Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
DIODORO D'ANTIOCHIA — DIODORO
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ce ne rimangono si poterono rettificare molti sbagli di Tito Livio. Lo stilè di Diodoro, quantunque non sia molto puro ed elegante, è tuttavia abbastanza chiaro, e poche sono le difficoltà ch'esso presenta, tranne nei luoghi dove i manoscritti sono difettosi, come avviene frequentemente.
Le migliori edizioni di Diodoro sono: quella di Wesseling (Amsterdam 1745,2 voi. in-fol.); la stampata a Due Ponti (1793-1801) ; e quella di Dindorf (Lipsia 1829-1833, 5 voi. in-8°) che contiene i frammenti del Vaticano. Lo stesso Dindorf ne fece pure un'edizione in piccolo sesto (ivi 1826, 4 voi. in-12°).
La Storia di Diodoro fu tradotta in italiano dal Baldelli (Venezia, Giolito, 1574-75, 2 voi. in-4°), probabilmente sulla versione latina del Poggio, e più tardi dal Compagnoni (Milano 1820-2?, 7 voi. in-8°). In francese si ha la traduzione del Terrasson, e pochi anni sono Miot ne diede un'altra versione. Amjot ne tradusse soltanto sette libri, dall'xi al xvn.
DIODORO D'ANTIOCHIA (biogr.). — Scrittore ecclesiastico, che visse durante l'ultima parte del quarto secolo dopo Gesù Cristo, ed apparteneva ad una nobile famiglia. Durante il tempo ch'ei fu archimandrita in Antiochia adoperossi grandemente ad introdurre una miglior disciplina fra i monaci e scrisse molte opere testimonianti della sua vasta dottrina. Quando Melezio, vescovo d'Antiochia, fu mandato in esilio nel regno dell'imperatore Valente, Diodoro altresì ebbe per qualche tempo a soffrire, ma continuò ad adoperarsi per quella ch'ei credea buona causa, e predicava di frequente negli aperti campi presso Antiochia. Nel 378 Melezio tornò alla sua sede, ed uno dei suoi primi atti si fu di nominar Diodoro vescovo di Tarso. Nel 381 Diodoro recossi al Concilio di Costantinopoli, nel quale gli fu affidata in un con Pelagio di Laodicea la sovrintendenza generale nelle chiese orientali (Socrat., v, 8). Quanto tenesse il suo vescovado e in qual anno morisse sono quistioni che non si ponno con certezza risolvere, quantunque la sua morte par sia accaduta prima del 394, nel qual anno il suo successore, Fa-lerco, era presente ad un Concilio in Costantinopoli.
Diodoro era fornito di molta dottrina (Facund., iv, 2); ma alcuni dei suoi scritti non credonsi al tutto ortodossi, e dicesi favoreggiassero i principii che furono poi promulgati dal suo discepolo Nesto-rio. Il suo stile è lodato da Fozio (Bibl., Cod. 223) per la sua purezza e semplicità.
Per ciò che si riferisce alla sua vita, vedi Tille-mont, Ri&t. des emp. (vm, p. 558, ecc.).
Diodoro è autore di una serie numerosa di opere ora perdute, almeno nel loro linguaggio originale, perocché alcune di esse dicesi esistano tuttavia nefle versioni siriache. Meritano menzione le seguenti: 1° Korcà etfjuxpnévir)?, in 8 libri o 53 capitoli, fu scritta contro le teorie degli astrologi, eretici, di Barde-sane ed altri, vuoisi esista per intiero in siriaco, e Fozio ce ne ha preservati molti brani. 2° Un'opera contro Fotino, Malchione, Sabellio, Marcello ed Ancirano (Teodoret., De Hteret. Fab., n, in fin.). 3° Un'opera contro i pagani e i loro idoli (Facund., iv, 2). 4° Xpovtxòv So)p6oyuevov to c^aàua EOaefit'ov tou ilajjuptxoo icepl toìv xpóvov, vale a dire, sugli errori cronologici commessi da Eusebio (Suida, 8. v. Aióoo>po<;). 5° llepì tou J? 0iò<; tv Tp»óct, contro gli Ariani od Eu-
nomiani, esistente tuttavia in siriaco. 6° Ilpò? Tpa-cta-vòv xscpaXaioc (Facund., iv, 2). 7° Ilepl -njc 'iTntapxou «rpottpot? ; quest'Ipparco è il bitinio di cui parla Plinio (H. N., ii, 26). 8° riepì 7tpovoi'ac, ovvero sulla Provvidenza, la quale dicesi esista in latino. 9° Kari Ma-vi^aftov, in 24 libri, dei quali Fozio ci dà qualche ragguaglio, e che credesi esistano in siriaco. 10° Ilp^c touc 2uvouoiaAppollina-risti, alcuni frammenti della quale sono preservati in Leonzio (Bibl. Patr., ix, p. 704). Quest'opera, esistente in siriaco, par fosse la causa principale per cui Diodoro fu considerato come eretico; perocché i Nestoriani appellaronsi ad essa in appoggio delle loro credenze, e Cirillo scrisse contro di essa. 11° Un commentario sulla più parte dei libri del Vecchio e Nuovo Testamento. Era questa una delle opere principali di Diodoro, il quale nella sua interpretazione delle Scritture rigettava la spiegazione allegorica e aderiva al significato letterale del testo (Sozom., vm, 2; san Girol., Cataì., 119). L'opera è citata frequentemente dagli scrittori ecclesiastici, e molti frammenti di essa furono in tal modo preservati.
Vedi : Cave, Hist. Lit. (p. 217, ediz. Londra) — Fabr., Bibl. (ircec. (iv, p. 380, ecc.).
DIODORO (biogr.). — Soprannominato Periegete, era probabilmente nativo d'Atene, e scrisse sojHa subbietti topografici e geografici. Visse al tempo di Alessandro il Grande, ed Ateneo riferisce che conosceva il rettorico Anassimene. A noi non son note che due delle sue opere: 1° Ihpì S^wv, citata frequentemente da Arpocrazione e Stefano di Bisanzio, i quali ce ne hanno perciò tramandato frammenti ; 2° Il spi [xvr,;jiocTtov, ovvero sui monumenti.
Vedi: Plut., Themist. (32, ecc.) — Aten. (uir, pag. 591).
DIODORO (biogr.). — Comes e magister scriniorum,
uno dei commissarii nominati, nel 435 dell'era nostra, da Teodosio il giovane per compilare il Codice Teodosiano. I suoi coadjutori furono Antioco, Eubolo, Massimino, Speranzio, Maitirio, Alipio, Sebastiano, Apollodoro, Teodoro, Orone, Massimo, Epigenio, Procopio, Evozio Neuterio. Nella costituzione concernente l'autorità del Codice Teodosiano otto soltanto dei sedici soprannominati sono mentovati per aver preso parte attiva nella composizione d'esso Codice.
Vedi Const., De Theod. Cod. Auct. (§ 7).
DIODORO (biogr.).— Soprannominato Crono, figlio di Ameinia di Jaso nella Caria, visse alla Corte di Alessandria nel regno di Tolomeo Sotero, il quale dicesi gli abbia dato il nomignolo di Crono a cagione della sua incapacità a sciogliere prontamente un problema dialettico proposto da Stilpone, mentre i due filosofi desinavano col monarca. Diodoro si prese, dicesi, tanto a cuore questa disgrazia, che, tornato a casa, morì di dolore dopo avere scritto un trattato sul problema (Diog. Laerz., il, 111). Altri particolari non si conoscono intorno la sua vita. Egli apparteneva alla scuola filosofica megarese, e fu il quarto nella serie dei capi di questa scuola. Per la sua grande perizia nella dialettica fu denominato 6 Skxàsxtixò; (Sest. Emp., Adv. gram., \, p. 310), e questo epiteto assunse poi carattere di soprannome, e discese alle sue cinque figlie, valenti anch'esse nella dialettica. Rispetto le dottrine di
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