Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo

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      DERRATA - DERVIS
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      in rìnqne parti. Nella prima, dopo di avere spiegati i vocaboli e le frasi dell'arte e descritti gli stromenti necessarii alla pratica di essa, parla delle diverse specie di vòlte, dei tagli di esse in generale, delle spinte e contrafforti che vi si oppongono, e della spessezza dei muri che le sostengono. Serve questo come di preparazione ad intendere le dimostrazioni che dà nella parte stessa relativamente ai tagli degli archi rampanti, dei passaggi o penetrazioni delle volte, delle lunette e degli schianci nelle aperture. Nella seconda parte tratta dei tagli delle porte ; nella terza di quello delle trombe ; nella quarta delle vòlte principali, e nella quinta di quelli delle scale rette e delle scale a chiocciola. La Rue diede, nel 1728, una nuova edizione dell'opera di Derrand corredata d'importanti aggiunte.
      DERRATA (comm.). — È una merce posta in vendita non per essere rivenduta ma per essere consumata, sia che debba servire di alimento o a qualsivoglia altro genere di consumazione. Finché essa viene comprata per essere rivenduta essa conserva il nome di merce.
      Questa parola proviene dal latino denarium, de-najo, ed è stata lungo tempo applicata alle merci minute e di poco valore che si vendono a basso prezzo. Si disse sulle prime denariata, quindi dena-rata, che tramutossi finalmente in derrata. « Presso i padri nostri, dice il Glossario della lingua romanza, la denarata o derrata era tutto ciò che davasi per un denaro ». L'autore della storia dei miracoli di san Gengulfo parla di duas denaratas cera, che, secondo il padre Henschenio, significano due piccole candele di un denajo caduna. Lo scrittore della vita di san Norberto, contemporaneo di quel santo, e che scriveva di conseguenza sul principio del xii secolo, parla pure di una derrata di vino o di miele (denariatam vini vel medonis), cioè della quantità che davasene per un denajo. Finalmente noi vediamo nel Du Cange che nella bassa latinità davasi il nome di denarata o denariata ad ogni sorta di derrate o di merci, e che chiamavasi persino denariata terra aut vinece un tratto di podere o di vigna che dava un denajo di provento.
      DERRATE COLONIALI (comm.). V. Coloniali derrate.
      DERREYEH o DERAYEH. Y. Dereyeh.
      DERRY (geogr. ed archeol.). — Principale villaggio della Nubia sulla sponda occidentale, al quale ti conduce una giornata di placida navigazione da lbrim. Quivi conservasi ancora un tempio che Ro-sellini chiama semispero, perchè una sua parte, il pronao ed il santuario, è scavata nel monte, ed un gran cortile o portico a pilastri, che trovasi ora in totale rovina, fu costrutto di commessa pietra arenaria del monte medesimo. Vi sono rappi esentati soggetti storici che si riferiscono al Ramesse II. 11 nome dell'edifizio era Ei-rè, casa di Phrè, che si può coll'articolo pronunziare Tei-ri, il quale sareb-besi conservato nel moderno nome di Derry. Il tempio dedicato a Phrè sotto la forma di Amonmai-Ramses, cioè sotto le sembianze del re medesimo che s'identificavano con quelle del suo patrono. Varii sono i quadri religiosi dei quali sono coperte le pareti. Quattro colossi scolpiti nel sasso mede-ómo del monte occupano, stando assisi, il fondo delsantuario del semispero, e rappresentano, cominciando da man destra di chi li osserva: l°.Phrè dei due emisferi ; 2° lo stesso Ramesse II ; 3° Amonri signore dei troni; 4° Phtah signore del tempio grande. Quindi ne segue che Phrè e Phtah dopo Ammone, a cui naturalmente si riferiva ogni culto, erano le deità eponimo di questo tempio.
      Vedi Rosellini, 1 monumenti delf Egitto e della Nubia (parte terza, tomo unico).
      DERSCHAWIN. Y. Derzawln Gabriele Romanowlg (biogr.).
      DERUTA (geogr.). — Comune dell'Umbria, provincia e circondario di Perugia, sulla sinistra del Tevere, con 4695 abitanti.
      DERVBNIK o DÀRVENIEK (geogr.). — Grosso villaggio della Dalmazia, circolo di Spalato, distretto di Macarsea, con 2730 abitanti.
      DERVIS (stor. maom.). — Yoce persiana che propriamente è un aggettivo, e vale povero, indigente. Usasi come sostantivo per dinotare un mendico religioso, un eremita o qualunque altra persona che si separa dal consorzio degli uomini per darsi intieramente alla contemplazione religiosa. È sinonimo dell'arabico fakir, e nei paesi maomettani tutte e due queste parole si adoperano principalmente per indicare una classe di persone che corrispondono a un di presso ai monaci e ai frati tra' cristiani. Sarebbe difficile determinare il tempo a cui risale l'origine dei dervisi. Pare che da tempo quasi immemorabile in Oriente, come altrove, sianvi stati uomini pii, i quali considerarono come opera meritoria di rinunziare al godimento dei beni temporali e ai legami cosi della famiglia come della società, e di vivere nella povertà e nella solitudine onde rivolgere ogni loro pensiero a cose spirituali. Nel Corano la povertà è raccomandata come meritoria; e vuoisi che Maometto abbia detto : « Fate di venir poveri innanzi a Dio, giacché i poveri avranno il primo posto nella sua casa ». Jami, rinomato poeta persiano, è autore di un'opera pregiata delle vite dei Sufi, ossieno mistici maomettani, nell'introduzione della quale egli divide coloro che cercano la vita futura in quattro classi, e sono: i Zahidi, che, pieni di fede religiosa, guardano con dispregio la vita di quaggiù siccome imperfetta e miserabile ; i Fakiri, i quali rinunziano al mondo, sperando che ne sarà loro chiesta minor ragione, che saranno in un'altra vita rimeritati delle privazioni presenti, e che gli animi loi o si faranno per povertà più atti all'esercizio della virtù ; i Khadimi, che si acconciano al servigio delle persone ragguardevoli per santità; e gli Abidi, che sperano in una retribuzione futura consacrandosi del tutto ad esercizi religiosi. Presso i Turchi esistono parecchi ordini di dervisi o fakiri. 11 principale è quello dei Maulavi, fondato dal celebre poeta persiano Gelaleddin Rumi, che mori nell'anno 1262 dell era volgare. I dervisi di quest'ordine hanno un gran monastero a Galata e un altro a Iconio. Fanno professione di grande umiltà e vestono un abito assai grossolano. Oltre al digiuno per tutto il mese di Ramazan, ne osservano uno ad ogni giovedì della settimana. È una delle loro pratiche religiose il girare con gran rapidità a suono di zampogna, e al cessar della musica fermarsi a un tratto senza dar segno di capogiro. Possono uscire dell'or-
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Nuova Enciclopedia Italiana - Volume VII (parte 1)
Dizionario generale di scienze lettere industrie ecc.
di Gerolamo Boccardo
Utet Torino
1879 pagine 1048

   

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