Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
dietetica
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qualunque ai tribunali ordinarti, se pria non fosse stata dai medesimi investigata. Più tardi fu abolita questa consuetudine, e fu loro riservatala trattazione della maggior parte delle cause civili, che riuscivano più spiccie e meno dispendiose che agli altri tribunali; e sovente venivano invitati o dai contendenti o dai magistrati stessi a costituirsi giudici del fatto, alla foggia dei moderni giurati. Le cause davanti i pubblici dieteti si trattavano nel modo seguente: l'attore presentava la sua petizione, corroboi andola col giuramento, deponeva la piccola somma fissata dalla legge di rimunerazione, ed il reo faceva lo stesso, giurando egli pure in propria difesa. Compiuti questi preliminari, i dieteti incominciavano l'inchiesta, udivano i testimonii, esaminavano i documenti, ed avevano coi litiganti tante conferenze, quante erano necessarie per chiarire la questione. Il giorno della sentenza, dopo i dibattimenti e l'intervento degli oratori, era, per quanto sembra, fissato dalla legge, ma potevasi differire col consenso delle parti contendenti. Giunto il giorno stabilito all'ultima difesa del reo, se costui non si presentava, veniva condannato in contumacia, ma il giudice era obbligato ad aspettare fino alla sera (Demosth., c. Mid., 541 ; c. Titnofh., 1190) ; talvolta però prorogavasi il dì della sentenza in seguito ad una deposizione orale della vera causa e quindi soddisfacente della proroga, per esempio, malattia, assenza dalla città, servizio militare, ecc. A convalidarla compariva possibilmente in persona il postulante, e se costui era impedito pel giorno dell'esame, la deposizione stessa veniva fatta con giuramento da' suoi amici autorizzati all'uopo (Pollux, vili, 60; Harpocr., s. v. fabiuoofo, cioè dilazione chiesta con giuramento; Demosth., c. Olymp., 1174, 4). La parte avversaria poteva fare una controdeposizione (iv6i/rtouoCodice penale.
Così procedevano i dieteti pubblici, mentre i privati, ossia gli arbitri scelti volontariamente dalle persone aventi una lite, erano investiti di maggiore ominore autorità, a seconda della facoltà loro compartita dai contendenti stessi. Talvolta venivano scelti pertanto per un semplice compromesso, o per una riconciliazione, e tal altra per proferire una sentenza, che veniva messa in iscritto, e ratificata dalle firme dei litiganti (Tsocr., c. Cali., 373; Demosth., c. Phor.t 912). Non aveva luogo nel secondocaso l'appello, se preventivamente fosse così stabilito dalle parti alla presenza degli arbitri ; ma in caso diverso era in libertà della parte lesa l'appellare (Tsocr., c. Cali., 375; Desmoth., c. Apat., 897). Se poi i contendenti non avessero fissato alcun limite ai dieteti, erano questi arbitri propriamente detti, nel significato loro dato da Festo (p. 15): Arbiter dici tur judex quod totius rei habet arbitrium etpotestatem (il giudice dicesi arbitro per ciò che ha balìa e podestà intiera dell'affare). Non potevasi quindi appellare in tal caso la loro sentenza (Demosth., c. Mid., 545); sebbene Demostene citi un esempio di un tale che avendo persuaso il suo avversario a rimettersi al giudizio di tre aibitri, e prevedendo poi che questo gli sarebbe stato sfavorevole, si rivolse dai privati ai pubblici dieteti (Demosth., c. Aphob., 862); ma devesi supporre che abbia fatto così perchè nulla si era pria stabilito in iscritto. La sentenza veniva sovente sancita da un giuramento, ed aveva la stessa forza di quelle dei tribunali ; veniva pronunciata per lo più nel tempio di Vulcano, e se ne porgeva contezza al proprio arconte o magistrato, il quale era, secondo la legislazione ateniese, anche giudice istnittorc di ogni processo (Demosth., c. Callip., 1240, 1244; c. Mid., 542).
Veggasi il bel lavoro di Hudtwalcker, TJeber die òffentlichen und Privat-Schiedsrichter Diciteten in Athen (Jena 1812).
DIETETICA (lat. Diatetica o Dieetetice, gr. &Celso (De Medie., prcefat. in lib. i), quella parte della medicina che fa la cura degli ammalati coll'apprestamento e colla qualità dei cibi (qucev>ctu medetur) ; e così pure l'intese Platone (ap. Diog. Laert., m, 1, § 85), giusta l'etimologia stessa del vocabolo, derivante da SiW*, modo di vita, di vivere, vitto, maniera determinata di cibarsi. In questo senso fu intesa da tutti i medici più antichi, e solo alcuni dei posteri vi compresero anche la farmaceutica, che è la seconda grande divisione della scienza ed arte medica, stabilita da Celso; ed anzi Scri-bonio Largo (De compos.medicam., § 240) se ne serve in opposizione soltanto alla chirurgia, comprendendovi tutto ciò che intendesi oggidì per medicina propriamente detta. Noi la considereremo qui storicamente, notando di subito che nessuno dei medici anteriori ad lppocrate rivolse alla medesima la sua attenzione, o sembra almeno che se Omero la descrisse com'era veramente a' suoi tempi, o com'egli suppose che fosse, durante la guerra troiana, dev'essere stata assai difettosa ed erronea. Citeremo per esempio il caso di Macaone, ferito nella spalla dritta da una freccia trisulca (11., xi, vs. 681, traduzione del Monti) e costretto a ritirarsi dal campo, il quale, medico com'era degli Achivi, fece approntare a se stesso una bevanda di vino,latte caprino e fior di farina (ibid., vs. 855-60), pozione che nessun chirurgo prescriverebbe oggidì in circostanza simile al suo malato; veggansi in proposito anche Platone (De repub., ni, p. 405), Massimo Tirio (Serm. 29) ed Ateneo (i, § 17, p. 10).
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