Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo

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      DISCOFORI - DISCORSODISCOFORI (200I). — Gruppo di animali invertebrati marini, della divisione dei celenterati, che comprende gli acalefi, di cui sono noto tipo le meduse. ^
      DISCORDANZA (mus.). V. Stonatone.
      DISCORDIA (mitol). — Malefica deità, secondo Esiodo, figlia della Notte e sorella di Nemesi, delle Parche e della Morte. A questa, che Omero chiama furia perniciosa che tutti offende, non solamente si attribuivano dai poeti le guerre dei popoli e le risse fra i cittadini, ma pur anche le dissensioni delle famiglie, gli scompigli domestici, le uccisioni, le insidie e gli eccessi di ogni sorta: talché gli antichi Greci e Latini le facevano sagrificii per distornare i danni che poteva loro recare. Narra la mitologia ch'essa fu cacciata dal cielo da Giove perchè autrice di dissensione fra gli Dei e cagione di perpetui litigi. Quindi non essendo stata invitata cogli altri Dei alle nozze di Teti e di Peleo, ne rimase ella talmente irritata, che per vendicarsene gettò sulla mensa un pomo d'oro, sul quale era scritto alla più bella, per cui si suscitò quella famosa contesa fra le tre dee, della quale fu giudice Paride, e da cui derivarono tante calamità. È mirabile il ritratto che della Discordia ci ha lasciato Coluto nel suo poema del Rapimento d'Elena, in cui molto energicamente è descritto il furore di lei quando si vide esclusa da quel convito. Virgilio l'ha collocata cogli altri mostri all'ingresso dell'inferno, con capellatura di serpi, annodata con bende insanguinate, e l'ha dipinta sullo scudo che Venere diede ad Enea, vagante fra i combattenti, col manto squarciato, e seguita da Bellona, armata di sanguinoso flagello. Omero la chiama sorella e compagna di Marte, insaziabilmente furibonda, che da principio piccola sorge, ma poi mette il capo nel cielo e passeggia immensa sopra la terra.
      Tutti i moderni poeti che la dipinsero non fecero altro che imitare, chi più, chi meno, gli antichi; ma l'Ariosto, con una leggiadra invenzione tutta sua, ce la mostra in un monastero presiedente ad un'elezione. Quivi trovandola l'angelo che la cercava,
      La conobbe al vestir di color cento, Fatto a liste ineguali ed infinite, Ch'or la copriano, or 110, che i passi e il vento Le giano aprendo, ch'erano sdrucite. I crini avea qual d'oro e qual d'argento, E neri e bigi, e aver pareano lite: Altri in treccia, altri in nastro eran raccolti, Molti alle spalle, alcuni al petto sciolti.
      Di citatorie piene e di libelli, D'esamine e di carte di procure Avea le mani e il seno, e gran fastelli Di chiose, di consigli e di letture, Per cui le facoltà de' poverelli Non sono mai nelle città sicure; Avea dietro e dinanzi e d'ambi i lati Notai, procuratori ed avvocati.
      Tra i poeti francesi niuno seppe trar partito della personificazione della Discordia quanto Boileau nel suo immortale poema Le lutrin (il leggio), nel quale questa divinità è la molla principale dell'azione.
      DISCORSO (lett.). — L'elemento del discorso trovasi nel più se in pi ice uso delia parola. Ogn'uomoha dunque in sè qualche germe di eloquenza ; ma per isviluppaisi, questo germe ha bisogno di essere fecondato da tante felici qualità, da tante assidue fatiche, ch'esso rimane ordinariamente soffocato. Quindi il piccolo numero dei grandi oratori e le vive simpatie ch'essi risvegliano.
      Considerato nel suo più ampio senso, il discorso si stende a qualunque opera letteraria, a qualunque espressione del pensiero, cosi in verso come in prosa, così in voce come per iscritto. Nell'accettazione più conosciuta, il vocabolo discorso (derivato dal latino discursus, che vale corso per varie parti ed esprime propriamente l'analisi del pensiero quando si tratta una materia) significa una riunione di ragionamenti più o meno sviluppati e destinati a far adottare l'opinione di colui che li espone. Perfezionato dall'arte, il discorso è un tutto armonioso, di cui ciascheduna parte concoire allo scopo propostosi dall'oratore. Ora, questo sco}>o varia secondo le circostanze, e tutti i retori dell'antichità si accordano nel distribuire i soggetti in tre classi, ch'essi denominarono gèneri di cause. Lodare o biasimare fu l'oggetto del genere dimostrativo ; consigliare o dissuadere, quello del deliberativo; accusare o difendere, del giudiziario. I moderni potevano, a tutto rigore, contentarsi di questa divis one, la quale non è nella natura, ma facilita singolarmente l'applicazione dei principii generali alle materie oratorie ; tuttavia i tre grandi teatri dell'eloquenza, il pulpito, la tribuna e il fòro, hanno fatto che da lungo tempo si ricorresse a denominazioni novelle.
      Qualunque sia però il genere cui appartiene, un discorso può considerarsi nella sua essenza e nella sua divisione. Nella sua essenza si distinguono: i mezzi di persuadere trovati dall'oratore, ossia l'm-venzione; l'ordine in cui questi mezzi sono collocati, ossia la disposizione; lo stile di cui sono rivestiti i pensieri, ossia Velocuzione ; finalmente i gesti e i tuoni di voce con cui si accompagnano i pensieri e i sentimenti, ossia Vazione. Nella divisione si considerano generalmente: il modo con cui l'oiatore dispone l'uditore ad ascoltarlo favorevolmente, e questo dicesi esordio; l'esposizione ch'egli fa del suo soggetto, cioè la proposizione; le ragioni che reca per provarla, o la confermazione; gli ultimi lampi di luce con cui l'oratore illumina gli spiriti, e quando lo comporti la causa, le grandi emozioni ch'egli eccita in sul finire, cioè la perorazione.
      La maggior parte dei discorsi del fòro, e talvolta quelli della tribuna, hanno una quinta parte, la narrazione, che viene ordinariamente prima della confermazione. I discorsi del genere dimostrativo assai spesso non sono altro che narrazioni pomose, in cui i fatti sono rappresentati sotto i più favorevoli colori. L'eloquenza politica e sovrattutto l'eloquenza giudiziaria fanno sovente uso di una sesta parte, la confutazione, che consiste nel distruggere i mezzi e le obbiezioni dell'avversario. Si pone prima o dopo la confermazione, da cui talvolta non è distinta.
      La disposizione di queste sei parti forma l'ordine naturale del discorso, e in ciò non v'è difficoltà. Ma v'ha un altio ordine sommamente difficile, iu cui riescono soltanto gli uomini di grande ingegno,
     


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Nuova Enciclopedia Italiana - Volume VII (parte 2)
Dizionario generale di scienze lettere industrie ecc.
di Gerolamo Boccardo
Utet Torino
1879 pagine 1048

   

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