Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
DICHIARAZIONE DEL CLERO DI FRANCIA
— DICHIARAZIONE DI GUERRA
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11 vescovo, secondo la liturgia di Costantinopoli, impartisce la benedizione al popolo. Nel simbolico linguaggio le due braccia esprimerebbero le duo nature di Gesù Cristo, come le tre del Tricerion significherebbero il mistero della Trinità. Alcuni autori affermano, essere privilegio del solo patriarca costantinopolitano l'usai'e nella sua benedizione di tali mistici arredi ; altri invece pretendono che la cerimonia possa essere fatta da qualsiasi vescovo greco celebrante.
DICHIARAZIONE DEL CLERO DI FRANCIA {stor. eccl). — Fu cosi detto un atto emanato dall'Assemblea generale del clero gallicano, riunito in seguito a vive discussioni insorte tra la Corte di Roma e quella di Francia in occasione del diritto di regalia. Quest'assemblea nazionale, presieduta da Bossuet, ohe ne fece l'apertura il di 9 novembre 1681 col suo mirabile discorso sull'unità della Chiesa, e che era composta di trentacinque tra arcivescovi e vescovi, di trentacinque deputati ecclesiastici di secondo ordine e di due agenti generali, pubblicò, il
12 maggio 1682, una dichiarazione consistente nei quattro articoli seguenti : 1° Gesù Cristo ha dato a san Pietro e a' suoi successori la podestà sulle cose spirituali che hanno relazione coll'eterna salute, ma non il potere di deporre i prìncipi, sia direttamente, sia indirettamente, nè di sciogliere i sudditi dal giuramento di fedeltà ; 2° la pienezza del potere concesso alla santa Sede non nuoce alle decisioni delle sessioni iv e v del Concilio ecumenico di Costanza, approvate dalla Chiesa universale, e religiosamente osservate dalla Chiesa gallicana ; 3° l'uso del potere apostolico dev'essere regolato dai canoni dettati dallo spirito di Dio e rispettati sempre ed ovunque ; 4° appartiene al papa il decidere in materia di fede, e le sue dec'sioni obbligano tutte le Chiese. Il suo giudizio non è tuttavia irrefragabile, a meno che il consentimento della Chiesa non v'intervenga.
DICHIARAZIONE DI GUERRA (dir. pitbbl). — Atto pubblico fatto dal Governo di una nazione a voce o per iscritto, col quale si dichiara ad un'altra nazione l'intenzione di farle la guerra per ottenere riparazione di un'ingiuria ricevuta o di un danno sofferto. È atto ad un tempo di diritto delle genti e di diritto naturale ; è una minaccia che la prudenza e la probità naturale suggeriscono per evitare, ricevendo la chiesta soddisfazione, di venire alle armi. Essa ha soltanto luogo nelle guerre offensive; nè dal minacciare si dee passare al combattere , se non passato il termine prefisso alla chiesta riparazione. Distinguesi in condizionale ed in pura o semplice; ma comunque si faccia, è sempre condizionale di sua natura, per la qual cosa molti autori ricusano questa distinzione. Dichiarata la guerra ad un principe, si considera dichiarata tacitamente a' suoi sudditi, formando essi con lui una sola persona morale. Chi dichiarala guerra non può trattenere i sudditi della nazione nemica e le cose loro, essendo essi venuti nel suo Stato sotto la protezione della pubblica fede ; ma assegna loro un termine conveniente per andarsene, trascorso il quale, acquista il diritto di trattarli da nemici. Le dichiarazioni di guerra sono diverse ed arbitrarie. Si possono omettere in alcuni casi anche in guerraNuova Encicl. Ital, Voi.
offensiva; per esempio, se la nazione cui si vuol far la guerra ricusa di ricevere un ambasciatore, un araldo. Basta allora pubblicarla nei proprii Stati o ai confini, chè in tal modo il nemico non può accusare l'avversario di violato diritto.
In quanto al tempo, niuno ne è determinato dall'uso ossia dal diritto delle genti ; e basta dichiarare la guerra quando si è posto piede sul territorio nemico e vi si è occupata una posizione. Il principal fine della dichiarazione di guerra è di far conoscere alle altre Potenze che si ha un giusto motivo per farla, e che il nemico la poteva evitare adempiendo il suo dovere.
Vuoisi però osservare che non va confusa la dichiarazione di guerra con la sua pubblicazione; quella tende a far conoscere al nemico i torti che ha: questa avverte i proprii sudditi, gli alleati e le potenze neutrali di riguardar come nemica la Potenza cui si dichiarò la guerra.
La sincerità rare volte interviene in questi atti ; e vi si esagera per lo più il torto della nazione che si vuol attaccare, ed attenuare il proprio. Cosi nei bassi tempi i campioni, pronti ad uccidersi l'un l'altro, giuravano entrambi sul Vangelo che il buon diritto era dalla loro parte.
Presso i Romani la dichiarazione di guerra (eia-rigatió) era pronunciata ad alta voce coll'adempi-mento di certe formalità; e col trattar la guerra con questa religione, i Romani gittarono le basi della loro grandezza. Mandavano essi da principio il capo dei feriali o araldo d'armi, detto pater patratus, a domandar riparazione al popolo che gli aveva offesi ; e se nel termine di trentatre giorni non ricevevano una risposta soddisfacente, il feriale chiamava in testimonio gli Dei dell'ingiustizia fatta al popolo romano, e partiva. Il re da prima, poi il console, domandava il parere del Senato; e, risoluta la guerra, rimandavasi l'araldo a dichiararla ai confini col gittare un dardo sul territorio del popolo dichiarato nemico della Repubblica. Quando poi l'Impero si fu oltre misura ampliato, e si guerreggiò con nazioni lontane, questa ceremonia si compieva in un campo presso Roma, detto perciò campo ostile.
Nel medio evo i feroci costumi non valsero a romper reverenza a quest'uso antico. Se non osserva-ronsi sempre le formalità, si cercò almeno di salvar le apparenze; e finché durò il reggimento feudale, un re d'armi od un ai aldo, il cui bastone destava reminiscenza del caduceo dei Greci, era mandato al principe o generale nemico. Ammesso all'udienza, esponeva le doglianze del suo Governo, e gittava in terra una manopola d'armi macchiata di sangue. 11 capo cui questa provocazione s'indirizzava, la faceva raccogliere, e ordinava che una borsa od una veste fosse donata all'araldo, e qualche volta gli regalava la propria, spogliandosene in sua presenza. Con tal atto dichiarava di accettar la disfida. Se dubitavasi della fede del principe o generale cui si mandava, l'araldo suonava o faceva suonare il corno sul confine dello Stato, vi chiamava i vicini e i posti avanzati nemici, e leggeva ad alta voce il cartello di sfida, e intimava al suo uditorio di propagare il bando. Se questo modo era dalle circostanze reso impraticabile o pericoloso, l'araldo andava di furto o nottetempo ad appiccare il cartello ad un qualcheni. 31
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