Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
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— DINA MIAQuando si tratta di dimostrare o di verificare una proposizione, tutta la difficoltà consiste nel trovare un principio evidente cui il soggetto di tal proposizione si riferisca, quindi a mettere in chiaro tale relazione. Se già è noto tale principio e si conoscono i mediatori che l'uniscono alla cosa di cui si tratta, egli è chiaro che la dimostrazione è bell'e fatta, ed altro non rimane se non numerarla in una od in altra forma: il che è assai indifferente, e si può,per esempio, enunciare prima il principio generale e discendere poi alle verità meno generali in esso contenute. Ma se ignorasi qual è questo principio, se bisogna sceglierlo fra quelli conosciuti, egli è pure evidente che bisogna seguire un'altra via, partire dal soggetto stesso, cercare nell'esame de' suoi attributi a qual principio noto è lecito riferirlo, e così di seguito fino a che siasi giunto al principio che contiene la risoluzione.
D'ordinario si procede così per trovare piuttosto la stessa dimostrazione che la risoluzione del problema ; ma, trovata una volta la dimostrazione, per lo più si segue il cammino discendente quando si vuole spiegarla altrui.
In qualunque problema da risolvere, e qualunque sia il modo di dimostrazione che si adopera,vi hanno due cose da osservare, cioè Yenunciato dei dati, e lo sviluppo delle incognite. Esprimere in termini semplici e precisi gli attributi conosciuti, i dati, ed indicare colla medesima esattezza e la medesima precisione i punti da rischiararsi, gli attributi da determinare, le incognite, vuol dire porre il problema ; sviluppare le incognite per via delle loro relazioni colle cognite, vuol dire risolvere il problema. Ciò posto, nelle dimostrazioni bisogna esaminare con massima cura i dati. Se questi non bastano per riferire le incognite al principio che deve determinarle, qualunque dimostrazione è impossibile.Questa è la prima considerazione che bisognerebbe fare, eppure è quella che quasi mai vienfatta. Si dimostra male, o piuttosto non si dimostra punto, perchè i dati di un problema non bastano ancora; ed in luogo di procurarsene altri, si mettono alla tortura quelli che si hanno, si snaturano e si riguarda come irre-solvibile un problema che troppo presto e senza riflessione si è assunto.
La teoria della dimostrazione venne da Aristotile esposta ampiamente nel suo Organon, e da lui stesso ridotta all'ultima perfezione ; sicché Kant ebbe ragione di dire che dopo lo Stagirita la logica non aveva fatto un solo passo.
DINAGEPORE [geogr.). — Distretto del Bengala, situato fra i 25° e 27° di lat. N., e fra gli 85° 40' e 86° 40' di long. E., confinante al nord con Rungpore e Purneah, all'est con Rungpore e Myniunsingh, al sud con Myniunsingh e Kagisciahy, e all'ovest con Purneah e Boglipore. E di forma triangolare, colla base a mezzodì ; la sua maggior lunghezza dal S. al N. è di 167 chilometri circa, e la maggior larghezza di 130. 1 fiumi principali ond'è intersecato sono il Teesta, il Mahananda e il Korotoya. Durante la stagione piovosa, che comincia per lo più alla metà di giugno e dura quattro mesi, questi fiumi e altre correnti minori dànno via per mezzo di barchette a quasi tutti i villaggi del distretto. La superficie del suolo è ineguale, e la sua elevatezzamaggiore non eccede i trenta metri. Il suolo è generalmente leggiero, e coltivandovisi massimamente il riso, la raccolta dipende in gran parte dalla pioggia. Grande molestia agli agricoltori recano le tigri, gli orsi, i bufali selvaggi e i cinghiali. Vi sono assai numerose le lontre, come pure il porcospino comune. Vi si vedono anche uccelli acquatici di più sorta in grandi stormi, e grandissima copia di oche selvagge, considerate come buonissimo cibo. I nativi mangiano pure alcune sorta di lucertole; ma principalmente il pesce, che vi è abbondantissimo, specialmente al tempo delle inondazioni periodiche delle risaje, nelle quali se ne può prendere una gran quantità.
Città principali sono Dinagepore, capitale, Malda, Gur e Raygunge. La città, capitale omonima conta (1871) 13,042 abitanti. 11 distretto ne ha 1,501,924.
DINAMETR0 (ottic.). — È uno strumento semplicissimo che serve a misurare l'ingrandimento dei cannocchiali.
Il dinametro di Ramsden si compone di tre piccoli tubi di 25 millimetri circa di diametro, che scorrono l'uno dentro dell'altro. Quando lo stromento è chiuso e i tubi sono l'uno dentro l'altro, la sua lunghezza è di circa 5 centimetri. 11 primo tubo è aperto alle due estremità, e col mezzo di viti si può fissare ad un cannocchiale qualunque ; nell'interno del secondo è tesa per il centro una piccola striscia di talco o di madreperla divisa in decimi di linea. Queste divisioni sono distinte di cinque in cinque con una lineetta più lunga affinchè si possano contare più facilmente. All'estremità inferiore del terzo tubo è una lente di circa otto linee di foco. Volendo usare l'apparecchio, si dispone il cannocchiale al punto della chiara e distinta visione; si trae il terzo tubo fuori del secondo fino a tanto che, riguardando per l'aria aperta, appariscano chiare e distinte le divisioni della striscia o scala di talco; quindi si adatta il primo tubo all'oculare del cannocchiale, e si riguarda il cielo per ricevere sulle dette divisioni il fascetto luminoso emesso dall'oculare, traendo e spingendo nel primo tubo il sistema degli altri due, senza far variare la distanza della lente dalla scala, finche il circoletto luminoso dell'oculare sia il più piccolo e distinto possibile. Allora si contano sulla scala i decimi di linea abbracciati da questo circo-letto luminoso, e con un compasso si misura il diametro dell'obbiettivo, che si esprime ugualmente in decimi di linea. Ottenute queste misure, si divide il diametro dell'obbiettivo per il diametro del piccolo circolo luminoso, ed il quoziente indica l'ingrandimento ricercato.
La bontà dello strumento dipende dall'esattezza delle divisioni della scala.
Questo metodo è assai pregevole per la sua semplicità e perchè porge direttamente la misura della forza d'ingrandimento del cannocchiale, procacciando il rapporto del fascio luminoso emesso dall'oculare al diametro medio della pupilla.
DINAMI (geogr.). — Comune della provincia di Catanzaro , circondario di Monteleone Calabro, con 1671 abitanti.
DINAMIA (bot.). — Vocabolo adoperato coi prefissi di, tri, tetra, per esprimere il numero degli stami delle piante.
DINAMIA (meco.). — Fu dato questo nome alla
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