Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo

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      DIDISCO — D1DOT
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      casione di un nuovo regno. Si vuole ch'egli abbia portato in pace gl'insulti e siasi condotto con gran moderazione durante il breve suo regno. Tre generali alla testa delle loro legioni, cioè Pescennio Nigro che comandava in Oriente, Settimio Severo nell'Illirico e Claudio Albino nella Britannia, ricusarono di riconoscere la nomina dei pretoriani. Severo, proclamato Augusto da' suoi soldati, mosse verso Eoma, e non incontrò per via alcuna opposizione, tutte le città e guarnigioni dichiarandosi per lui. Gli stessi pretoriani abbandonarono Didio ; e il Senato ne pronunziò ben presto l'abdicazione e proclamò Severo imperatore. Allora alcuni soldati entrati nel palazzo tagliarono a Didio la testa, non ostante ch'egli si protestasse di rinunziare all'impero. Regnò soli sessantasei giorni. — Severo, entrato poco dopo in Roma, mandò a morte gli uccisori di Pertinace, disarmò i pretoriani e li bandì dalla città.
      Vedi : Sparziano, Stor. Aug. — Dione, Epitome.
      DIDISCO (hot.). — Genere di piante della famiglia delle ombrellifere, tribù delle idrocotilee, che contiene piante erbacee dell'Australia, dalle foglie lobate, a lobi incisi; ha fiori ad ombrelli, azzurri o bianchi.
      DIDONEo ELISA (stor. ant.). — Secondo alcuni, era figlia di Agenore (Belo), e secondo altri, di Car-chedone di Tiro, da cui Cartagine, detta dai Greci Kap/ii&óv, avrebbe preso il nome. Suo padre aveala data in isposa a Sicheo o Sicarba, sacerdote di Ercole, che possedeva immense ricchezze e che essa amava teneramente. Pigmalione, di lei fratello, re di Tiro, volendo impadronirsi dei tesori del cognato, lo fe' di nascosto trucidare a' piè degli altari. Narrasi che l'ombra dell'ucciso apparisse in sogno a Bidone, le svelasse per quale mano fosse perito, e consigliandole la fuga, le indicasse dove avrebbe trovato i suoi tesori, che Pigmalione aveva cercato invano. Essa pertanto, accompagnata da un buon numero di Tirii, cui era troppo grave il giogo del tiranno, si pose in mare con tutte le sue ricchezze in cerca di una nuova sede, e in breve giunse all'isola di Cipro, d'onde tolse cinquanta donne che le bisognavano per la fondazione di una colonia. Diretto quindi il suo corso verso l'Africa, approdò presso Utica, colonia fenicia, e pensò a stabilirsi in quel sito medesimo ove aveva preso terra. Secondo un favoloso racconto riferito da Tito Livio e da Appiano, essa acquistò da quei del paese tanto terreno quanto se ne potrebbe circondare con un cuojo di bue, il quale, fatto da lei ridurre in minutissime striscie, potè abbracciare uno spazio sufficiente da fondarvi una città, che alcuni vogliono fessela cittadelladi Cartagine,detta Bisra o Blrsa(V.), ed altri la stessa Cartagine (V.). La fama della bellezza di Didone e delle sue avventure trasse Jarba, re della Mauritania, a chiederne la mano. Ella domandò tre mesi di tempo per decidersi; e durante quest'intervallo inalzò un rogo con voce di volere con solenne sacrifizio placare i mani di Sicheo, cui aveva giurata eterna fede. Quando poi ogni cosa fu all'ordine, sapendo di non potersi sottrarre all'ira del rejetto Moro, salita sul rogo, vi si trafisse con un pugnale alla presenza di tutto il suo popolo, che avrebbe voluto sforzarla a quelle nozze.
      Virgilio ed Ovidio attribuiscono la sua morte all'abbandono di Enea, da lei amato, cui non potè ottenere in isposo. Questa finzione, suggerita dalla ragione poetica, per cui si viene a fare Enea contemporaneo di Didone, dà luogo ad un anacronismo di più di tre secoli, giacché essa avrebbe lasciata la Fenicia molto tempo dopo la guerra di Troja. L'intiera quistione trovasi dottamente discussa da Heyne nella prima esercitazione sul iv libro dell'Eneide. Egli divide la storia primordiale di Cartagine in tre epoche : la prima comincia 50 anni avanti la caduta di Troja; la seconda 173 anni dopo questa, e la terza 190 anni ancor più tardi, ed è soltanto al principio di questa che, secondo lui, deve aver fiorito Didone, ed essersi da essa accresciuta e non fondata la città di Cartagine, già da lungo tempo esistente.
      DIDOT (geneàl. e biogr.). — Celebre famiglia di stampatori francesi che occupa da due secoli un posto distinto nell'arte tipografica. Fondatore di essa in questo rispetto fuFrancesco, sindaco della Società dei librai, nato a Parigi nel 1689, morto il 2 novembre 1757, noto, fra le altre grandi ed onorevoli imprese, per la Raccolta di viaggi dell'abate Prevost, in 20 voi., con un gran numero d'incisioni e carte geografiche. Egli ebbe undici figli, due dei quali, Francesco Ambrogio e Pietro Francesco, continuarono ad esercitare l'arte tipografica.
      Francesco Ambrogio, figlio del precedente, nato nel 1730, morto il 10 luglio 1804, introdusse molti miglioramenti nell'arte, fra' quali la fabbricazioue della carta velina e il to chio a un colpo, di cui l'uso è divenuto generale. Fra le opere uscite dai suoi torchi citeremo la Collection cosi detta dArtois di romanzi francesi in 64 voi., e la bella Collection des classiques francais, in j8 voi. in-^° e in-l°.
      Pietro Francesco, fratello del precedente, stampatore librajo e fabbricante di carta, nato a Parigi nel 1732, morto il 7 dicembre 1795, introdusse an-ch'egli migliorie notevoli così nel getto dei caratteri come nella fabbricazione della carta ad Essonné, ov'era la sua cartiera.
      Tre de' suoi figli segnalaronsi nell'arte tipografica.
      E urico, nato nel 1765, morto nel 1*5*, si rese celebre come fonditore di caratteri, ed incise per le sue edizioni, note sotto il nome di microscopiche, fra le quali le Maximes de La Rochef'oucuuld ed Orazio, i caratteri che sono il nec plus ultra dell'arte. La loro esiguità è tale che non fu possib le fonderli che mediante una matrice inventata da Enrico, e denominata da lui poliamatipo, perchè vi si fondono cento lettere alla volta.
      Il secondo figlio di Pietro Francesco Didot, noto sotto il nome di Didot Saint-Leger, si rese illustre per l'invenzione della macchina per la fabbricazione della carta detta senza fine, ed il terzo continuò la professione paterna sotto il nome di Didot Jeune. Una delle figlie di Pier Francesco Didot sposò Bernardin de Saint-Pierre.
      Edoardo, figlio di Didot Saint-Leger, morto nel 1825, è autore di una pregevole traduzione delle Vite dei poeti inglesi di Johnson (Parigi 1823).
      Pietro, nato nel 1760, morto il 31 dicembre 1853, primogenito di Francesco Ambrogio, che gli cede,
     


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Nuova Enciclopedia Italiana - Volume VII (parte 1)
Dizionario generale di scienze lettere industrie ecc.
di Gerolamo Boccardo
Utet Torino
1879 pagine 1048

   

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