Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
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DIME — DIMENSIONESetto dell'orazione si uniscano bellamente ancora quelli dei giudici. Ed il sofista Favolino aggiunge, esser cosa più turpe il lodar poco e freddamente, che il vituperare a lungo e con acerbità (A. Geli., Noct. Attic.).
L'oratore al difetto di merito nell'encomiato deve supplire con tutti i prestigi dell'arte, adornando le cose con eleganza di modi, con vivacità di sentenze, con sublimità di concetti, con figure efficaci, e con tutto ciò che può rendere l'elocuzione più vaga, più dilettevole, più grave.
Appartenevano al genere dimostrativo i discorsi che gli Egiziani pronunziavano nel giudizio dei defunti ; gli elogi funebri che gli antichi Greci decretavano ai guerrieri morti per la patria, e le pubbliche lodi che i cittadini indirizzavano a coloro che si erano segnalati per eminenti servigi resi allo Stato.
Tra i Greci si distinsero in questo genere Demostene ed Eschine suo rivale; tra i Latini Crasso, Antonio (due interlocutori ne' dialoghi De oratore), Ortensio e Cicerone ne' tempi dell'aurea latinità, Plinio il giovane al tempo di Trajano, e nel iv e v secolo Minuzio Felice, Lattanzio e san Girolamo.
Tra gl'Italiani poi, dopo il risorgimento delle lettere, si distinsero in questa parte il Baccaccio, il Bembo, il Trissino, il Guidiccioni, l'Ammirato, il Paruta, il Lollio, lo Speroni, il Casa, il Segneri, il i Casini, Quirico Rossi, il Granellici Masotti, il Nicolai, il Tornielli, il Trento, il Yalsecchi, il Pellegrini, il Venini,il Turchi, il Paradisi, e ultimamente Eva-sio Leone, il Canovai, il Cesari ed il Barbieri.
Conchiuderemo col dire che la distinzione dei tre generi, dimostrativo, deliberativo e giudiziale, dopo tanti secoli di voga, è caduta, e che i moderni avvisano più acconcio e più utile il dividere l'eloquenza in popolare, forense e sacra, togliendo questa divisione dai tre gran teatri odierni dell'arte oratoria, cioè popolari adunanze, fóro e pulpito, ciascuno di essi avendo un carattere tutto suo proprio. Questa novità non muta in sostanza che di nome l'antica divisione. L'eloquenza delle popolari adunanze è la deliberativa; quella del pergamo si riparte tra la deliberativa e la dimostrativa, sendochè nelle prediche e nelle istruzioni abbia per fine il persuadere o il dissuadere, e nei panegirici e nelle orazioni funebri, la lode ; l'eloquenza poi del fòro è chiaro non essere altra cosa che la giudiziale.
DIMOSTRAZIONE (log.). — Da una qualunque verità generale trarre o far uscire le verità particolari che racchiude, si chiama dedurre (V. Dedazione); da una verità universale e necessaria trarre le conseguenze che necessariamente ne debbono scaturire, si chiama dimostrare. La deduzione è quell'operazione intellettuale che è opposta all'In-duiione (V.); il Sillogismo (V.) è la forma generale ed il mezzo esteriore della deduzione ; la dimostrazione (demonstratio ; àiroSefrc, daàiroSeixvupt, mostrare, far vedere, movendo da principii evidenti) è la deduzione che muove da principii necessarii, il sillogismo che conchiude il necessario. Tale definizione ì dello stesso autore della Logica (Aristot., Prior. %nal., i, 1,2, 4), e non fu mai cambiata, perchè riposa su relazioni perfettamente vere. Infatti l'intelletto è fornito di principii primitivi, immediati, assolutamente certi, e che essendo universali ed ap-
plicabili a- tutto, contengono la ragione ultima di ciò che è. Riferire una verità ad uno di questi principii, stabilire che dessa altro non è se non che questo stesso principio applicato ad un caso particolare, © per conseguenza è vera quanto il suo principio, si chiama dimostrare ed è sapere. Adunque la dimostrazione è il fine supremo del processo deduttivo, e la vera condizione della scienza.
Certamente non tutta la scienza consiste nella dimostrazione, poiché le verità generali che il processo induttivo ricava dai casi particolari entrano pure nel dominio della scienza; ma questa non è invariabile come quella che scaturisce dalla dimostrazione, perciocché le sue verità sono incompiute, e per mezzo di nuove scoperte possono venir modificate.
La dimostrazione non fornisce cognizioni nuove in questo senso, che per dimostrare bisogna possedere i principii su cui la dimostrazione dovrà appoggiarsi ed avere già intravveduto ciò che si tratta di dimostrare. Adunque suppone dessa la veduta spontanea e confusa della verità ; ma fa passare questa prima veduta dalla sua condizione primitiva alla condizione di scienza propriamente detta.
La certezza che accompagna le verità elementari si distingue da qualunque altra certezza. Le scienze dimostrative, muovendo da principii assoluti per se stessi evidenti, producono una certezza assoluta, compiuta e superiore, se puossi dire, a quella delle altre scienze. Senza dubbio la certezza è sempre uguale a se stessa, non avendo gradi, ed in questo senso si è tanto certi della circolazione del sangue, quanto della relazione che passa tra il quadrato dell'ipotenusa ed i quadratidei due cateti ; ma tra queste due verità corre differenza enorme. Questa è talmente improntata del carattere di necessità, che, una volta conosciuta, rimane impossibile si conosca meglio o diversamente, essendo certe le relazioni su cui si fonda, e conoscendosi ugualmente ch'esse non potrebbero cangiare. Così non è della circolazione del sangue, che, quantunque si sappia esistere, non è però conosciuta così che nulla rimanga a sapersi circa questo fenomeno, e possa essere riferita ad un principio che faccia vedere come ciò che è non possa essere altrimenti. Quello che nelle scienze dimostrative è fissato, per esempio nelle matematiche, è assolutamente perfetto; ciò che nelle scienze sperimentali è stabilito, è perfettibile infinitamente, od almeno ritiene questo carattere fino al punto in cui diventa possibile la dimostrazione. In questa guisa interviene nelle scienze fisiche la dimostrazione, e fa di certi principii ottenuti per via d'esperienza verità necessarie ; per esempio, si può veder la caduta dei corpi in molte sperienze, e dimostrarla poi riferendola alle leggi generali del moto; e nell'astronomia, dopo aver determinati i fenomeni celesti coll'osservazione, si può dimostrare la necessità delle loro leggi col principio della gravitazione universale, e con questo mezzo ridurre tutto ad un semplice problema di meccanica razionale; motivo per cui Laplace diceva essere l'astronomia la scienza più perfetta. Parimente in filosofia, determinata la libertà per mezzo di fenomeni psicologici, il raziocinio fa vedere come la libertà è una conseguenza delle idee necessarie sul buono, la destinazione umana e la Provvidenza.
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