Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
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DENARO — DENARO 0 DANAROdopo la prima guerra punica esso rappresentò sedici assi, e quantunque Augusto lo riducesse a dodici, continuò poscia a valerne sedici sino ai tempi di Gallieno (anni 360-68). Questa fu la principale moneta d'argento che avesse corso in Roma per ben sei secoli avanti Costantino. I denarii più antichi sono quelli che hanno la testa galeata di Roma,
Fig. 2047. — Denario romano.
Grandezza vera (argento, gr. GO 6/io)«
i Dioscuri, o la testa di Giove sul diritto. Molti avevano carri, bighe o quadrighe sul rovescio, e da questa circostanza erano detti bigati o quadrigetti (nummi). La metà del denario dicevasi quinario, come quello che conteneva cinque assi, e di questi quinarii alcuni furono coniati con la figura della Vittoria, donde furono detti victoriati. Finalmente il quarto del denario si disse sesterzio (quasi sesqui-tertius) e fu di due assi e mezzo.
Fig. 2048. — Denario romano.
Grandezza vera (argento, gr. 58 7xo)«
Esistono molti denarii di case illustri, come quelli delle famiglie Elia, Emilia, Calpurnia, Didia, Fulvia, Papinia, Tullia e di parecchie altre, i quali portano semplicemente sul diritto l'x numerale, mentre altri hanno questa cifra attraversata da una sbarra verticale od orizzontale, il che la fece prendere talvolta per una stella od asterisco, benché sia evidentemente destinata ad indicare il valore. I denarii, anche quando ebbero il valore di sedici assi, continuarono per lo più ad avere il segno dell'x, ma se ne incontrano che portano le cifre xvi.
Quelli di rame (denarii (eriso cerei) cominciarono al tempo dell'imperatore Valeriano (anni 233-60), e da principio furono inargentati. Si crede che prendessero il luogo del sesterzio, e che sei di essi fossero equivalenti al denario d'argento secondo il valore che questo aveva a quel tempo.
La parola denarius fu anche applicata &\\'aureus, moneta d'oro ordinaria di Roma, siccome si ricava da Petronio che menziona i denarii aurei. Questo aureo era l'equivalente di trenta denarii argentei ; e la sua metà dicevasi pure quinario.
DENARO (Denier) (numism.). — Moneta francese, originariamente d'argento, la cui denominazione, nonostante varie modificazioni nel suo valore, fu in uso fintanto che durò in Francia l'antico sistema monetario, cioè fino al 1795. Fino a quel tempo in Francia i conti si fecero in lire da 20 soldi e insoldi da 12 denari. Sotto i re della prima razza il denaro francese pesava ventun grani; sotto quei della seconda e al tempo di Carlomagno, ventotto e talvolta trenta grani; e sotto Carlo il Calvo trentadue. Al principio della terza razza (anno 987) il denaro pesava ventitre o ventiquattro grani d'argento fine. Filippo 1(1060-108) incominciò a mescolar rame coll'argento, ed è al suo tempo che troviamo farsi primamente distinzione tra i deniers tournois e i deniers parisis, gli ultimi valendo un quarto di più dei primi. Al tempo di san Luigi (1226) il denier era talmente adulterato da non contener più di sei grani e mezzo d'argento; ond'è probabile che ciò inducesse quel monarca a mettere in corso una specie di monete più grosse, dette gros deniers d'argent. Il termine denier, come il denarius dei Romani (V. Denario), applicossi anche alla moneta d'oro. Fu anche adoperato talvolta in senso traslato di tassa : mettre un denier.
I denari coniati sui finire del regno di Luigi XIII furono opera del famoso Varin, e sono molto ammirati per l'esecuzione.
Vedi Le Blanc, Traité historique des monnoyes de France (Parigi 1690, in-4°).
DENARO o DANARO (econ. polit.). — In senso generale la parola denaro indica il metallo coniato che serve d'intermediario negli scambii commerciali e usuali, siccome la misura meno imperfetta del valore delle cose. Diciamo la meno imperfetta, perchè la moneta metallica (e con essa i suoi segni rappresentativi) non è punto un regolatore assoluto e invariabile del valore come un'unità metrica, bensì una merce che ha più delle altre le qualità necessarie alla moneta, ed è perciò meno soggetta delle altre alle variazioni subitanee di valore (V. Moneta). Del resto la vera misura assoluta del valore di scambio fu una chimera cercata lungo tempo dai più dotti economisti e può dirsi la pietra filosofale dell'economia politica. Alcuni crederono di averla trovata nel frumento, altri nel lavoro, altri nei metalli ; ma ciascuna di queste teorie venne facilmente confutata, e fu ritenuto il problema per propria natura insolubile, o a meglio dire la quistione mal proposta. E invero quel regolatore assoluto non poteva cercarsi fuori delle cose materiali. Ora queste
0 sono ricchezze naturali e comuni, o prodotti speciali del lavoro dell'uomo. Nel primo caso, siccome
1 prodotti naturali e comuni non possono aver valore di scambio, perchè indeterminati nella quantità e non appropriabili, così si avrebbe una misura che non ha in sè valore, cioè che non ha l'unità che deve misurare le quantità dei valori. Nel secondo caso poi i prodotti del lavoro dell'uomo essendo per cause complicate variabilissimi nel loro valore, non potranno mai rappresentare un valore costante e invariabile. In questa impossibilità di una misura perfetta del valore delle cose, si dovè cercare un prodotto che meno imperfettamente degli altri servisse al bisogno, e si adottarono i metalli, i quali, ridotti sotto forma di moneta per opera dei governi e de' principi, cost.tuirono ciò che generalmente dicesi denaro. Un altro ben più grave pregiudizio invalse intorno alla natura e alle funzioni del denaro nelle società civili, pregiudizio che dominò per molto tempo nella maggior parte dell'Eu-
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