Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
DISFATTA — DISFIDA
727
nel corpo dell'infermo, e si tenterà la via delle narici, ove questa sia libera, introducendo una cannella da questa nelle fauci, oppure si ricorrerà ai bagni ed ai clisteri nutrienti, mediante i quali si può, almeno per qualche tempo, tenere in vita l'infermo.
DISFATTA (art. mil.). — Piena sconfitta, rotta, nella quale un esercito ha perduto la maggior parte delle sue forze. Un sottile tattico francese, il generale Bardin, distingue la défaite dalla déroute, volendo che la prima significhi una parte perduta di un esercito in battaglia, non una rovina totale ; la sconfitta, a parer suo, non recando seco di necessità la rotta. L'Accademia francese non ammise questa distinzione ; checché ne sia, il citato autore vuole che la voce défaite, dai moderni surrogata all'antica déconfiture, sia la conseguenza di un progresso nella scienza militare. Quando la precisione dei movimenti di un esercito, dic'egli, quando la coesione più abituale delle truppe, e il sapersi servire a proposito delle riscosse non riparavano al cadere di una parte della linea di battaglia, si finiva per gridare il salva chi può. Ma quando una tattica sapiente sorgiunse ad incatenare, per dir cosi, i soldati e i corpi gli uni cogli altri, i compiuti sper-peramenti degli eserciti divennero rarissimi. Non v'ha corpo, per valoroso che sia, cui non possa accadere di piegare: questo è il primo passo alla sconfitta; non v'ha abile generale che non possa trovarsi nell'impossibilità di difendersi; e questo è il secondo passo ; ma la risoluzione, il sangue freddo, la presenza di spirito de'capi e la coscienza della propria bravura nelle truppe possono impedire una sconfitta. Il preservarsi da questa sventura fu mirabile abilità del gran Federico. Il più gran male di una disfatta non è la perdita di uomini, di bagaglio, di artiglieria ; ciò che ne conseguita di più funesto è lo scompiglio che nasce nell'ordine di battaglia, lo scoraggiamento de' soldati rimasti, la macchia recata all'onore delle armi, lo sconcerto più o meno durevole del meccanismo, per dir cosi, delle truppe e della loro disciplina. Un generale trascinato dal suo destino ad ostinarsi in un fatto che tradisca il genio militare può recare al suo paese danni più gravi che un capo di pochi mezzi. Ecco ciò che giustifica quel motto di Mazarino : Il tal generale è egli fortunato ?
La più terribile, la più irrimediabile di tutte le disfatte è quella che gli assediati provano sulla breccia; è meglio perirvi combattendo che sopravvivere per essere messo a fil di spada. Le spedizioni di Russia e della Sassonia furono crudeli disfatte che degenerarono in rotte. Ma non bisogna darne colpa alla truppa, nè ai divisamenti presi, nè ai generali; bensì al rigore del clima, all'abbandono de' confederati, al soperchio del materiale, o impedimento che dir si voglia, alle abitudini di un'amministrazione che credeva di poter sempre contare sulla vittoria. Il gran capitano aveva cessato di essere fortunato !
Alcune sconfitte riuscirono proficue ai vinti, insegnando loro il modo di vincere chi gli aveva battuti. Questo accadde a Pietro il Grande nella sua lunga lotta con Carlo XII.
DISFIDA (art. mil e cavali).—Provocazione a com-
battimento in parole o in iscritto, o per provarsi contro un nemico, o per vendicarsi di un'offesa ricevuta. Quest'uso, del quale si trova traccia nella storia di tutti i popoli, ebbe origine da nobili sentimenti, cioè dal desiderio di distinguersi o di rivendicare la propria dignità da altri oltraggiata. Alcuna volta le disfide ebbero conseguenze politiche della più alta importanza. David, per esempio, avendo atterrato Golia, pose tanto sgomento nei Filistei da volgerli in fuga. L'ultimo degli Orazii, vinti i tre Cu-riazii, assicurò a Roma la preminenza sopra Alba. li Iliade offre gran numero d'esempi di disfide fra i Greci ed i Trojani, le quali ci palesano come coi tempi si mutino le massime dell'onor militare. In esse vediamo il debole guerriero fuggire senza disonore dinanzi al forte, e reputarsi ciò non pertanto prode in armi. I Romani coltivarono assai per tempo la tattica che intende a dirigere sapientemente le masse con abili combinazioni ; ma questa incatenando la vittoria, toglie al coraggio individuale il primo grado. Da ciò viene che le disfide tra uomo e uomo sono assai rare nei loro annali. Il sangue loro era sacro alla patria, nè poteva versai si per motivi personali. Così, a malgrado degli odii violenti inspi-ìati dall'ambizione e cozzantisi nel fòro, mai non si videro i capi delle fazioni provocarsi a singolari combattimenti. Vero è che Sertorio, combattendo alla testa dei Lusitani, mandò disfida al console Marcello; ma quest'idea gli venne da un pregiudizio dei suoi compatrioti d'adozione. Più tardi Antonio intimò ad Ottavio di decidere con un duello a chi di loro restar doveva l'impero del mondo; ma Antonio in quell'ora, disperando della sua fortuna, non prendeva consiglio che dalla sua disperazione. Sotto Augusto e i successori di lui, la schiavitù e la cieca obbedienza non consentirono all'umana dignità di rilevarsi; e fu d'uopo che i popoli del Settentrione sorvenissero a richiamarla dal suo sonno, recando seco l'usanza delle disfide e dei singolari combattimenti. Fusa, per dir cosi, nei loro costumi, fu scritta nelle loro leggi. Non chiamossi in campo chiuso unicamente un nemico; ma perfino chi piativa vi poteva chiamare i giudici dei quali fosse mal soddisfatto.
L'impero di Carlomagno ruinò ben presto, e il potere si divise tra gran numero di vassalli : la gerarchia feudale ebbe per base questa divisione di potere, e per norma l'anarchia. L'impotenza delle leggi nel proteggere gl'individui richiamò alla 1 a-gione del più forte, ed Ercoli e Tesei novelli s'istituirono difensori dei deboli. Da questo zelo di umanità nacque la cavalleria; e fu l'epoca più feconda di disfide guerriere. Queste ebbero le loro regole, le loro condizioni, in una parola, il loro codice d'onore. Ma finché questo spirito cavalleresco si mantenne, produsse effetti che oggidì muoverebbero le risa. Videsi, per esempio, assai volte un semplice cavaliere recarsi in istranie contrade ad offerire a chiunque gli si presentava di battersi con lui per difendere l'onore della propria nazione o della sua donna.
Nel 1400, al dire di Monstrelet, un cavaliere aragonese, detto Michele d'Orris, mandò a Parigi una disfida ai cavalieri d'Inghilterra, padrona allora di una parte della Francia; e sono curiose e piacevoliLjOOQIC
| |
Bardin Accademia Federico Mazarino Russia Sassonia Pietro Carlo XII Golia Filistei Orazii Cu-riazii Roma Alba Iliade Greci Trojani Romani Sertorio Lusitani Marcello Antonio Ottavio Antonio Augusto Settentrione Carlomagno Ercoli Tesei Monstrelet Michele Orris Parigi Inghilterra Francia David Vero
|