in alcune linee si vede espresso il nobile impegno che il giovinetto oratore assume dinanzi al popolo, esclamando: « Voi non sapete ancora ciò che io possa essere per lo Stato ; ma credetemi, io non gli sarò meno utile di mio padre ». Per meglio riuscirvi, si diede subito ad afforzare il corpo colle fatiche più ostinate, ed a migliorare la pronunzia con un ingegnoso esercizio che lo liberò alfine da ogni modo difettoso di esprimersi. A tale uopo, giusta la testimonianza di Demetrio Falereo, registrata da Plutarco, ei ponevasi in bocca dei ciottolini e davasi a recitare così lunghe sequele di versi, e per esercitare la voce ascendeva con rapida corsa i luoghi scoscési, recitando e declamando d'un fiato squarci poetici o prosastici. Ritto in piedi davanti ad uno specchio, andava ripetendo le sue arringhe ; e sorpreso un di in quest'atto da un tale che gli affidava una causa, dicendo pacatamente ch'era stato percosso. « No, gli rispose, no, nulla ti fu fatto di ciò che dici ». Al che ad alta voce il querelante soggiunse: « Come, o De-
mostene, nulla mi fu fatto! — Adesso, replicò costui, conosco veramente il parlare di un uomo offeso » ; tanto era egli convinto che il tono e il gesto contribuissero potentemente alla persuasione. 11 suo declamare piaceva pertanto al popolo più che mai, ma non così alle persone eleganti (ol -/«pievre?), le quali lo trovavano mancante di grazia e dignità, e tra queste eravi il succitato Demetrio.
IV. Processo di Midia. — Il giovane oratore ebbe occasione ben presto di valersi del suo ingegno, con tanta cura coltivato, contro un terribile ed implacabile nemico, il cittadino Midia, ricco e perverso, che s'immischiò nella lite con Afobo e gli cuoceva di averla perduta (Dem., c. Aphob., n, p. 840; c. Mid., p. 539). L'inimicizia s'inciprignì ancor più per il dissenso nelle opinioni politiche, essendo Midia il membro più attivo di una consorteria, la quale, sebbene senza una determinata tendenza politica, stava pur preparando la rovina della Repubblica col violarne le leggi e sacrificarne il benessere alle personali ed egoistiche cupidigie. Ne diede un saggio Midia, nel 361 avanti Cristo, entrando col fratello Trasiloco nella casa di Demostene, sotto il pretesto di uno scambio di oggetti per armare una nave, ma col fermo proposito invece di provocare con ingiurie ed insulti, come fece, l'intera famiglia. Demostene corse subito a presentare contro di lui l'accusa di cagionate ingiurie, e poscia, perchè condannato in contumacia rifiutatasi di pagare la multa prescritta, gì'intentò subito processo per inadempimento della sentenza, che dicevasi in Atene Stxrj ISouX^ (azione contro coloro che non pagano quanto fu decretato) (Dem., c. Mid., p. 540, ecc.). Midia trovò il modo di deludere per otto continui anni la legge, e nel 354 avanti Cristo durava ancora la contesa, quando il ribaldo aggravolla con novelli insulti, non solo impedendo in tutti i modi che Demostene facesse quell'anno da corago,ma usandogli persino violenza e percuotendolo in volto nelle grandi feste dionisiache, mentre adempiva la funzione spontaneamente assunta. Lo schiaffeggiato oratore si volse colla sua querela (irpoSoXió) al popolo, e questo, spettatore della prepotenza, gli diè piena ragione, condannando il colpevole alla statuita ammenda, che i giudici dovevano poi confermare, non essendosi rimosso Demostene dalla sua accusa nè per intimidazioni nè per minacce, e solo la ritirò quando gli fu propt sto un amichevole componimento. Dicesi che abbia ricevuto da Midia 30 mine (2780 lire), ma la ragione per cui recesse dall'accusa è ben probabile sia stata la paura della fazione potente capitanata da Midia, che avrebbe potuto nuocergli in varie maniere. L'accettazione delle 30 mine, la quale però può difficilmente provarsi (Isid., Epist iv, 205), fu considerata coinè atto illegale ed indizio di venalità. Ma la legge che vietava il ritirare una pubblica accusa (Dem., c. Mid., p. 529), sotto la pena di una multa di 1000 dramme (927 lire), non sembra sia stata sempre rigorosamente osservata, ed aveva unicamente in mira di porre un argine alle accuse frivole ed infondate. Se dall'altra parte Demostene giunse ad accettare le 30 mine, non devesi da ciò inferire ch'ei fosse venale, dappoiché tale somma può essere Btata da lui ri-
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