Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo

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      DIONISIO IL VECCHIO 347
      in un tentativo che questi fece per impadronirsi della città. Sposò in appresso la figliuola di lui. Intanto i Cartaginesi avevano per la seconda volta invaso la Sicilia, e preso Selinunte, Imera e Agrigento (Senofonte, EUen., 11, 2), e tutta l'isola era in pericolo di cadere nelle mani de' conquistatori. Nell'assemblea de' Siracusani, convocata dopo la caduta d'Agrigento, Dionisio accusò i capitani e i magistrati di negligenza e di tradimento. Per quest'accusa fu condannato a grave multa, che Filisto lo storico pagò per lui, ma egli continuò ad accusare coloro che erano alla testa della repubblica, finche persuase al popolo di mutare i comandanti militari e nominarne di nuovi, tra i quali egli fu compreso. Suo secondo atto fu quello di ottenere che si richiamassero gli esuli, ch'egli provvide di ai-mi.
      Mandato in ajuto a Gela, assediata dai Cartaginesi, nulla operò contro il nemico, allegando di non essere secondato dagli altri capi, e i suoi partigiani proposero che, per salvare lo Stato, si commettesse il potere supremo a un solo, rammentando al popolo i tempi di Gelone, che aveva sconfitto i Cartaginesi e dato pace alla Sicilia. L'assemblea generale proclamò Dionisio capo supremo della Repubblica intorno all'anno 405 av. Cristo, quando egli non aveva che venticinque anni. Egli accrebbe lo stipendio dei soldati, ne arruolò dei nuovi, e, sotto pretesto di trame contro la sua persona, si formò una guardia di mercenarii. Mosse quindi ad ajutar Gela ; ma l'assalto che diede al campo cartaginese gli andò fallito. Penetrò tuttavia nella città, i cui abitanti consigliò di lasciarla chetamente nottetempo sotto la scorta delle sue truppe. Nel suo ritirarsi persuase a quelli di Camarina di far lo stesso. Ciò destò sospetti tra le sue truppe, e alcuni cavalieri ch'erano i primi nella marcia, giunti a Siracusa, sollevarono il popolo contro di lui, ne saccheggiarono la casa, e ne trattarono sì crudelmente la moglie, che ne ebbe a morire. Dionisio, con un corpo di eletti, li seguì assai dappresso, pose fuoco alla porta di Acradina, si aperse la via nella città, mise a morte i capi della ribellione, e senz'altro contrasto si recò in mano la suprema signoria. I Cartaginesi, afflitti da pestilenza, fecero proposte di pace, accettate da Dionisio, e le condizioni furono che essi ritenessero, oltre alle loro antiche colonie, i territorii d'Agrigento, di Selinunte e di Imera; che Gela e Camarina si restituissero gli abitanti, i quali pagherebbero tributo ai Cartaginesi ; e che Messana, Siracusa, Leonzio e tutta la parte orientale dell'isola, come pure le città dei Siculi nell'interno, dovessero rimanere indipendenti. Imilcone coll'esercito cartaginese tornò in Africa, e Dionisio si diede a fortificar Siracusa, e massime l'isola Ortigia, di cui si fece una fortezza, che popolò intieramente di partigiani fidati e di mercenarii, coll'ajuto de' quali soffocò parecchie ribellioni scoppiategli contro. Prese, parte per istratagenuna e parte per forza, le città di Leonzio, Catana e Nasso, e assoggettolle a Siracusa. Fece quindi apparecchi per nuova guerra contro Cartagine, raccogliendo uomini d'ogni parte, facendo fabbricare gran quantità d'armi, e inventando nuove macchine per assediar città. La terminazione della guerra del Peloponneso (404 aY. Cristo) aveva riempito lecittà greche della Sicilia di fuorusciti e di mercenarii sbandati, molti de' quaji Dionisio arruolò al suo servigio. Nell'anno 397 av. Cr. convocò un'assemblea generale del popolo, e propose la guerra, che fu unanimemente approvata, e incominciò col saccheggio delle case e delle navi de* mercatanti cartaginesi. Dionisio spedì a Cartagine, travagliata allora dalla peste, un araldo per dichiararle la guerra se non si sgombravano tutte le città greche della Sicilia. Assediò quindi Motia, una delle colonie principali dei Cartaginesi in Sicilia, che suo fratello Leptine assalì dalla parte di mare. In questo assedio provò le sue nuove macchine che smantellarono le mura, e, presa la città, gli abitanti furono uccisi o venduti, facendosi dai Siracusani un immenso bottino. Soggiogò pure le altre città appartenenti ai Cartaginesi, tranne Panormo, Soloei ed Egeste. Frattanto i Cartaginesi, raccolsero grandi forze sotto Imilcone, che approdò a Panormo mentre la flotta prendeva l'isola di Lipara. Marciò quindi contro Messana, che prese e distrusse, e di là s'avanzò verso Siracusa. La più parte delle città abitate dai Siculi si unirono ai Cartaginesi. Giunto a Tauromenio, Imilcone seguì il suo cammino lungo la costa del mare ; ma fu arrestato da una grande eruzione di lava dall'Etna, e dovette andare attorno per la falda occidentale della montagna. Intanto Magone colla flotta cartaginese assali la siracusana presso Catana, e la sconfisse intieramente. Imilcone s'accampò allora sotto le mura di Siracusa, mentre la flotta vincitrice entrò nel gran porto. Dionisio dal suo lato ricevette navi e uomini da Sparta. Essendo intanto scoppiata nel campo d'Imilcone una terribile pestilenza, Dionisio se ne valse per assalire i Cartaginesi, li sconfisse ed arse la maggior parte delle loro navi. Imilcone cogli altri scampati alla strage fuggì a Cartagine, pagata segretamente una somma a Dionisio per la sua salvezza.
      Gli sbandati mercenarii furono destinati da Dionisio a coloni di Leonzio e Messana, città queste che fece riedificare. Magone, approdato con una nuova armata cartaginese nella Sicilia (392 av.Cr.), dovette rimbarcarsi con condizione di pagare le spese della guerra. Dionisio procedette quindi contro Reggio, con cui le altre città della Magna Grecia avevano fatto lega, mentr'egli aveva tirato dalla sua parte i Lucani, insieme coi quali sconfisse i collegati, devastò i territorii di Turio, Crotone, Caulione, Ipponio e Locri, e costrinse i Greci a chieder pace. In quel turno ricevette, secondo Giustino (xx, 5), un'ambasciata da' Galli, che avevano poc'anzi incendiato Roma, e gli offrivano la loro alleanza. Nel 387 avanti Cristo assaltò nuovamente Reggio, e presala dopo lungo ed ostinato assedio, vendette quai schiavi gli abitanti, e fece perire di cruda morte il loro capo.
      In tal modo resesi temuto nell'Italia e nella Sicilia, e pare che abbia avuto il pensiero di poter dominare tutti e due questi paesi. Per far danaro, si collegò cogl' Illirici, e propose loro di unirsi con lui per saccheggiare il tempio di Delfo, impresa che gli andò fallita. Spogliò quindi parecchi tempii, come quello di Proserpina a Locri, e tornando per mare con vento secondo, disse scherzando a' suoi
     


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Nuova Enciclopedia Italiana - Volume VII (parte 2)
Dizionario generale di scienze lettere industrie ecc.
di Gerolamo Boccardo
Utet Torino
1879 pagine 1048

   

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