Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
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aveva emessa una tale sentenza. Per quanto gli si accosti, la nostra favella usata dagli scrittori differisce sempre dal dialetto fiorentino o toscano: e molti per ciò furono meritamente accusati di essere caduti in fiorentinismi o toscanismi.
Ma i gusti degli uomini possono paragonarsi in letteratura a quelli degli amanti; e perciò non è da meravigliarsi se spiriti non volgari ma esimii e peregrini, innamorati dei loro dialetti casalinghi, si dilettarono di verseggiare in essi piuttosto che nella lingua generale.
La lingua comune ai letterati d'una qualsivoglia nazione è più signorile, più colta, più grave, più maestosa che i dialetti ; ma questi hanno molti pregi, molti vezzi, molte grazie, forme graziose, semplici, naturali e spesso più energiche di quelle delle lingue comuni. Per questo avvenne che molti nobili ingegni nel nativo dialetto vollero verseggiare. Così nel dorico scrissero Simonide, Pindaro e Teocrito ; nell'attico Aristofane e molti altri comici; nell'eolico Alceo e Safto; itel jonico Anacreonte, ecc.; e quasi tutti i poeti greci scrissero nel proprio dialetto.
I Latini, per l'immensa superiorità della lingua di Roma su quella de' suoi vicini, non si diedero a coltivare i dialetti municipali, ma tutti scrissero nella purissima lingua romana,e solamente qualche traccia del dialetto popolare si ha in parecchi idiotismi delle commedie di Plauto e degli scritti di Petronio, sparsi qua e là da questi scrittori per render più fedele e più perfetta l'imitazione.
Non cosi gl'Italiani operarono, se non in antico, nel secolo xvi, quando i dialetti nostri, fatti più maturi, furono avvisati capaci di gareggiare in grazia ed efficacia colla lingua scritta. I comici furono i primi a recare i dialetti italici sulle scene. Primo tra questi può considerarsi in certa guisa Alvise Pasqualigo, il quale negl'Intricati pose tra gl'interlocutori uno spagnuolo, un villano ed il Graziano che in dialetto favellano. Già nel secolo xvi gli Zanni, ricordati dal Varchi, recitavano sui palchi, e nelle commedie mimiche si udirono diversi dialetti, siccome in quelle di Angelo Beolci, detto il Ruzzante da Padova, che fiorì forse prima del 1550.
Le maschere erano già comuni nelle nostre commedie sin dal secolo xvii. Tali furono, ad esempio, il Coviello napoletano, il Dottor bolognese, il Pantalone veneziano, il Beltrame da Milano, l'Arlecchino da Bergamo, ed altri simili. Parve al Zanotti inverisimile che in una o due famiglie private trovar si potessero uniti ad un tempo personaggi di più provincie, e disse bene ; e il buon gusto del secolo relegò queste maschere nei castelli dei fantocci e nei teatri dei burattini. Questi sono gli odierni loro campi di battaglia, e in parecchie città italiane, come, ad esempio, in Napoli, in Bologna, in Venezia, in Milano ed in Torino maschere nazionali traggono in folla non solamente i fanciulli, ma anche uomini gravi, i quali vi accorrono a ricreare talvolta la mente, affaticati dai fastidii del vivere e del meditare. Ivi si ascoltano arguzie d'uno squisito sapore, motti satirici che destano la più gioconda ilarità, e modi, proverbii e grazie d'ogni maniera, raccolte razzolando entro i dialetti per coglierne il più bel fiore. Non v'ha città ragguardevole in Italia che nelproprio dialetto non vanti poesie e prose, non già scritte da uomini volgari, ma da svegliatissimi ingegni con fino accorgimento composte, piene di vivacità e di grazia, tanto che molte di esse avanzano le scritte in colta favella.
Nel secolo xvii Bergamo ebbe nel proprio dialetto le Metamorfosi d'Ovidio di don Colombano; l'Orlando furioso dell'anonimo detto il Gobbo da Venezia; molte Poesie di Bartolomeo Bocchini, detto Zan Muzzina, il Goffredo del Tasso con maravigliosa grazia in bergamasco recato da Carlo A ssonica.
Bologna ebbe gran numero di eccellenti scrittori in quel vernacolo, fra' quali a noi basti citare Giulio Cesare Croce, che lasciò molte poesie graziosissime; Gio. Francesco Negri, che travestì la Gerusalemme; Anton Maria Monti, scrittore di due drammi ; Lotto Lotti, che in questo dialetto ebbe vezzo maraviglioso, e ci lasciò un grazioso poema sulla Liberazione di Vienna e dialoghi intitolati La Benzuola ecc.; G eminiano Megnani, che molte operette pubblicò, delle quali veder si possono i titoli nel Quadrio ; Tommaso Stanzani, che scrisse, tra le altre cose, drammi per musica ; siccome fece poscia Lelio Maria Landi ; Giuseppe Maria Bovina, che in sesta rima scrisse Le disgrazie di Bertoldino ; e finalmente Teresa ed Angela Zanotti, sorelle, Teresa Manfredi e don Giuseppe Bolletti che travestirono bellamente in questo dialetto il noto poema intitolato Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno.
Nel dialetto rustico fiorentino si ammirano le stanze in lode della Nencia di Lorenzo de' Medici; le altre in lode della Beca di Luca Pulci ; la Cat-trina e 11 Mogliazzo del Berni ; le liime e concetti villaneschi del Simeoni ; le Stanze dello Sparpaglia alla Silvana del Doni ; quelle di Cecco alla Tina del Cicognini ; la Tancia e la Fiera del Buonarroti il giovine ; il lamento di Cecco da Varlungo, lavoro inimitabile del Baldovini; le Stanze alle gentildonne di N. N. sotto nome di Beco da Brozzi ; e finalmente il Moniglia ne'suoi drammi sparse molti bei versi del dialetto fiorentino di contado.
Nel volgare friulano lasciò molte e bellissime rime il conte Ermes Colloredo.
Genova ebbe le sue poesie volgari molto piacevoli per opera d'un Zabata, di un Foglietta, di un Cavallo e di un Pedevilla; e il Viceti travestì in genovese la Gerusalemme del Tasso.
Jn milanese scrissero con lode il Lomazzo e il Maggi, il quale in quel volgare compose, tra le altre cose, quattro commedie, al dire del Quadrio, nel loro genere incomparabili.
Modena ebbe il suo scrittore vernacolo in Gio. Francesco Ferrari.
Napoli vanta un graziosissimo poema epico, La Vajasseide di Giulio Cesare Cortese; La Rosa, favola pastorale dello stesso autore, assai lodata dal Gravina; il Pastor fido voltato in versi sciolti napoletani da Domenico Basile; la Tiorba a Taccone di Filippo Sgruttendio da Scafato ; il celebre Lo Cunto de li Cunte, Trattenimento de Piccirilli, opera piena di piacevolezze e di motti di G. B. Basile, a cui aggiunse molte egloghe in quel dialetto piacevolissime; il Goffredo voltato in napoletano dal Fasano; il poema intitolato Napoli scontraffattor
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