Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
DEMOSTENE
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appena appena il tempo di prendervi parte, sebbene sia notato il suo viaggio al campo dei confederati che assediavano Antipatro in Lamia (odierna Zituni in Tessaglia), sotto gli ordini di Leostene, rimasto ucciso nell'atto di espugnare la piazza. Ciò non impedì che i medesimi confederati riportassero una nuova vittoria sopra Leonato, accorso in ajuto di Antipatro, ma fu l'ultima, perchè Gito, comandante la flotta macedone, sbaragliò due volte in mare quella degli Ateniesi, mentre Cratero sconfisse gli alleati a Cranone (oggidì Palea Larissa nella Tessaglia o moderna Livadia, a 12 chilometri da Larissa, capitale del sangiaccato di Tricala) in agosto del 322 avanti Cristo, e trionfò con Antipatro. I due vincitori, trattando rapidamente con ciascuno dei singoli Stati confederati, giunsero ad isolare gli Ateniesi, che trovaronsi impotenti a resistere. Demostene e i suoi seguaci abbandonarono allora la città, ed il partito oligarchico, diventato onnipotente, li fece condannare a morte, consegnando Atene ai Macedoni nel settembre dello stesso anno. Prima cura di Antipatro si fu quella di sbarazzarsi dei capi del partito democratico, i quali eransi dispersi qua e là per la Grecia, mentre Demostene si era ricoverato nella summentovata isoletta di Calauria, entro il tempio di Nettuno. L'ateniese Archia, spedito ad inseguire i fuggiaschi, violò il sacro asilo irrompendo con una torma di soldati macedonici, e invitò Demostene ad uscire e recarsi ad Antipatro, colla promessa che non lo incoglierebbe alcun male. Demostene sorrise in ischerno di cotesto mentite promesse, e chiedendo un po' di tempo per iscrivere alcune righe, andò a sedersi in disparte. I soldati muti ed immobili lo videro dar di piglio alle sue tavolette, come per porsi a scrivere, portare il suo stilo alle labbra e morderlo, secondo la sua antica abitudine nel meditare e comporre, avviluppare poscia la testa nel mantello, e chinatala sulle ginocchia, restarsene immoto. Credendolo colto dalla paura, i Macedoni ne derisero la debolezza, ed Archia, fattoglisi vicino, gli promise ancora una volta di riconciliarlo con Antipatro. Il sommo oratore a quei detti, alludendo al primo mestiere di Archia, ch'era quello di attore, così gli rispose : t Ya e ti affretta ; sii tu il Creonte di questa tragedia e fa gettare insepolto questo mio corpo; per me, o Nettuno, amico nume, io esco vivo dal tuo santuario, il quale non cessa però di essere stato contaminato da Antipatro e dai Macedoni ». Chiese di essere sorretto per escire dal tempio, ma appena passato l'altare spirò, ed incontanente si riconobbe ch'erasi avvelenato, senza che dir si potesse il come. Alcuni degli astanti pretesero che il veleno fosse racchiuso in un anello, altri nello stilo appressato alla bocca, ed altri ancora in un pannolino, accostato alle labbra, contenente alcun che di simile all'oro. Cotesti contrad-dittorii ed incerti racconti diedero origine ad una pia tradizione, per cui dicevasi che gli Dei gli avevano inviata subitanea e placida morte per sottrarlo alla ferocia ed agli oltraggi dei Macedoni. Così periva (Plut., Dm.,20; Vit. X Orat., p. 846; Luciano, Encom. Dem., 43, ecc.) Demostene, nell'anno sessantesimoterzo della sua età, il 10 novembre del 322 av. Cristo ; e s
olo mezzo secolo dopo, il popoloateniese, proponente Democare buo ni
pote, gli fece inalzare una statua di bronzo, decretando che il più vecchio della famiglia fosse in perpetuo alimentato nel Pritaneo, ed apponendovi la seguente iscrizione:
Se tu avessi avuto, o Demostene, Forza eguale al tuo genio, Il Marte macedonico non avrebbe giammai Comandato agli Fileni.
Il decreto proposto da Democare pervenne fino a noi, ed è nella stessa sua semplicità il più bell'elogio di Demostene, come pure il più antico documento storico che sul grande oratore ci rimanga, e la cui antenticità è riconosciuta dai più valenti critici, fra i quali Bòckh e Becker.
XVII. Decreto del popolo ateniese per onorare la memoria di Demostene. — « Democare, figliuolo di Lache, di Leuconio, chiede per Demostene, figlio di Demostene di Peania, una statua di bronzo sulla pubblica piazza, e per il più vecchio della famiglia il diritto, in perpetuo, di essere nutrito nel Pritaneo, e posti di onore. Demostene porse sovente assistenza al popolo ateniese colle sue beneficenze o co* suoi consigli, ed offerse le sue stesse sostanze a prò dello Stato. Regalò gratuitamente otto talenti ed una trireme quando il popolo liberò l'Eubea ; una seconda quando Cefisodorofece vela per l'Ellesponto; una terza quando Carete e Focione furono spediti dal popolo a Bisanzio in qualità di generali; riscattò parecchi cittadini prigionieri di Filippo a Pidna, Metone ed Olinto ; fu corago volontario, mancando i coraghi alla tribù Pandionide ; fornì armi a cittadini poveri; preposto per elezione del popolo alla riparazione dei bastioni, aggiunse alle spese tre talenti dalla sua borsa, e pagò quella di due trincee con cui fortificò il Pireo ; diede un talento dopo la battaglia di Cheronea ; un altro per la compera del grano durante la gran carestia ; co' suoi consigli, coll'eloquenza e colla sua devozione fece entrare nell'alleanza della Repubblica Tebe, l'Eubea, Corinto, Megara, l'Acaja, la Locride, Bisanzio e Messene, e riunì per la difesa di Atene e della confederazione un esercito di 10,000 fanti e 1000 cavalli; persuase in un'ambasciata le città della lega a porgere una "contribuzione di guerra di più di 500 talenti ; impedi al Peloponneso di spedire rinforzi ad Alessandro contro Tebe; consigliò al popolo molte altre risoluzioni onorevoli e sostenne colla sua amministrazione l'indipendenza nazionale e la democrazia meglio assai di qualunque altro dei suoi contemporanei; bandito dall'oligarchia quando il popolo ebbe perduta la sua sovranità, morì a Calauria vitti ma del suo zelo per la causa democratica. Inseguito dai soldati di Antipatro, rimase fedele fino alla fine all'ardente suo amore per la democrazia, seppe sfuggire dalle mani de' suoi nemici, o all'appressar della morte nulla fece che indegno fosse di Atene ».
XVIII. Giudizio critico. — Parecchi dei più ragguardevoli scrittori moderni, per esempio Ileeren, Niebuhr, Chateaubriand, lord Brougham, ecc., considerano Demostene come il più grand'uomo di Stato dell'antichità, mentre altri giudicando dal successo, e dando torto ai vinti, al par del volgo, gli fanno rimbrotti di avere inviluppato la patria in una lotta
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