Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo

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      DIOGENE IL CINICO - DIOGENE LAERZIOp. 526). Da molti passi in Cicerone puossi inferire qualmente Diogene scrivesse altresì su molti altri subbietti, ad esempio, sul Dovere, sul Bene supremo e somiglianti, ma i titoli di queste opere sono ignoti.
      Vedi C. F. Thiery, Dissertatto de Diogene Ba-bylonio (Lovanio 1830).
      DIOGENE IL CINICO (biogr). — Fu figliuolo d'Icesio, cambiatore di monete a Sinope. Suo padre ed egli stesso furono cacciati dal paese nativo per adulterazione di monete, o, secondo altri. Icesio fu posto in prigione, dove morì, e Diogene fuggi ad Atene.
     
      Fig. 2114. — Erma antica di Diogene il Cinico.
      Giunto in questa città, si recò da Antistene il cinico, il quale ributtandolo rozzamente, secondo il suo costume, e una volta minacciando fin anco di percuoterlo, t Battimi pure, disse Diogene, che tu non avrai mai un bastone tanto duro da tenermi lungi da te finche parli cose che reputo degne di udirsi ». Piacque talmente la risposta al filosofo, che lo ammise senza più tra'suoi discepoli. Egli si segnalò ben presto per una gran negligenza di vestire e di tutto ciò che riguarda la persona, e pel suo parlare sarcastico petulante. Vestiva un ruvido sajo doppio, che servivagli di mantello nel giorno e di coperta nella notte, e portava con sè una bisaccia per mettervi il vitto che andava accattando. La sua dimora era una botte presso al tempio di Cibele. Nell'estate si voltolava nella sabbia cocente, e nel verno abbracciava nelle strade le statue coperte di neve, onde avvezzarsi ad ogni varietà di temperatura. Diogene Laerzio, che ne scrisse la vita, riferisce molti de' suoi apoftegmi spiritosi e mordaci. Fu conosciuto da Alessandro il Grande, il quale, pregatolo gli chiedesse ciò che desiderava, rispose solo: « Non farmi ombra ». Si vuole che Alessandro restasse talmente maravigliato di quella originalità, che sclamò: « Se non fossi Alessandro, vorrei esser Diogene ». Preso da un capo di corsari mentre navigava da Atene ad Egina, fu menato a Creta e quivi venduto a Seniade di Corinto, che lo fece maestro dei suoi figliuoli. Egli adempì quest'uffizio con tanta fedeltà e con esito si felice, che Seniade andava dicendo essergli venuto in casa un genio benefico; ed era sì ben trattato dal padrone, che non volle acconsentire che i suoi amicilo riscattassero. Passava la maggior parte del tempo nel Cranio, ginnasio presso Corinto, dove mori nello stesso anno e, secondo alcuni, nello stesso giorno che Alessandro il Grande (323 av. Cr.), nella provetta età di novant'anni.
      Diogene Laerzio fa menzione di molte opere a lui attribuite, delle quali più non riinane alcuna. Quanto alle dottrine generali della setta cui apparteneva, vedasi la parola Cinici. Le seguenti sono alcune delle opinioni particolari attribuitegli dal suo biografo. Credeva l'esercizio indispensabile ed efficace per ogni cosa ; che due fossero gli esercizii, cioè della mente e del corpo, e che l'uno a nulla giovasse senza l'altro. Per coltura di mente non intendeva lo studio di alcuna scienza nè l'acquisto di cognizioni, il che tutto aveva per inutile; ma voleva dire quella coltura della mente che le procura uno stato sano e virtuoso, e produce in essa un effetto analogo a quello dell'esercizio relativamente al corpo. Adottò la dottrina di Platone che vi dovesse essere comunione di mogli e di figliuoli, e tenne coi legislatori dorici che l'ordine (*ó       Vedi : Mentz Federico, Dissertatio de fastu phi-losophico virtulis colore infucato in imagine Dio-genis Cynici (Lipsia 1712) — Backliusius, Apologeti cuni quo Diogenem Cynicum a crimine et stul-t iti ce et impudentice expedi tum sistit (Kònigsberg 1727) — Grimaldi Frane. Ant., Vita di Diogene Cinico (Napoli 1777).
      DIOGENE LAERZIO (biogr.). — Autore di una specie di storia della filosofia, che sola ha tramandato il suo nome alla posterità. Il soprannome di Laerzio derivò, secondo alcuni, dalla famiglia romana cognominata Laerzio, un membro della quale si suppone fosse il patrono di un antenato di Diogene ; ma è probabile ch'ei lo ricevesse dalla città di Laerte in Cilicia, la quale pare fosse la sua patria (Fabr., Bibl. Grcec., v, p. 564, nota). Noi non abbiamo informazione di sorta alcuna sulla sua vita, i suoi studii e il suo secolo. Plutarco, Sesto Empirico e Saturnino sono gli ultimi scrittori ch'ei cita, e pare perciò ch'ei vivesse verso il fine del secondo secolo dopo Cristo. Altri gli assegnano però una data posteriore, e lo pongono ai tempi di Alessandro Severo e de' suoi successori, e persino ai tempi di Costantino.
      La sua opera consiste in dieci libri intitolati : (ptXóao^ot pfoi (nella Bibl. di Fozio, Cod. r.xxi); oo^o; wTopta in Stefano Bizantino; p(ot inEustazio, mentre nel manoscritto porta il lungo titolo di llepì jìi'wv, SoyuaTcov xotì a7iocp0eym.aro>v toìv èv cpiXoaotfri'oi, eòSoxtur,Twv. Secondo alcune allusioni che in essa occorrono, egli la scrisse per una donna di alto affare (in, 47; x, 29) che coltivava lo studio della filosofia, in ispecie quella di Platone. Al dire di alcuni, questa signora era Arria, l'amica filosofica di Galeno (Theriac. ad Pison., 3), e secondo altri Giulia Domna, moglie dell'imperatore Severo (Menagio, l. c. ad Prooem.). La dedica però e il proemio sono perduti, per guisa che nulla puossi con certezza affermare.
      11 disegno dell'opera è il seguente: egli incomincia ccn una introduzione sull'origine e l'istoria primitiva della filosofia, in cui confuta l'opinioneLjOOQle


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Nuova Enciclopedia Italiana - Volume VII (parte 2)
Dizionario generale di scienze lettere industrie ecc.
di Gerolamo Boccardo
Utet Torino
1879 pagine 1048

   

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