Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo

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      DIETETICASembra pertanto che appartenga ad Ippocrate la gloria di essere stato il primo a studiare siffatta materia, avvertendo egli stesso che gli antichi nulla avevano scritto intorno alla medesima che fosse degno di menzione (De rat. vict. in morb. acut., t. i, p. 26). Fra le opere che vengono comunemente attribuite ad Ippocrate, quattro sono quelle che trattano questo argomento coi seguenti titoli: 1° rapi StaiTYic uYietvrj; (del salutare modo di vivere) ; 2° rapi Staff*]? (del modo di vivere, in tre libri) ; 3® rapi Stai'rrj; ££eo>v (del modo di vivere nelle malattie acute) ; 4° rapi xpocpSjc (dell'alimento). Di queste quattro la sola terza viene considerata propriamente genuina, ma la prima fu forse scritta dal suo genero Polibo, la seconda, sebbene non sia evidentemente dello stesso autore, supponesi però coeva ad Ippocrate, e la quarta, quantunque non sia di costui, è nondimeno antichissima (Fabric., Bibl. Or., voi. 2°). Nelle altre sue opere peraltro vi è gran parte della dottrina su questo argomento, dappoiché il vivere regolato e la dieta era il primo, il capitale e sovente l'unico rimedio da lui adoperato. Oltre a questi trattati d'Ippocrate e de' suoi coetanei, sul primo, terzo e quarto dei quali Galeno lasciò un commento, ecco un elenco delle opere posteriori su questo soggetto: 1° Galeno, llepl rpofóiv Suvaaio»; (dell'efficacia degli alimenti); 2° ld., Ihpl cuyupfac xotl xoxoyufiii'a? -rpos-oiv (dei buoni e cattivi succhi degli alimenti); 3° ld., Tlcpl r/ic xari tov 'itntoxpattjv àtarnric ^l tmv òéewv voar.fjldttwv (del modo di vivere nelle malattie acute, giusta l'insegnamento d'Ippocrate); 4° Mich. Psello, Ihpl Staf-rcK (del modo di vivere) ; 5° Teod. Prisciano, Dieta, sive de salutaribus rebus (dieta, ossia delle cose salutari) ; 6° Cost. Afro, De victus ratione variorum morborum (del modo di vivere nelle varie malattie) ; 7° Il famoso Eegimen sanitatis salernitanum (regime di sanità salernitano, ossia prescritto dalla scuola di Salerno); 8° Isacco (Isac Ben Soleiman), De diceits univer-salibus et particularibus (delle diete universali e particolari); 9° ld., col titolo latino-arabico, Ta-cuini sanitatis elluchasem elimithar de sex rebus non naturalibus (avvertimento del taccuino di sanità sulle sei cose non naturali); 10° Maimonide (Mose Ben Maimon), De regimine sanitatis (del regime di sanità), oltre a molti brani nelle opere di Ali Abbas, Avvicenna e Mesù.
      Negli autori or mentovati si ha il catalogo di quasi tutte le materie alimentari usate dagli antichi, con discussioni sulle loro qualità reali od immaginarie, e talvolta colle stesse bizzarrie di cui ribocca il libro dell'inglese Burton sull'anatomia della melanconia (Anatoniy of melancholy). Sotto certi aspetti sembra che gli antichi fossero di gusto assai meno delicato dei moderni, trovandosi fra i medesimi come cibi comuni le carni di volpe, cane, cavallo ed asino (Pseudo-Hippocr., De vict. rat, lib. ii, tit. i, p. 679). Riguardo poi alla quantità di vino che gli antichi bevevano, possiamo formarcene un criterio quasi sicuro dalla circostanza che il medico Celio Aureliano, domiciliato già in Roma fin dagli anni suoi giovanili, nota come cosa straordinaria che il famoso Asclepiade, medico anche esso, giunto in Roma dalla Bitinia verso il 100 av. Cr., prescrivesse a' suoi pazienti di bere il doppioe il triplo della quantità per essi consueta di vino, finché giungessero a bere metà di vino e metà di acqua; dal che apparisce che il vino era diluito comunemente col quintuplo o sestuplo d'acqua (De morb. chron., lib. ih, cap. 7). Ippocrate però raccomandava che il vino venisse mescolato con egualé quantità d'acqua, e Galeno era dello stesso avviso : ma Le Clerc (Hist. de la méd.) è di parere che si praticasse soltanto in singoli casi. In un passo degli antichi scrittori di medicina (Pseudo-Hippocr., De vict. rat., lib. ni, verso il fine) viene anzi raccomandato al paziente, dopo essersi molto affaticato, di ubbriacarsi una o due volte ((u6i>^vom $ 5tc) ; ma si disputò molto dagli eruditi se il greco jAiOiKTOrjvott debba intendersi nel significato vero dell'ubbriacarsi, od in quello soltanto di bere un po' liberamente e fino alla ilarità e alla gioja, come lo adoprò anche san Giovanni nel suo Vangelo (ii, 10), ed assai prima i Settanta nel tradurre la Genesi (xliii, 34, e for- e anche ix, 21) e il Cantico dei Cantici (v, 1). Secondo la dottrina d'Ippocrate, le proporzioni del miscuglio d'acqua e vino variano giusta le differenti stagioni dell'anno; e quindi, per esempio, nella state il vino deve esser molto diluito, e meno d'inverno (Celso, De medie., i, 3). Gli scrittori sulla dieta e sul regime insistono molto inoltre per l'uso di esercizii corporali di varie specie, di bagni frequenti, ecc., come si disse sotto la voce Bagni, e si dirà sotto quella di Ginnastica (V.); ma devesi pure aggiungere che l'uso dei bagni non dev'essere stato assai comune, almeno nelle famiglie private, ai tempi d'Ippocrate, asserendo questi (De rat vict. in morb. acut.), esservi poche case in cui vi fossero in proposito gli opportuni apparecchi.
      Un altro speziente prediletto dagli antichi, e come mezzo preventivo contro i morbi e come rimedio, si era quello dell'emetico di tratto in tratto, che, giusta la prescrizione dell'autore del libro De victus ratione, erroneamente attribuito a Ippocrate, doveva prendersi due o tre volte al mese (lib. in, p. 750). Celso lo considera più proficuo nel verno che nella state (De medie., i, 3, p. 28), e dice che coloro i quali prendono l'emetico due volte al mese, fanno assai meglio ingojandolo in due giorni successivi, che una volta ogni quindici giorni (ivi, p. 29). Al tempo in cui Celso scriveva, facevasi di cotesta pratica tanto abuso, che Asclepiade nella sua opera De sanitate tuenda bandì afiatto l'uso dell'emetico, offeso, come nota lo stesso Celso (ivi, p. 27), dalla consuetudine di coloro che recendo ogni dì, mettono in moto la potenza divoratrice (offensus eorum consuetudine qui quotidie recidendo vorandi facul-tatem moliuntur. Veggasi anche Plinio, B. N., xxvi, 8). Era costume fra i Romani di prendere un emetico incontanente pria di porsi a mangiare, per prepararsi a ricevere i cibi in gran copia, e subito dopo per sottrarsi agl'incomodi dell'indigestione. Cicerone, per esempio, parlando di Cesare, che passò con lui una giornata nella sua villa (ad Att., xm, 52), così si esprime : Accubuit, lu£Ttxr,v agebat, itaque et edit et bibit àoeSi< et jucunde (si sdrajò, l eceva, e quindi mangiò e bevette in abbondanza ed allegramente); e ciò sembra essere stato un atto di cortesia che usò Cesare al suo ospite, perchè indicava la risoluzione di passare la giornata in allegria, e mau-
     


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Nuova Enciclopedia Italiana - Volume VII (parte 1)
Dizionario generale di scienze lettere industrie ecc.
di Gerolamo Boccardo
Utet Torino
1879 pagine 1048

   

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