Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo

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      digitalee lugli »; vuole terra leggiera e secca ed una esposizione calda.
      Digitale a grandi fiori (digitalis grandiflora Lam.; 1'). ambigua Murr. ; D. ochroleuca Jacq.). — Erba perenne, alta da 60 a 90 centimetri; radice a fittone, ramosa; fusto gracile, eretto, foglioso, ordinariamente semplicissimo, peloso inferiormente, puberulo e viscoso verso la sommità, del pari che i pedicelli, le brattee, i calici ed i frutti; foglie oblungo-lanceolate, seghettate, glabre e di un bel verde superiormente, appena pubescenti ai margini ed inferiormente lungo i nervi, le inferiori brevemente picciuolate, le superiori semiabbracciafusto ; grappolo lungo circa 3 dee., rado, unilaterale, foglioso alla base ; pedicelli appena lunghi quanto il calice; lacinie calicine lanceolate; corolla più ampia che nella specie precedente, ma più breve, col labbro superiore troncato, di colore giallo sporco, con macchie bruniccio internamente.
      Questa specie nasce nei luoghi montuosi della Svizzera, della Germania, dell'Austria, dei Vosgi, del Piemonte, e viene coltivata nei giardini di piacere; fiorisce in giugno e luglio.
      Digitale gialla (digitalis parvi flora Jacq.; D. lutea L.). — Questa specie è minore delle due precedenti in tutte le sue parti ; radice perenne ; fusto semplice, alto 3 decim. e più, striato: foglie alterne o sparse, sessili o semi-abbracciafusto, affatto glabre, oblungo-lanceolate, per lo più denticolate, talvolta interissime, di color verde chiaro ; fiori disposti a spiga lunga e folta, unilaterale, inclinata alla sommità ; brattee fogliacee concave, ovato-acuminate; lacinie calicine lanceolate; corolle piccole, ristrette alla fauce, col labbro superiore bifido, di colore giallo pallido, talvolta quasi bianco; cas-sule erette, pelose, quadrisoleate. Trovasi in Italia, in Francia ed in altre parti d'Europa.
      Digitale lanata (digitalis lanata Willd ; I). epiglottis Scanag.). — Radice perenne, fibrosa; fusto semplice, liscio, alto 3 decimetri al più, compresso, rosseggiante, massime verso la sommità; foglie sparse, lanceolate, intierissime, liscie, tri- o quinque-nervie, cigliate, massime verso la base; infiorescenza a spiga molto densa; lacinie calicine lanceolate, corolle di colore bianco sudicio con macchie curve venose internamente, coi lobi laterali del labbro inferiore acuti,l'intennedio oblungo, glabro e piano; brattee lanceolate, più lunghe del calice; asse della spiga, brattee e calici lanati.
      Questa specie nasce nei colli aprichi dell'Ungheria e della Grecia; coltivata negli orti diventa maggiore in tutte le sue parti, e per lussureggiante vegetazione emette talora tre o quattro spighe.
      Le sovra descritte specie di digitale sono quelle che maggiormente interessano, sia come piante d'ornamento, sia come sostanze medicamentose; e fra esse tiene, per ogni riguardo, il primo luogo la digitale porporina, la quale, temuta un tempo piuttosto come veleno che adoperata come rimedio, viene oggidì annoverata fra i più efficaci medicamenti.
      Credono alcuni che questa sia la pianta chiamata epìtemeron da Dioscoride e da Plinio; altri vogliono che sia la baccharis degli antichi, vantata dallo stesso Dioscoride, e che entrava nell'unguento bac-charion usato da Ippocrate. Fuchs, il quale vivevanella prima metà del secolo xv, cominciò a citare chiaramente la digitale, che amministrava conlro le malattie di petto ; quindi Van-Helmont ed altri medici l'adoperarono contro le scrofole. Haller ne parla come di un rimedio sospetto. Withering, medico inglese, nell'anno 1775 fece molti sperimenti sull'uso interno della digitale; quasi contemporaneamente varii altri medici della stessa nazione fecero pomposi elogi di questa pianta, siccome rimedio diuretico; nulladimeno essa cadde in dimenticanza ed appena continuossi ad usarla estema-mente come vulneraria ed antiulcerosa, specialmente nei tumori e nelle ulcere scrofolose.
      I violenti effetti prodotti in alcuni casi dall'uso interno di questo vegetale resero verosimilmente incerti i medici dello scorso secolo intorno alla sua ammessione fra i medicamenti. Bergius non ne parla nella sua Materia medica; Lewis nel suo Dispensario l'annovera soltanto fra i veleni. Ammessa la digitale nella Farmacopea di Londra nel 1721, ne fu cancellata nell'edizione del 1746, e riammessa in quella del 1788. La Farmacopea di Edimborgo l'adottò nel 1744, l'escluse nelle sue edizioni del 1756 e del 1774, e l'annoverò di nuovo in quella del 1783. Soltanto nel 1833 fu adottata questa pianta nella Farmacopea di Torino.
      La radice, le foglie, i fiori della digitale porporina vennero dai medici adoperate in varie guise; oggidì si usano soltanto le foglie, le quali hanno sapore amaro ed acre, massime fresche, e sebbene inodore, stritolate fra le dita vi lasciano un odore nauseoso, che non hanno più quando sono disseccate.
      Narrano gli autori che le foglie, di cui trattasi, prese internamente in dose alquanto considerevole, cagionano gravi accidenti, come nausee , vomiti t diarrea, vertigini, offuscazione della vista, ansietà, sincopi, dolori di stomaco, singhiozzo, rallentamento del polso ed anche infiammazione delle fauci, dell'esòfago e del ventricolo. E tuttavia oggidì lagnansi spesso i medici dell'inerzia di questo rimedio, amministrato anche a larghe dosi, laddove nei primi tempi della sua introduzione, cioè in principio del corrente secolo, spiegava in piccole dosi un'azione energica a segno di doversene talora sospendere l'uso, siccome fu da alcuni più volte osservato. Tale differenza sembra doversi attribuire a varie cagioni : la precipua, secondo l'Acerbi, si è che la digitale porporina del nostro paese non equivale in forza a quella che nei primi sperimenti procacciavasi dall'Ungheria, e molto meno (aggiungeremo noi) equivale a questa la digitale coltivata in orti pingui ed umidi, cioè in terreno e ad esposizione affatto differenti da quelle del natio paese. Inoltre coteste foglie, qualora siano state conservate oltre ad un anno, perdono molto della loro efficacia. Finalmente la loro virtù è pur anche relativa alla stagione in cui si raccolgono: secondo alcuni, tale raccolta deve farsi in primavera prima che sia spuntato il fusto ; altri vogliono che ciò facciasi in giugno o luglio, vale a dire nel tempo della fioritura, perchè in primavera le foglie sono troppo impregnate di sugo acquoso, e nell'autunno si trovano esaurite dei loro principii attivi. Noi crediamo più opportuna a tale raccolta l'epoca in cui è imminente la fioritura, trovandosi appunto allora il vegetale nel suo massimo vigore*
     


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Nuova Enciclopedia Italiana - Volume VII (parte 2)
Dizionario generale di scienze lettere industrie ecc.
di Gerolamo Boccardo
Utet Torino
1879 pagine 1048

   

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